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Prima et seconda nihil, tertia indicat: quarta et quinta talis, tota luna

1.3 RAPPRESENTAZIONI RELAZIONALI O RELAZIONE RAPPRESENTAZIONALE?

1.3.2 Prima et seconda nihil, tertia indicat: quarta et quinta talis, tota luna

Il detto latino riportato nel titolo è il frutto di un’antica tradizione che, nel tentativo di prevedere i cambiamenti climatici, rivolge il suo sguardo alla luna per trovare risposte. La saggezza popolare sostiene che dalle osservazioni compiute sulla prima fase lunare è possibile arguire l'andamento dell'intera lunazione. Parafrasando i versi latini, la regola indicata può essere così trascritta: il primo e il secondo giorno del novilunio non hanno alcuna efficacia predittiva, mentre il terzo è quello che indica che tempo farà nel mese, se anche il quarto e il quinto sono simili, tutta la lunazione sarà uguale [Fumagalli 2005, 236].

La prima e la seconda ipotesi di un legame verosimile tra la psicologia sociale delle rappresentazioni e un costrutto teorico di carattere eminentemente sociologico si sono rivelate inadatta e, in ultima istanza, difficilmente sostenibili. Ora, non resta altro che verificare se la terza ipotesi, concernente l’integrazione e la ricomprensione della teoria delle rappresentazioni sociali nel contesto della teoria sociologica relazionale sarà per noi, come il terzo giorno di novilunio, predittiva dell’andamento delle elaborazioni e delle indagini successive.

1.3.2.1 Tra simbolo e cultura

Una delle più immediate evidenze, nel confronto tra teoria relazionale e teoria delle rappresentazioni sociali, è data dalla loro apparente e formale estraneità. Da

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un lato, la prima non ha mai affrontato, se non marginalmente il tema delle rappresentazioni sociali27; dall’altro, l’interesse di Moscovici per la relazione, in quanto tale, matura molto tardivamente nel 2001, sul finire della sua estesa produzione scientifica, con la pubblicazione del testo Psychologie sociale des

relations à autrui28.

Uno dei pochi rimandi terminologici fatti da Donati alle rappresentazioni sociali o collettive interessa la definizione della realtà sui generis dei fenomeni relazionali. Con le parole dell’Autore tale riferimento appare così formulato:

«la mia percezione della realtà è costruita e si esprime come relazione, ma non si riduce al linguaggio, né quest’ultimo esprime tutta la realtà delle relazioni implicate. Le relazioni hanno la caratteristica di rimandare sempre ad altre relazioni (il significato di un significato è una relazione). Le relazioni non possono esistere che attraverso “rappresentazioni collettive”» [Donati 2009, 77]

Dove è chiaro che nelle virgolette proposte dall’Autore a margine delle rappresentazioni collettive, intese quali costrutto essenziale per il sussistere delle relazioni, si colloca l’estraneità della teoria relazionale dalla teoria delle rappresentazioni sociali. Tuttavia, nel contenuto di quanto viene enunciato, e poi successivamente riformulato più compiutamente, risiede una sorprendete conformità dei due approcci; tantoché è possibile immaginare che l’estraneità sia molto lontana dall’essere una forma latente di contrarietà o rifiuto, quanto piuttosto parrebbe rispondere all’esigenza metodologica di mantenere un impianto analitico incentrato sull’esplicitazione del costrutto relazionale.

27 In un articolo pubblicato nel 1983, Donati nel definire le peculiarità del processo sociale di

conoscenza fa esplicito riferimento alle rappresentazioni sociali elaborate da Moscovici, di cui si può vedere riportato in nota il rimando al testo Les représentations sociales, Relazione al Colloquio del Laboratoire Européen de Psychologie sociale, Paris 1979. Il sociologo intende allargare lo spettro della razionalità oltre l’indagine dei semplici oggetti intelligibili, fino ad includervi tutti gli elementi dell’espressività (come gli stati emozionali) o della normatività (come gli imperativi morali). Questi ultimi vengono compresi dalla coscienza umana sotto il segno della razionalità in quanto propriamente umani. Così intesa la conoscenza si presta ad essere un «processo globale che è insieme sempre espressivo (affettivo), razionale (in termini adattivi) e simbolico (morale), laddove la ragione permea sempre il processo conoscitivo anche quando questi deve fare largo ricorso all’empatia o al simbolismo, come nelle rappresentazioni collettive» [1983, 145].

