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Dalla Comunità europea all’Unione europea

2.2 EVOLUZIONE STORICA DELL’UNIONE EUROPEA

2.2.2 Dalla Comunità europea all’Unione europea

Fino al perdurare degli equilibri internazionali posti in essere dalla guerra fredda l’Europa, costretta in senso difensivo sul fronte orientale e indirizzata nella prassi politica dagli interventi strategici americani, ha vissuto un periodo di sviluppo lineare. Con la caduta del Muro di Berlino e il collasso del regime sovietico, una serie di nuove variabili hanno fatto il loro ingresso sullo scenario europeo. In primo luogo, L’Europa non si è più posta come un’alternativa economica al blocco socialista e non ha più dovuto incarnare una difesa socio-politica, funzionale agli interessi degli alleati americani. Questo ha condotto, nel breve e lungo periodo, ad un progressivo indebolimento del sostegno americano diretto alla costruzione comunitaria. Di contro, gli Stati europei hanno acquisito una maggiore libertà di azione politica ed economica, che ha contribuito ad un

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approfondimento del processo di integrazione in senso riflessivo51. A fronte di queste importanti trasformazioni i Paesi membri hanno potuto, infine, sperare di riconquistare un ruolo di primo piano nello scenario geopolitico mondiale, anche opponendosi alle linee politiche statunitensi.

A livello comunitario, l’effetto del mutamento intervenuto nel panorama mondiale è rinvenibile dalle istanze proposte dal Trattato sull’Unione europea (TUE, firmato a Maastricht nel 1991, ed entrato in vigore nel 1993). Il Trattato non solo ha segnato un passo decisivo verso l’approfondimento del processo di integrazione, ma si è altresì posto come un’ulteriore risposta alla diversa configurazione della Germania.

«La riunificazione tedesca produceva un’ulteriore spinta alla revisione delle regole politiche dell’integrazione. La disintegrazione dell’impero sovietico e la conseguente pressione di nuovi Stati e di nuovi problemi ai suoi confini imponevano alla Germania e al resto d’Europa un ancoraggio reciproco, solido ed efficace nel quadro di un’unione politica. La spinta verso un’unione politica a natura federale era dunque determinata sia dalla necessità di costruire un supporto politico e istituzionale all’unione monetaria, sia dall’esigenza di una politica unitaria nella nuova realtà europea, dopo la fine del blocco sovietico» [Olivi, Santaniello 2005, 171].

La riunificazione della Germania ha perpetuato, nello scenario europeo, tensioni per certi versi simili a quelle che si presentarono al termine del secondo conflitto. Allo stesso modo la risposta dei governi europei fu analoga a quella avanzata con la prima formazione comunitaria. La soluzione ad un potenziale rinnovamento del «problema tedesco» fu infatti individuata in un ulteriore approfondimento dell’integrazione europea. La questione tedesca che si ripresentava sullo scenario europeo non era chiaramente rivolta ai timori per lo scatenarsi di un nuovo conflitto, ma era alimentata dall’accresciuta consistenza demografica ed economica di un Paese che, avendo raggiunto un peso internazionale superiore rispetto a quello degli altri Stati europei, avrebbe potuto intraprendere scelte politiche indipendenti rispetto a quelle comunitarie. Sradicando ogni timore, il

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L’allontanamento della strategia internazionale americana dalla Comunità europea e il conseguente incremento di libertà negli indirizzi politici europei, hanno in parte contribuito ad invertire la tendenza all’americanizzazione che aveva contraddistinto il ventennio post bellico. Espressione di questo distanziamento non solo politico ma anche sociale e culturale è l’opposta concezione del potere maturata nei due ordinamenti: da un lato gli Stati Uniti si sono fatti portatori di un hard power basato sulla forza militare, al contrario l’Europa attraverso la sua costruzione comunitaria ha incarnato un assetto governativo guidato da un soft power. Un’analisi più dettagliata sul tema è stata proposta da Robert Kagan in Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale, Mondadori, Milano 2003

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cancelliere tedesco Helmut Kohl, grande europeista di orientamento cristiano- democratico, eletto nel 1983, accettò di mettere in comune lo strumento più forte di cui la Germania disponeva, appoggiando la costituzione della moneta unica europea.

