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Alle origini della cittadinanza moderna

3.2 QUALE CITTADINANZA? UN CONCETTO POLIMORFO

3.2.1 Alle origini della cittadinanza moderna

La riflessione scientifica sul concetto di cittadinanza ha condotto un percorso del tutto singolare; nonostante la centralità di tale categoria all’interno della dimensione pubblica (sia sociale che economico-politica), l’analisi sociologica propriamente incentrata sulla cittadinanza ha tardato a svilupparsi, relegando tale

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categoria al campo di indagine delle scienze del diritto. Nel contesto italiano, in particolare, si è registrato un significativo ritardo nell’assunzione di tale issue, di cui ne dà testimonianza lo scarto temporale trascorso per la riproposizione in traduzione italiana del testo classico Cittadinanza e classe sociale di Thomas Marshall edito nel 1950 e pubblicato in Italia solo sul finire degli anni Settanta. Inoltre, la reale esplosione degli studi sulla cittadinanza ha preso avvio almeno un decennio più tardi, con la piena affermazione della cittadinanza quale tema fondamentale di ricerca e di dibattito tra le scienze sociali e politiche. Il lento percorso cognitivo di messa a tema del concetto ha finito poi per raggiungere il discorso pubblico, assurgendo a categoria imprescindibile per la comprensione della società, da un punto di vista ex parte populi [Zincone 1992; Zolo 1999; Mezzadra 2004].

La cittadinanza, quale concetto guida del sociale, manifesta il suo valore euristico in una molteplicità di fattori, il più rilevante dei quali risiede nella stretta correlazione tra la configurazione della cittadinanza e i modelli sociali. È vero infatti che le tempistiche, le metodologie e le proprietà connesse all’assegnazione dello status di cittadino hanno una forte incidenza nel determinare specifiche relazioni sociali e modelli diversificati di integrazione nell’arena pubblica. Come ha mostrato Zincone, nel celebre studio Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e

le vie della società civile, il fenomeno della cittadinanza determina in modo

significativo i contorni sociali della realtà, a partire dalla sfera micro degli interessi soggettivi, fino ad arrivare al livello macro dei rapporti di potere e dei correlati assetti politici [Zincone, 1992]. Esemplificando, la cittadinanza, così come viene intesa nel modello classico ateniese, ristretta a un numero limitato di soggetti titolari di diritti, i quali giocano un ruolo di fondamentale importanza nella vita pubblica della polis, configura un modello sociale profondamente diverso rispetto a quello prospettato dalla cittadinanza moderna istituita col sorgere dello stato-nazione. La direzionalità della correlazione tra i modelli sociali e la cittadinanza, tuttavia, non è altrettanto chiaramente definibile. L’indeterminatezza causale potrebbe essere inserita all’interno del più ampio dibattito sul rapporto tra demos e democrazia che vede, al pari della precedente correlazione, una direzionalità causale tra i due termini sfumata e difficilmente districabile. Sebbene non sia possibile stabilire quale delle due funzioni possa

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essere intesa come variabile indipendente rispetto all’altra, sussiste un punto intermedio di congiunzione tra le due categorie, che potrebbe contribuire alla comprensione del loro rapporto reciproco. L’anello di congiunzione può essere collocato nella dimensione antropologica e relazionale che nell’individuare una peculiare conformazione di tipi antropologici e di relazioni sociali, contribuisce a definire sia l’assetto sociale che il profilo della cittadinanza. Ed è propriamente a partire dalla configurazione relazionale ed antropologica soggiacente alla figura del cittadino e all’ordine sociale che si misurerà la portata della cittadinanza europea.