28 In questo studio diretto da Serge Moscovici, frutto della collaborazione di numerosi studiosi

(Michael Argyle, Jean-Léon Beauvois, Willem Doise, Nicole Dubois, Nicholas Emler, Miles Hewstone, Denise Jodelet, Robert Vincent Joule, Barbara Lloyd, C. Neil Macrae, Jozef M. Nuttin jr, Louise F. Pendry), viene per la prima volta presentata in modo sistematico e puntuale la categoria della relazione quale centro di tutta la realtà sociale, di cui la psicologia sociale ha il compito di analizzare gli elementi strutturanti.

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L’osservazione delle relazioni sociali conduce il sociologo a concentrarsi sui

mediatori simbolici, intesi come categorie epistemologiche in grado di collegare i

termini della relazione, conferendo a questa una forma significante. Laddove il significato non è riducibile alla sua componente individuale (soggettiva) o inter- soggettiva (oggettivabile), ma, ricomprendendo entrambi i caratteri, viene collocato in un substrato più vasto identificato da Donati con la cultura. Il significato si configura come un nesso di relazioni, che rimandano a simboli, vissuti ed esperienze, insieme soggettivi e inter-soggettivi. La relazione si configura pertanto come un fatto allo stesso tempo:

«simbolico (“un riferimento a”) e strutturale (“un legame fra”). Come tale, non dipende dai soggetti, anche se può “vivere” solo nei soggetti. È in essi che la relazione assume una sensitività del tutto peculiare. Ma l’individualizzazione dei processi percettivi, sensitivi, immaginativi, mentali, anche là dove c’è creatività, non può darsi se non per il tramite di ciò che condividiamo con altri. È questo il senso dell’affermazione che ogni relazione sociale implica un “modello culturale”» [Donati 2009, 78]

Dall’argomentazione condotta da Donati, è constatabile, in primo luogo, la somiglianza di specie tra quello che lui chiama il «modello culturale» e le «rappresentazioni sociali» elaborate da Moscovici. Entrambi i costrutti si collocano in quella sfera intermedia tra il soggettivo (personale) e l’oggettivo (sociale-strutturale) stabilendo tra questi una relazione non deterministica e allo stesso tempo non riduzionistica. Le rappresentazioni, così come la cultura, sono elaborazioni umane non riducibili all’uomo uti singulus, poiché una volta sviluppate acquisiscono un’esistenza autonoma; allo stesso modo, l’azionabiltà di entrambi i costrutti soggiace ad un fitto reticolo di relazioni che ne rendono possibile la formazione, il consolidamento e la trasformazione. Tuttavia, se da un lato la teoria relazionale parla prevalentemente di cultura, al singolare, le rappresentazioni sociali, sono sempre presentate al plurale. Tale distinzione non è riducibile ad una mera differenza grammaticale, ma implicitamente rimanda a due orizzonti teleologici del pensiero differenti. Evidentemente, quando la teoria relazionale utilizza il termine modello culturale al singolare, non sta affermando l’esistenza di una cultura uniforme per tutti i tempi e i luoghi. Se è vero che la teoria relazionale riconosce l’esistenza di differenze culturali come un dato fattuale insopprimibile, allo stesso tempo propone una loro integrazione, o sarebbe

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meglio dire ri-comprensione, nella semantica relazionale29. Attraverso questo punto d’appoggio privilegiato le diverse culture possono essere colte entro il quadro unificato, ma allo stesso tempo non uniformante o alienante, del riconoscimento reciproco, fondato sui valori fondamentali dell’uomo30

. Diversamente, nella concezione psico-sociale di Moscovici le diverse rappresentazioni sociali sono i segni della presenza di molteplici modelli culturali compresenti in una medesima società. In questo senso, la differenza è concepita non solo come un dato di fatto, ma come l’espressione più autentica della realtà stessa delle rappresentazioni sociali. Queste infatti trovano la loro ragion d’essere nella coesione e nell’identità di un gruppo, che si struttura sempre e inevitabilmente in relazione ad un altro31. A tal proposito, Moliner chiarisce molto bene i punti essenziali della filogenesi delle rappresentazioni nel contesto sociale:

«esiste una elaborazione rappresentazionale quando, per ragioni strutturali o congiunturali, un gruppo di individui si confronta con un oggetto polimorfo il cui dominio costituisce una posta in gioco in termini di identità o di coesione sociale. Quando, inoltre, il dominio di questo oggetto costituisce una posta in gioco per altri attori sociali che interagiscono con il gruppo. Quando infine il gruppo non è sottomesso ad un’istanza di regolazione e di controllo che ne definisce un sistema ortodosso» [Moliner 1996, 48].

