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Il lungo cammino che ha condotto alla trasformazione del Vecchio continente nell’attuale Unione ha visto succedersi tempi di maggiore e minore prosperità socio-politica nonché periodi di sostanziale continuità e frattura rispetto al passato. Se, da un lato, il Novecento ha dato forma alla Comunità Europea, dall’altro, ha rappresentato per la scena mondiale - in particolare per l’Europa - un’epoca contraddistinta da profondi contrasti e paradossi ben sintetizzati dall’espressione hobsbawmiana «l’età degli estremi» [Hobsbawm, 1994].

Le due grandi guerre, che hanno percorso la prima metà del Secolo, germinate in Europa fino a divenire conflitti mondiali, hanno segnato una profonda lacerazione per l’unità e per la sopravvivenza della civiltà europea. Tra il 1914 e il 1945 l’Europa ha sperimentato un crescendo di tensioni sostenute dalla forza di rivalità nazionali incontrollate, che celavano il perdurare di rapporti interstatali particolarmente fragili. Non esistevano, infatti, né un sistema di alleanze stabile, nè un equilibrio di potere ben definito, che potessero prevenire o attenuare quel sentimento di sospetto tra i Paesi europei, che ha infine condotto al conflitto. Le avvisaglie della seconda guerra mondiale possono essere individuate in parte nell’epilogo del primo conflitto e in parte nell’impasse nella quale erano venute a trovarsi le relazioni nazionali e internazionali. Uno dei caratteri che ha maggiormente caratterizzato la società europea durante i due conflitti è un sentimento di violenza diffuso: «inter-war Europe saw high levels of political violence, which distinguished it from the years before 1914 or after 1945» [Vinen 2000, p. 179]. Violenza che ha contrassegnato il passaggio dell’Europa alla modernità, attraverso le «sue nette e rigide divisioni tra fronti contrapposti e ispirati da principi, che elaboravano lentamente tutte le problematiche della modernità nelle guerre civili» [Therborn 1995, 356]. In perfetto accordo con un

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modello sociale di tipo hobbesiano, tutto quanto non rientrava di fatto sotto il controllo centrale dello Stato era animato da scontri violenti e non riusciva a trovare in sé i motivi e gli indirizzi di una convivenza civile ed ordinata. Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Europa ha concluso quella lunga stagione di «guerre civili» intestine38. Alla fine del conflitto non solo si contavano milioni di morti ma era il panorama stesso delle città e dei paesi ad imporre l’evidenza di una società in completo tracollo. Le economie uscenti dalla guerra, oltre ad essere state fortemente indebolite dal conflitto, presentavano una grande eterogeneità di base: da un lato, Regno Unito, Belgio, Cecoslovacchia e Svizzera godevano di un’economia prevalentemente industriale; dall’altro, quasi tutti i paesi dell’Europa meridionale e orientale vivevano di un mercato sostanzialmente fondato sull’agricoltura. Da un punto di vista geo-politico, il sistema europeo uscente dai conflitti aveva esaurito il suo ruolo di grande potenza mondiale, lasciando spazio a un sistema globale che non riconosceva più nell’Occidente europeo il centro propulsore della diplomazia internazionale. La società europea nel suo complesso era a uno stadio ancora embrionale di differenziazione interna, nessun paese presentava infatti un’esperienza consolidata di quella cittadinanza democratica e sociale di massa tipicamente moderna. Colin Crouch, in Social Change in Western

Europe, nell’analizzare la formazione dell’Europa contemporanea ha sottolineato

il perdurare di assetti sociali tradizionali e il ritardo con cui la cittadinanza, modernamente intesa, si è affacciata sullo scenario europeo:

«I paesi scandinavi e in qualche misura il Regno Unito si erano spinti più avanti sulla strada di una combinazione di democrazia politica e cittadinanza sociale, ma anche le loro iniziative erano a uno stadio primordiale. L’Austria e la Germania erano state pioniere nella fondazione dei primi elementi della cittadinanza sociale a partire dal tardo Ottocento, ma in assenza di un contesto democratico, cui seguì l’avvento del nazismo. In Francia, l’evoluzione aveva marciato in direzione opposta (democrazia forte con uno stato sociale debole). Fatta eccezione per questi casi, che i paesi avessero vissuto o meno il fascismo tra le due guerre, il loro passato offriva scarsi riscontri utili» [Crouch 1999, 21].