Nonostante l’interesse delle scienze sociali per il concetto di cittadinanza abbia iniziato a manifestarsi solo a partire dagli ultimi decenni del Novecento, il termine è pervenuto sino ad oggi accorpando stratificazioni di senso provenienti non solo dal contesto giurisprudenziale, ma anche e soprattutto da una lunga storia del pensiero filosofico. Non si intende qui entrare nel merito della storia giuridica del concetto, per la quale si rimanda ad una specifica documentazione bibliografica64. Tuttavia, la vicenda del diritto e del pensiero giuridico compariranno nella breve disamina sugli antecedenti filosofici del concetto di cittadinanza, in virtù del legame sia formale che contingenziale tra filosofia e diritto. Una completa ed esaustiva ricostruzione del complesso teorico che ha posto le basi concettuali della cittadinanza moderna, sarebbe un’impresa che richiederebbe più spazio di quello concesso dal presente studio. Ne è testimonianza tangibile il lavoro magistrale condotto da Costa, dal titolo Civitas, che, pur “limitandosi” a presentare la storia del pensiero giuridico-politico del concetto di cittadinanza a partire dalla civiltà comunale fino alla sua realizzazione novecentesca, ha comportato la stesura di ben quattro volumi, pubblicati da Laterza tra il 1999 e il 2002.

La storia pre-moderna dell’idea di cittadinanza prende forma dalla sua archè greca classica, confluita successivamente nel modello romano del diritto, per giungere poi all’esperienza delle città medioevali. La sua prima enunciazione risale alla

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E. BARSANTI, Cittadinanza, in Enc. giur. it., Milano, S.E.L., 1913 (vol. III, parte II), p. 603; O. BRUNNER, Per una storia costituzionale e sociale, Vita e Pensiero, Milano 2000; G. CLEMENTE, Guida alla storia romana, Mondadori, Milano 2008; E. DE RUGGERO, Il diritto di cittadinanza romana nei primi tempi dell’Impero, Napoli 1867; P. GROSSI, L’Europa del diritto, Laterza, Roma-Bari 2007; E. GROSSO, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici, I modelli storici di riferimento, Padova 1997; A. GUARINO, Storia del diritto romano, XII ed., Napoli 1998; A. SCHIAVONE (a cura di), Storia giuridica di Roma, Giappichelli, Torino, 2016; O. SECHI, Cittadinanza - Diritto italiano e legislazione comparata, in Dig. It., Torino 1897-1902; M. LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico, Torino 2004;

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koinonia politon [Aristotele, 158] descritta da Aristotele. La realtà sociale a cui si

riferisce il filosofo è quella di una piccola città, la polis, della quale i cittadini (politai) sono parte indisgiungibile, nell’adesione ad un medesimo patto politico che istituisce la collettività politica e l’identità dei suoi membri [Herman Hansen 2016]. La cittadinanza si presenta qui come un’attribuzione non meramente geografica, o limitata all’assoggettamento ad un ordinamento giuridico, ma corrisponde alla partecipazione dei soggetti nella costruzione politica della comunità. È cittadino colui che prende parte al giudizio (nei tribunali) e al governo della città. La condizione fondamentale per potere accedere a tale status risiede nell’educazione (paideia) e nella libertà degli attori sociali; ovvero, dipende dalla possibilità (sia formale che materiale) di potere impiegare il proprio tempo per il bene della cosa pubblica. Il successivo approfondimento giuridico avviene durante l’Impero romano, che introduce normativamente la cittadinanza nella sfera del diritto. Dalla declinazione giuridico-politica del civis è possibile rinvenire, seppure allo stato embrionale, quello che può essere tradotto in termini moderni come lo Stato di diritto. Inoltre, non era solo l’attribuzione della cittadinanza a garantire una serie di diritti, ma questi si estendevano anche agli stranieri, mediante due diverse procedure atte a colmare la distanza tra inclusione ed esclusione politico-sociale. Da un lato, attraverso la concessione dello ius