Il potenziale euristico fornito dalla teoria delle rappresentazioni per la comprensione del fenomeno interculturale è vastissimo. Moscovici [1988, 221] elabora tre distinti modelli rappresentazionali funzionali all’interpretazione delle modalità attraverso cui ha luogo il rapporto tra le diverse culture (rappresentazioni):

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In questo preciso caso, Donati introduce il concetto di «ragione relazionale» che da un lato, sta a fondamento della differenziazione culturale; dall’altro, comprende quella facoltà propriamente umana di introdurre la relazione quale categoria riflessiva del riconoscimento delle differenze stesse. «la ragione relazionale è perciò l’operatore di una mediazione culturale che non è un “tradimento” (Franco Crespi) o una “paradossalità” (la paranoia di Jacques Derrida e Luhmann) nei confronti del libero agire naturale delle persone. È invece l’espressione della necessità che l’esperire vivente umano ha – naturaliter- di essere contestuallizzato in una mediazione, di essere finalizzato a una mediazione, di operare attraverso una mediazione» [Donati, 2010: 110].

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Con valori fondamentali o fondanti, Donati intende quei valori che ineriscono le persone in quanto tali nel rispetto delle relazioni intersoggettive che fanno di un individuo una persona [Donati, 2010, 113].

31 Per inciso, le rappresentazioni sociali come costrutto psico-sociale assumono la realtà del

presente storico e si riferiscono alla società osservata dall’Autore. Pertanto egli, sulla base delle manifestazioni sociali del suo tempo, struttura le rappresentazioni non solo per ciò che attiene al contenuto ma anche alla loro forma che è pienamente concepibile solo nella sua relazione essenziale con la modernità prima e la post-moderna successivamente.

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1. Le rappresentazioni egemoniche (hegemonic representations), condivise da tutti i membri di un gruppo altamente strutturato; esse sono tipiche di gruppi sociali chiusi, nei quali gli stereotipi sugli altri gruppi sono creati e sostenuti attraverso la propaganda.

2. Le rappresentazioni emancipate (emancipated representations), attribuite a quei sottogruppi che in stretto contatto con gli altri creano la propria visione della realtà consentono di stabilire diversi atteggiamenti e una relazione con gli altri, a patto che i precetti centrali non siano violati. 3. Le rappresentazioni polemiche (polemical representations), create in

circostanze di controversie, danno forma a rappresentazioni polemiche che non si presentano uniformemente condivise da tutti i soggetti; prevalentemente presenti nei gruppi di conformazione liberale dove il pluralismo è illimitato e la diversità delle opinioni degli individui è strutturale.

Ciò che distingue le tre categorie oltre al grado di omogeneità interna al gruppo è il livello di apertura relazionale con l’esterno, data dalla capacità di assumere la prospettiva che soggiace alla costruzione rappresentazionale degli altri gruppi. A questo punto, occorre tornare momentaneamente ai presupposti che conducono la teoria relazionale ad affermare una possibile ri-comprensione relazionale delle differenze culturali. Donati [2008, 77] propone tre modalità nel rapporto tra le differenze culturali:

1. La semantica binaria, concepisce la differenza come separazione e discriminazione, che si traduce in un’assenza di reciprocità;

2. La semantica relazionale, riconosce la differenza come relazione che emerge dalle proprietà dei termini che la compongono e afferma, oltre al conflitto e alla negoziazione tra posizioni contrastanti, un’appartenenza reciproca;

3. La semantica dialettica o dialogica, identifica la differenza come luogo di continui conflitti e negoziazioni, la cui sintesi è sempre contingente poiché il riconoscimento è puramente esteriore e non tocca l’identità interna degli attori coinvolti.

L’interpretazione delle dinamiche sottese al confronto fra diversi modelli culturali proposta dai due Autori, pur nella sinteticità con la quale è stata presentata, fa

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emergere delle evidenti analogie. Senza ignorare che le differenti premesse assunte dai due approcci nell’osservazione del fenomeno interculturale - l’una contraddistinta da una prospettiva unitaria declinata dalla semantica relazionale, l’altra incentrata sulla pluralità delle rappresentazioni sociali in un’insuperabile tensione reciproca – sembrano giungere a formulare infine dei modelli di relazione reciproca tra differenti culture del tutto sovrapponibili.