Lo sviluppo della cittadinanza moderna nei diversi Paesi europei è avvenuto parallelamente, come si vedrà in seguito, al procedere dell’integrazione.

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Ernst Nolte, La guerra civile europea, 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, BUR, Rizzoli, 2004; E. Traverso, A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, il Mulino, Bologna, 2008; Richard Vinen, A History in Fragments – Europe in the Twentieth Century, Abacus, London 2000, p. 179.

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Superati i conflitti che hanno segnato la prima metà del novecento, il sentimento sociale che prendeva il posto della violenza diffusa era «una sorta di tolleranza organizzata» [Crouch 1999, 19] caratterizzata dalla cooperazione tra le istituzioni e i diversi attori coinvolti nel processo di restaurazione economica e politica. Questo mutamento nelle dinamiche sociali viene descritto da Crouch nei termini di un «liberalismo sociologico strutturato». Con il termine «liberalismo» l’Autore non allude al suo significato economico o politologico, bensì identifica una fattispecie propriamente sociale che trae il suo motivo ispiratore e la sua esemplificazione nella «verzuiling olandese»39, ovvero una particolare riorganizzazione della società articolata sulla base del credo religioso.

«Gli aspetti essenziali sono dati dalla sottile combinazione di separazione e cooperazione, e dalla considerazione che quanto appare come una questione di idee e di valori è in realtà materializzato in solide strutture di relazioni sociali» [Crouch 1999, 20].

L’interessante analisi della società proposta da Crouch evidenzia un processo di convergenza dei diversi paesi europei verso una sempre maggiore uniformità, da lui sintetizzato con l’espressione: «compromesso sociale di metà secolo». Adottando il modello del quadrilatero di istituzioni operanti nella società40 l’Autore mette in luce l’emergere di un assetto sociale europeo peculiare caratterizzato da:

1. Attività economiche industriali;

2. Un sistema di proprietà e di controllo delle risorse capitalistico;

3. Una comunità avente una struttura liberale dal punto di vista sociologico; 4. L’affermarsi della cittadinanza.

39 Le radici di tale orientamento sociale possono essere rinvenute nel modello proposto da Locke

con la sua Lettera sulla tolleranza del 1688.

40 Il quadrilatero proposto da Crouch presenta una singolare somiglianza con il modello

parsonsiano AGIL. Crouch prende infatti in esame quattro insiemi di elementi che operano nella società moderna: «1) le attività economiche, attraverso le quali viene superato il problema della scarsità di cibo, beni e servizi, e vengono soddisfatti i bisogni e le esigenze relativi; 2) il sistema della proprietà e del controllo delle risorse, in cui queste attività sono inserite; 3) l’ambito tematico non legato all’economia, che a sua volta può essere articolato in due parti: la comunità e la società politica. La prima è correlata a fenomeni di identità e di solidarietà affettiva (principalmente la famiglia, la religione, l’appartenenza etnica e la nazione); la seconda si riferisce alle strutture politiche, all’organizzazione degli interessi e ai diritti della cittadinanza» [Crouch 1999, 18]. Tali componenti del quadrilatero operano nella società secondo un certo livello di interdipendenza e di costante tensione tra i diversi poli.

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L’equilibrio delle sopracitate caratteristiche va a comporre il complesso quadro delle società europee, le quali per quanto presentino differenti gradi di variabilità nelle relazioni tra i quattro poli, convergono nel realizzare congiuntamente le condizioni economiche, politiche, sociali e identitarie summenzionate.