commerci, sotto il profilo del godimento dei diritti privati, lo straniero era

assimilato al cittadino. Dall’altro, vengono istituite forme di protezione giuridica estranee al diritto di cittadinanza, attraverso un ampliamento della normativa locale della città. Quest’ultima espressione giuridica si è poi concretizzata nell’istituzione dello ius gentium, ovvero, in un diritto comune a tutti, cittadini e stranieri [Colognesi 2009]. Con i borghi medioevali e la nascita delle corporazioni, la società si organizza sulla base di due ordini: l’ordine orizzontale e quello verticale. Mentre il primo orizzonte comprende la stratificazione della cittadinanza non più sulla base delle singole individualità ma articolata in funzione dei molteplici corpi che compongono la società. L’ordine verticale stabilisce la gerarchia posta a garanzia della convivenza e dell’integrazione tra le diverse forme associative. L’autorità politica assume così un orizzonte di potere limitato al riconoscimento giuridico e istituzionale dei diversi organi liberamente formati dai cittadini. La comunità stessa si sviluppa come associazione di cittadini

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sulla base di un atto di fondazione e sulla costruzione di un mito fondativo, la

coniuratio, che sancisce un legame sacro tra cittadino e città [Prodi 1992]. Gli

sviluppi della città sono legati alla dimensione «dell’autonomia» dei soggetti sociali, i quali si fanno promotori di un ordinamento nel quale è impresso lo «slancio ‘costituente’ di un soggetto collettivo» [Grossi 1998, 275-292]. La cittadinanza si esprime pertanto attraverso una serie di condizioni soggettive differenziate e gerarchizzate, non realizzando uno status uniforme, ma un contenitore di oneri e privilegi diseguali, in accordo con la conformazione delle parti che compongono il corpo sociale. La logica dell’identità e dell’appartenenza è orientata da un doppio registro che comprende la prima istanza corporativa di riferimento e l’unione tra i corpi e il comune nel quale sono inseriti.

La portata teorica delle stratificazioni semantiche che hanno contribuito a disegnare i contorni della cittadinanza, prima ancora che si sviluppasse nella sua formulazione materiale oltreché ideale nella modernità, mettono in luce le complessità e le ambiguità del concetto. Si vede come la cittadinanza greca avanzi l’istanza, poi assunta dalla modernità, della partecipazione e della correlata libertà positiva di azione e costruzione consociata della sfera pubblica. D’altra parte, l’orizzonte romano identifica lo status di cittadino con un insieme di diritti e privilegi, mentre afferma allo stesso tempo forme di riconoscimento giuridico superiori rispetto all’appartenenza politica del cittadino. Infine, il modello medioevale, con la sua complessa articolazione corporativa, disegna una cittadinanza multipolare non riducibile alla singolarità dell’individuo ma compresa nell’organizzazione di una «moltitudine ordinata» [Tommaso 1962]. Benché sussistano elementi di continuità, tra la cittadinanza pre-moderna e moderna, il ripensamento della fondazione di tale istituto, avvenuto con la modernità, pone la cittadinanza su un piano sociale e politico del tutto originale. Il modello oggi quasi unanimemente assunto come archetipico della cittadinanza, inizia a formarsi da un lato, con la realizzazione dell’istituzione statale e dall’altro, con l’imporsi dell’economia capitalistica e dell’ideale di eguaglianza. La modernità definisce i caratteri principali della cittadinanza, conferendo allo stesso tempo uno statuto antropologico particolare al soggetto titolare di tale

status. La cittadinanza viene assunta, in prima istanza, come un’attribuzione

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centralità non solo sociologica ma anche giuridica e politica. In linea con le tesi giusnaturalistiche dello stato di natura, presupposto alla formazione dell’ordine sociale, si danno insieme la costruzione della moderna cittadinanza e l’affermazione di un attore sociale individualisticamente inteso. Dalle tesi di Lock, fino ad arrivare a Kant, le qualità determinanti per la costruzione oggettiva e soggettiva della cittadinanza risiedono:

1. nella libertà di ogni membro della società, in quanto essere umano; 2. nell’uguaglianza di ciascuno rispetto all’ordinamento legale al quale tutti

sono assoggettati;

3. nell’indipendenza di ogni membro della comunità.