In particolare, la semantica relazionale così come le emancipated representations vengono considerate rispettivamente da Donati e Moscovici come la formula maggiormente comprensiva delle differenze e quindi il modello ottimale nel confronto fra gruppi. L'ipotesi di contatto, proposta da Moscovici [2000], stabilisce a quali condizioni lo scambio tra diversi gruppi può condurre a risultati positivi. Il contatto intergruppo prevede la possibilità di impegnarsi con una rappresentazione sociale diversa dalla propria. In condizioni appropriate, tale contatto genera processi di ri-presentazione che consentono l'assunzione di una prospettiva altra. In questi casi, gli individui acquisiscono la capacità di relazionarsi assumendo la prospettiva dell'altro, sulla base del quadro di riferimento con cui tale prospettiva è legittimata. Nello studio condotto da Moscovici sulla psicoanalisi è possibile cogliere in atto il modello rappresentativo in questione. In un contesto nel quale coesistono differenti posizioni, punti di vista e interpretazioni alternative, ciascuna di esse è costretta ad entrare in contatto con le altre e a ridefinire la propria posizione. Da un punto di vista applicativo e comportamentale le funzioni principali di questo modello sono espresse dalla

Punto di vista Comunicazione Comportamento

hegemonic representations/ semantica binaria uniformità/ autoreferenzialità chiusura/ comunicazione stereotipi/ discriminazione emancipated representations/ semantica relazionale pluralità/ morfogenesi relazionalità/ relazionalità riconoscimento/ riconoscimento polemical representations/ semantica dialettica (o dialogica) pluralismo/ pluralismo conflittualità/ dialettica trasformazione/ contingenza

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comprensione dei modelli tra loro estranei e dalla loro riconfigurazione sulla base di un riconoscimento reciproco del loro nucleo identitario. Un esempio concreto può essere fornito dall’interpretazione della figura dello psicoanalista compiuta dalla stampa cattolica:

«lo psicoanalista colma il vuoto spirituale causato dall’assenza della confessione. Lo psicoanalista stesso è descritto come “il prete di una nuova religione”. La confessione ha un carattere sacro, ma la direzione della coscienza, i cattolici lo riconoscono, non è opera esclusiva del prete. Lo psicoanalista trova una porta aperta, a condizione di non contrastare la vocazione religiosa e di non cercare di sradicare i principi fondamentali della fede» [Moscovici, 1976: 380].

L’approccio relazionale conferma in buona misura tali assunzioni e ne ridefinisce la portata attraverso l’affermazione di un’azione riflessiva del soggetto che prende forma a partire dallo scambio con l’altro. La relazione diventa in questo modo costitutiva dei soggetti che attraverso essa formano la propria identità, stabilendo l’unità nella differenza. Lo sguardo introspettivo consente l’affermazione di un’identità che preesiste allo scambio tra i soggetti e che demarca una differenza tra il sé e l’altro. Allo stesso tempo, tuttavia, la relazione in sé stabilisce una condivisione in grado di arricchire reciprocamente i soggetti. Una forma oggettivabile di questo modello è presentata da Donati con la laicità intesa come un nuovo spirito delle distinzioni:

«che non renda dialettica la relazione in un conflitto permanente e non lo usi in modo binario per discriminare le persone umane, ma la trasformi in un’esperienza di riconoscimento nel circuito complesso dei doni reciproci. Lo spirito è relazionale perché utilizza una semantica relazionale delle distinzioni, come azioni ispirate alla reciprocità. In tal modo, genera una laicità (secolarità) che è apprezzamento delle realtà terrene nel loro proprio ordine di esistenza; ed è riconoscimento della relazione fra identità diverse, in quanto atto libero di dono e accettazione della sua responsabilità» [Donati 2008, 118].

Sia la formula delle hegemonic representations che quella della semantica binaria non consentono lo stabilirsi di un riconoscimento reciproco e si prestano ad essere intese come delle forme culturali uniformanti e pervasive all’interno di un contesto sociale multiculturale. È interessante notare che, nella descrizione proposta da Donati, la semantica binaria viene identificata con la teoria dei sistemi autopoietici e autoreferenziali proposta da Luhmann [1990], il quale legge

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la cultura alla stregua di un sotto-prodotto dalla comunicazione tra Ego e Alter dove di fatto la relazione è inesprimibile poiché il confine fra i due viene concepito come una barriera:

«questo modo di intendere la distinzione definisce solo il termine a quo (il termine A da cui è operata la distinzione) e lascia del tutto indeterminato il termine ad quem (il resto del mondo che non è A, cioè è non-A), se può permettere la definizione dell’identità di Ego, non ne permette alcuna per chi gli è estraneo (Alter). Dunque è per definizione a-relazionale» [Donati 2008, 82-83].