Il TUE, ancor prima di delineare una ridefinizione dell’assetto strutturale europeo, ha consentito all’Unione di approfondire in modo irreversibile il processo di integrazione economica estendendone il campo di azione. Dalla CECA all’Atto unico la Comunità europea si era andata formando mediante progressive modifiche in senso intensivo (della struttura interna e istituzionale della Comunità) ed estensivo (con l’allargamento ad altri paesi). Il TUE segna un punto di svolta nella governance europea, che a fronte dei successi economici ottenuti si dirige verso l’instaurazione di un’Unione Economica Monetaria (UEM). La politica economica inaugurata dal Trattato prevede, infatti, il coordinamento degli indirizzi economici attraverso l’istituzione di una sorveglianza multilaterale e il consolidamento di una disciplina finanziaria e di bilancio comune. Il fine ultimo delle disposizioni è il raggiungimento di una generale stabilità del mercato europeo, per mezzo dell’introduzione di una moneta unica.

Per quanto l’aspetto economico ricopra una posizione di prim’ordine nelle priorità del TUE, le innovazioni apportate dal Trattato alla struttura europea, non si limitano al mercato, ma si estendono alla costruzione di una maggiore unione politica. Nel Titolo II vengono enucleate le disposizioni che modificano il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea per creare la Comunità Europea. Tale esplicitazione non ha carattere meramente nominalistico ma evidenzia il superamento delle finalità esclusivamente economiche del processo di integrazione. Vengono così posti due obiettivi specificamente politici: l’implementazione dell’efficienza istituzionale comunitaria e lo sviluppo della dimensione sociale della Comunità. Per quanto concerne l’allargamento delle competenze in seno alla comunità si ricordano, tra gli altri, i settori delle reti trans europee, della politica industriale, dell’ambiente, della tutela dei consumatori, dell’istruzione e formazione professionale, della gioventù e della cultura52

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Se l’approfondimento dell’economia e della politica comunitarie hanno rappresentato un notevole progresso in termini quantitativi per il processo di integrazione europeo, il vero salto qualitativo operato dal Trattato si dà con il protocollo sulla «politica sociale» (al quale non aderiscono tuttavia Regno Unito e Irlanda del Nord). Con l’introduzione della sfera sociale nella struttura europea non solo si allarga il suo raggio di azione mediante un’estensione di competenze, ma viene a mutare la sua stessa configurazione.

«La Comunità e gli Stati membri hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo la lotta contro le esclusioni. A tal fine, la Comunità e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia della Comunità» [art. 1, Accordo sulla politica sociale, TUE].

Con l’inserimento del «protocollo sociale» i settori d’intervento dell’UE arrivano a comprendere numerosi ambiti, prima appannaggio esclusivo dell’interesse Statale. Nell’ambito sociale tra le grandi innovazioni apportate dal Trattato, viene introdotta per la prima volta in termini formali53 la cittadinanza europea, che compare già nel preambolo del TUE occupando ben due paragrafi dei tredici complessivi:

«DECISI ad istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi» [TUE].

«DECISI a portare avanti il processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà» [TUE].

53 L’introduzione della cittadinanza europea non avviene in termini estemporanei all’improvviso,

nel vertice di Copenaghen del 1973, infatti, l’idea di una cittadinanza sovranazionale aveva iniziato a prendere corpo. «At the 1973 Copenhagen Summit, a paper on "European Identity" was issued. This paper broadly defined European identity as being based on a "common heritage" and "acting together in relation to the rest of the world", while the "dynamic nature of European unification" was to be respected. At the meeting between the heads of government and Commission president Ortoli in Paris 1974, this idea was transformed into policy objectives. In this Council document, citizens were, for the first time, considered as participants in the process of European integration, not as consumers but as citizens. This notion of citizens thus became a new informal resource of the acquis communautaire» [Wiener 1997].

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Il rilievo dato alla cittadinanza, posta tra i principi dell’intero Trattato, mette in luce l’esigenza di tradurre l’approfondimento economico e politico in termini civici. Non è un caso che essa compaia nel medesimo articolo accompagnata da un riferimento alla sussidiarietà. L’apertura delle istituzioni europee al cittadino è stata infatti un’operazione resasi necessaria dalle aumentate competenze che queste avrebbero assunto a fronte delle numerose cessioni di sovranità da parte degli Stati membri. In tal senso, cittadinanza e sussidiarietà si pongono a salvaguardia di un principio di democraticità che non vuole in alcun modo essere contraddetto dalla formazione istituzionale europea. Tuttavia, il rapporto tra democrazia e Unione europea rimane nel tempo uno dei nodi problematici di maggior spessore54.