La cittadinanza moderna rappresenta, da un punto di vista storico, il più grande successo della rivoluzione francese, di cui è possibile rilevare una traccia incontestabile nel testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. La formulazione rivoluzionaria compone una categoria fondamentale del concetto di cittadinanza, laddove il termine rivoluzione deve essere inteso però nella sua essenza illuministica di progresso verso un ideale di verità pragmatica. Inoltre, il fondamento rivoluzionario reca in nuce due movimenti ideologici in netta contrapposizione tra loro, che si declinano nell’arco degli stessi anni rivoluzionari (1789-1795) e che continueranno ad interessare il percorso evolutivo della cittadinanza moderna. In un primo momento la rivoluzione sostiene la valorizzazione dei diritti fondamentali dell’individuo, infine le forze direttrici conducono alla radicalizzazione dell’apparato statuale, custode dell’ortodossia politica. I due registri rivoluzionari che concorrono a definire la cittadinanza moderna, come l’espressione di una forza contestativa e allo stesso tempo come un istituto posto tra la massima affermazione dell’individuo e la massima espressione dello stato, sono ad un tempo questioni che interessano direttamente l’evoluzione della cittadinanza quo talis e la sua formulazione transnazionale europea.

Nell’esaminare il lascito dell’epoca rivoluzionaria, Grossi ha posto a tema la dicotomia tra uguaglianza degli individui e statalismo, facendo intravedere nelle aporie di tale costrutto alcuni dei tratti socio-politici che possono essere ricondotti alla cittadinanza dell’Unione.

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«La strettissima uguaglianza giuridica provocava, infatti, una inevitabile massificazione, rendeva la massa una sorta di piattaforma passiva ed esaltava figura e ruolo dei rappresentanti […] La rigida uguaglianza deformava la rappresentanza politica a tutto vantaggio del cosiddetto rappresentante, appiattiva la funzione elettorale, faceva giganteggiare il corpo degli eletti, dava vita a un centralismo politico-giuridico provocando una articolazione elitaria nella configurazione del nuovo Stato» [Grossi 2007, 131-132].

Un’ulteriore categoria generativa della cittadinanza moderna si radica nel concetto di libertà, così come viene definito in termini positivi da Kant, ovvero una libertà intesa come l’arbitrio del singolo nel tendere alla realizzazione della propria felicità, con il limite di non ledere il diritto degli altri al perseguimento del medesimo fine. Benjamin Constant ha approfondito la semantizzazione del termine, attraverso un confronto tra la declinazione della libertà nel pensiero degli antichi e dei moderni [Barberis 1988]. Le due formulazioni del concetto, si muovono entro sfere differenti, mentre quella degli antichi è indirizzata all’azione, quella della modernità rientra nella sfera dell’indipendenza del soggetto rispetto al potere. A bilanciamento della libertà privata, acquisita per mezzo dell’indipendenza, si colloca la giustificazione di una sovranità limitata e allo stesso tempo l’affermazione del principio di rappresentanza.

Uno sguardo sintetico sulla tradizione del pensiero classico e moderno consente di costruire un’articolata modellizzazione del concetto di cittadinanza che comprende le reciproche interrelazioni tra tutti gli elementi coinvolti. Attraverso lo strumento euristico AGIL, la composizione che risulta, dall’integrazione delle diverse componenti che hanno storicamente costituito l’idea e la prassi di cittadinanza, rende chiaramente l’idea di un sistema multipolare.