Dall’altra parte, le hegemonic representations vengono paragonate da Farr alla posizione individualistica dominante nella società contemporanea, assunta come presupposizione incontestabile. Un esempio banale che può far comprendere l’incisività di tale rappresentazione è data dal suo estendersi trasversalmente a tutti i livelli di realtà, dal micro al macro: dalle relazioni interpersonali ripiegate sull’affermazione del proprio sé; al rapporto tra istituzioni e società civile incline al misconoscimento di ogni realtà che superi l’affermazione del singolo individuo quale unità di classificazione standardardizzabile32. Infine, le polemical

representations presentano due sistemi culturali tra loro antinomici, che non

possono trovare un accordo reale tra le divergenze, in quanto permane l’insussistenza di un nucleo comune al quale potersi riferire. In questo caso, l’incontro tra i gruppi può dare luogo esclusivamente ad una trasformazione periferica delle rappresentazioni. La semantica dialettica, aggiunge, a quanto è sostenuto dal modello rappresentazionale, alcune considerazioni circa le caratteristiche che questo approccio può assumere nella sua declinazione teorica. Donati individua, a tal proposito, la soluzione proposta da Habermas come un esempio teorico significativo che sistematizza tale tipo di interazione culturale. La prospettiva dialogica habermassiana, pur assumendo i valori civici come il confine comune tra le differenze, non è in grado di stabilire alcuno scambio relazionale tra gli attori coinvolti:

32 A questo livello di realtà si collocano le osservazioni di Martignani [2010] sul «problema della

conflazione generata dall’individualismo istituzionalizzato». Il quadro presentato mette in rilievo un’immagine istituzionale - perché assunta dalle istituzioni - del soggetto ridotta ai soli caratteri utilitaristici e razionalistici, che non è in grado di rendere conto della personalità sociale dell’individuo.

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«La differenza è percepita come esperienza problematica di un desiderio da parte di Ego di avere un alter ego, desiderio che viene deluso a causa dello scarto sempre risorgente con Alter. La ricerca di un mondo comune prende allora la forma di una dialettica, magari discorsiva (per esempio l’etica discorsiva di Habermas), che può trovare solo soluzioni provvisorie e situate, perché Ego e Alter hanno un’identità in linea di principio divergente e conflittuale. I valori su cui ci si accorda devono essere talmente astratti da consentire la reciproca estraneità. […] Lo scarto fra Ego e Alter è una estraneità che non può essere risolta, cioè che non può essere tradotta in alcuna familiarità» [Donati 2008, 81]

Da questo excursus sulla concettualizzazione del rapporto tra differenze culturali, possono essere sollevate diverse considerazioni di carattere critico circa le affinità o le divergenze dei due approcci. In primo luogo, l’apparente inconciliabilità, tra la prospettiva al singolare, proposta dalla teoria relazionale e quella al plurale, delle rappresentazioni sociali, pur mantenendo la distinzione formale di attribuzione di senso, ha evidenziato una profonda somiglianza nel disvelamento dei due termini. Da un lato, quel singolare si è rivelato in sé plurale nella sua essenza relazionale triadica; dall’altro la pluralità delle rappresentazioni fa emergere un’unità nella relazione di riconoscimento tra i soggetti. Secondariamente, il motivo della differenza viene inteso, dai due approcci, come centrato sul nucleo della propria prospettiva teorica. La teoria relazionale concepisce le differenze nei termini di diversi modelli relazionali che chiedono riflessivamente di essere compresi in virtù di ciò che li accumuna, ovvero la struttura relazionale stessa; parallelamente la teoria di Moscovici declina le differenze come espressioni delle molteplici rappresentazioni sociali e identifica la conciliazione tra i modelli oppositivi con il riconoscimento della realtà della rappresentazione, in quanto rappresentazione sociale33. Infine, nell’argomentazione relazionale e rappresentazionale, si è presentata la categoria della riflessività, che è servita a conciliare, in qualità di mediatore simbolico e sociale, le differenze culturali nella relazione di reciprocità tra i soggetti. Benché le formule attraverso le quali tale riflessività è stata esplicitata non siano uguali, i motivi di continuità superano le differenze e, data l’importanza che tale costrutto

33 Su questo punto, particolarmente importante ai fini della comprensione del potenziale euristico

di una lettura integrata dei due approcci, torneremo più avanti. Basti accennare qui l’esistere di un movimento teoretico analogo nel modello relazionale e rappresentazionale, che partendo l’uno dalla relazione e l’altro dalla rappresentazione, senza incorrere in alcuna forma di riduzionismo o di dialetticismo, ritornano rispettivamente alla relazione e alle rappresentazioni.

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può assumere ai fini di un’integrazione teorica tra i due approcci, meritano di essere ulteriormente indagati.

1.3.2.2 Il concetto di riflessività, un ponte tra teoria delle rappresentazioni sociali e teoria relazionale

La riflessività assume un ruolo centrale nel pensiero di Moscovici essendo profondamente implicata nella costruzione dei campi rappresentazionali [Joffe,