Nel presente capitolo si cercherà di contestualizzare l’evoluzione dell’Unione europea mostrando in che modo le unità politiche che la compongono si sono modificate nel corso degli anni. L’attenzione si focalizzerà sull’interazione tra le dinamiche interne (struttura economica e rapporti di classe) ed esterne (sistema internazionale e guerre).

Verranno rintracciate le differenti radici storico-materiali e politico-ideali del sistema internazionale europeo, al fine di comprendere come queste hanno originato le dinamiche socio-politiche peculiari dell’UE da cui è scaturita una forma originale di cittadinanza. Per ricostruire un quadro rappresentativo del processo di costruzione europea maggiormente aderente al reale si adotterà il metodo della sociologia storica:

«Un approccio critico che rifiuta di trattare il presente come una entità autonoma fuori dalla storia, ma che invece insiste nel radicare il presente entro un preciso contesto spazio-temporale» [Hobson 2002, 13].

Seguendo tale impostazione, i diversi concetti utilizzati dagli studiosi del processo di integrazione europeo potranno essere problematizzati e messi in discussione. Verrà posta una particolare attenzione alle interazioni dei diversi sistemi politici interessati direttamente o indirettamente alla costruzione comunitaria, evidenziando sia gli apporti della politica interna nell’economia dell’ordinamento europeo, sia i contributi che la sfera europea ha, di rimando, recato alle singole nazioni, infine, verrà altresì posta una particolare attenzione al contesto globale entro il quale si è andata formando la Comunità. Il costante interscambio tra dinamiche interne e relazioni internazionali mostra l’inefficacia di quegli approcci radicalizzati nel presente che tendono a leggere le relazioni tra i diversi attori sulla base di categorie logiche e concettuali estrinseche. L’attenzione alla dimensione storica del processo consente al contrario di mettere in luce e problematizzare la forma e l’identità che è andata assumendo l’Unione europea. Infine, per quanto inerisce più perspicuamente all’economia del presente lavoro, verrà illustrato l’ambiente e le dinamiche che hanno dato luogo allo strutturarsi della cittadinanza

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europea attraverso la svolta politica decisiva per l’Unione europea intervenuta con Maastricht.

A fronte di una concettualizzazione storicamente orientata delle dinamiche e dei termini del processo di integrazione europea, si analizzerà il portato della sua costruzione ed evoluzione adottando l’ermeneutica relazionale proposto da Pierpaolo Donati. L’ipotesi di fondo che orienterà le analisi risiede nella possibilità di intendere l’integrazione europea nei termini di un’«eccedenza sociale», ovvero di un risultato inatteso, perché non compreso nelle sue premesse, di uno scambio relazionale tra diversi attori istituzionali, che è a sua volta principio di cambiamento ed evoluzione poiché caratterizzato da una propria costituzione interna e da una propria identità. L’interpretazione in chiave relazionale dell’UE si propone pertanto di analizzare: lo strutturarsi dell’Unione nei termini di una relazione sussistente tra i diversi Stati membri, dai quali dipende ontologicamente, mantenendo pur tuttavia una propria identità reale e distinta, avente una costituzione interna ed esterna in grado di condizionare i Paesi stessi. Nelle intenzioni dei padri costituenti gli Stati, intesi come agenti relazionali nella formazione della Comunità, erano rivolti al perseguimento del bene comune. Dove il bene comune si configurava, in linea con le condizioni storiche del presente, nei termini di una garanzia incrollabile di pace, di una ripresa economica che potesse garantire alla società migliori condizioni di vita e di un’estensione dei principi democratici all’interno del continente europeo. La realizzazione di tale progetto, nel disegno originario, risiedeva nella normatività intrinseca alla relazione instaurata tra i diversi Stati, opposta alle visioni particolaristiche o egoistiche delle singole realtà nazionali. Il bene comune dell’Unione europea potrebbe pertanto essere equiparato a una particolare forma di bene relazionale. Esso è infatti generato, riconosciuto e consolidato soltanto dall’insieme dei popoli membri che si sottopongono volontariamente ad un medesimo ordinamento.

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