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Come si può evincere dalla riproduzione grafica, le stratificazioni di senso che compongono le diverse categorie della cittadinanza non si eludono vicendevolmente ma si integrano, apportando approfondendo in termini ricorsivi il concetto di cittadinanza. La declinazione moderna del concetto, benché sia compresa nelle sue premesse da elementi premoderni, sembra avere interrotto il rapporto di reciproco interscambio tra le parti, ovvero la relazione tra: la realtà strumentale dell’effervescenza rivoluzionaria (A), la dimensione normativa ipostatizzata nell’istituzione statuale (I), la sfera valoriale dell’uguaglianza umana (L) e la realizzazione finale dell’individualizzazione dei soggetti (G). Nella produzione normativa e ideologica premoderna le componenti della cittadinanza erano connesse da un doppio filo di co-implicazioni concettuali e di co-occorrenze empiriche che congiuntamente tessevano una trama relazionale di cui la cittadinanza poteva essere interpretata nei termini di una proprietà emergente. Nel caso della cittadinanza ateniese, si osserva lo stretto legame che interviene tra: il patto consociativo originario (A) che presuppone (e allo stesso tempo contribuisce ad alimentare) la libertà dei soggetti (L) i quali sono relazionati tra loro sulla base di una comune cultura civica (I) che si sviluppa attraverso la pubblica discussione e parimenti ne consente il dispiegamento (A) in vista della realizzazione di un governo partecipato da tutti i cittadini (G). La fattispecie classica, seppure

G partecipazione diritti soggettivi diritti collettivi A patto consociativo coniuratio I paideia corporazioni L libertà sacralità individualizzazione apparato statale uguaglianza rivoluzione

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circoscritta ad un micro-cosmo di appartenenza limitata e di cittadinanza altamente esclusiva (non estensibile a donne e schiavi) [Crifò 2005], risulta quale proprietà emergente della relazione tra le componenti del sociale. Lo stesso discorso può essere esteso al modello romano e medievale di cittadinanza, ma non a quello moderno. Nonostante la moderna concettualizzazione di cittadinanza rappresenti il risultato di un lento processo di ampliamento e di sviluppo dei diritti soggettivi, che trova le sue matrici ideologiche in una stratificazione di senso consolidata nel tempo, essa si risolve in definitiva nella proposizione di categorie sintetiche mutualmente esclusive. Da un lato, la componente rivoluzionaria si oppone per antonomasia alla cristallizzazione del potere statuale costituito, mentre il criterio dell’uguaglianza confluisce nell’affermazione del soggetto, annullando di fatto la sua individualità o viceversa; dall’altro, l’individuo viene posto a fronte della struttura statale in un rapporto antinomico, così come la rivoluzione (intesa come moto liberatorio o libertario) si oppone per definizione al criterio di uguaglianza. Ed è propriamente con il sorgere della moderna cittadinanza che si impongono alla riflessione scientifica e politica, una serie interminabile di aporie. Uno dei caratteri più controversi della cittadinanza, che hanno portato lo stesso Marx a contestarne i principi nella Questione ebraico, risiede nella tendenza, sempre possibile seppur non necessaria, alla spoliticizzazione e alla rivoluzione. Nel nesso tra libertà ed uguaglianza si manifestano forme politiche del tutto contrastanti come quella dell’insurrezione e quella della costituzione [Prodi 2015]. Le forze ideologiche che rendono la cittadinanza un’entità pratico-teorica in costante evoluzione, caratterizzata da continue tensioni interne, configgono con quelle orientate alla sua istituzionalizzazione e alla formazione di una correlata struttura sociale.

Le domande che ora si impongono alla nostra riflessione sono: la cittadinanza europea si configura come una radicalizzazione della cittadinanza moderna, oppure preannuncia un suo sovvertimento e superamento? Qual è il rapporto che la cittadinanza moderna intrattiene con l’evoluzione della storia europea? A quale tipo di cittadinanza l’Europa comunitaria fa riferimento? Dalla risposta a teli quesiti non solo è possibile immaginare un particolare modello di narrazione sulla cittadinanza europea, ma viene posta a tema la realtà stessa della sua sussistenza al di là della sua affermazione giuridico-formale.

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