L’istituzione della cittadinanza europea, letta nei termini storici che sono stati qui presentati, coincide con l’esigenza di configurare un’entità economica-politica- sociale sui generis indipendente e autosufficiente. Se il percorso compiuto dalla Comunità in precedenza rispondeva in buona parte all’esigenza degli equilibri internazionali, una volta venuta a mancare questa condizione, l’Europa si è trovata dinnanzi alla necessità di costituirsi non più solo in termini residuali ma integralmente. Questo processo non deve essere letto come un cambiamento di rotta rispetto alle intenzioni iniziali promosse dai padri costituenti, al contrario le approfondisce attualizzandole. In termini sistemici è possibile intendere la costruzione della cittadinanza europea al pari di un’esigenza posta all’autoconservazione di un’entità, in virtù della privazione del suo ambiente di riferimento. L’introduzione della cittadinanza era di fatto e di diritto necessaria affinché la dimensione del mercato non fagocitasse l’intero sistema sociale europeo, riducendo l’Unione a un mero aggregato economico.

Fatte queste dovute precisazioni, risulta comprensibile il sospetto rivolto alla nuova dimensione sociale dell’Unione, se si guarda, in termini di risultati agli effetti a cui tale estensione ha dato corso. Per quanto l’intenzione, di carattere normativo e forse anche ideale, di strutturare una sfera civile europea fosse non solo coerente rispetto al disegno complessivo di riforma ma altresì necessario, la sua effettiva attuazione ha risentito di un eccesso di ottimismo, a cui non ha fatto seguito una prassi all’altezza delle aspettative. Nella parte II del Titolo II:

54 Verrà trattato più diffusamente in seguito, nel capitolo IV, il tema del deficit di democrazia

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l'istituzione della cittadinanza europea si sostanzia di alcuni obiettivi particolari, attraverso i quali è possibile definire quale significato ha avuto l’ingresso del cittadino nella sfera pubblica europea:

«Il presente trattato segna una nuova tappa nei processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini» [TUE Titolo 1, Articolo A].

«L'Unione si prefigge i seguenti obiettivi: rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l'istituzione di una cittadinanza dell'Unione» [TUE Titolo 1, Articolo B].

L’istituzione della cittadinanza ha quindi coinciso nelle sue premesse fondamentali con un avvicinamento del potere decisionale ai suoi cittadini e all’armonizzazione dei rapporti tra i molteplici demoi. La figura del cittadino europeo si pone quindi a tutela della democraticità del processo governativo dell’Unione.

Il principio di sussidiarietà, strettamente correlato all’introduzione della cittadinanza, la precede nella sua esplicitazione istituzionale. Esso infatti viene applicato, seppur debolmente, per la prima volta alla politica dell'ambiente e delle imprese, nell'Atto unico europeo del 1987.

«La Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri. Fatte salve talune misure di carattere comunitario, gli Stati membri assicurano il finanziamento e l'esecuzione delle altre misure» [AUE Titolo VII, Art.130,4].

«Salvo contrarie disposizioni del presente trattato o del proprio statuto, ogni impresa comune è soggetta alle norme applicabili alle imprese industriali o commerciali; gli statuti possono richiamarsi in via sussidiaria alle legislazioni nazionali degli Stati membri. Fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia in virtù del presente trattato, le controversie interessanti le imprese comuni sono decise dalle competenti giurisdizioni nazionali» [AUE Capo V, Art.49].

L’interpretazione comunitaria del principio di sussidiarietà precisa che nei settori la cui competenza è condivisa, l’Unione interviene soltanto se gli obiettivi possono essere realizzati meglio a livello europeo piuttosto che a livello nazionale. L’impostazione sussidiaria delle politiche europee trova una più compiuta espressione nell'articolo A del TUE che prevede una gerarchia decisionale «il più vicino possibile ai cittadini». La cessione di sovranità ha quindi

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corrisposto, in linea con i principi democratici, a una maggiore influenza della società civile europea nel processo decisionale. Con il passaggio dalla Comunità all’Unione europea si è stabilito un importante compromesso: tra una maggiore integrazione europea e il rispetto delle prospettive dei singoli Stati.

L’evoluzione intervenuta nei documenti dell’Unione rispetto al tema della sussidiarietà mostra chiaramente il suo progressivo spostamento dalla sfera istituzionale europea alla sfera civile. Con questo non solo si rende ragione dell’introduzione del nuovo status di cittadino europeo, ma si palesa un maggiore e migliore recepimento del principio di sussidiarietà nei suoi termini di attivazione orizzontale della società civile. Il principio di sussidiarietà ha incontrato un giudizio mediamente favorevole nella popolazione, di cui il 56% si è dichiarato favorevole ai principi operativi promossi dalla sussidiarietà, contro un 25% contrario.

2.2.3 Profilo socio-politico del processo di integrazione europeo