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Dalla prassi al riconoscimento giuridico

3.4 Processo istitutivo della cittadinanza europea

3.4.1 Dalla prassi al riconoscimento giuridico

La cittadinanza europea viene istituita formalmente dal Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, attraverso il quale la Comunità si trasforma in Unione europea. Tale passaggio non si limita alla sola designazione istituzionale di uno statuto giuridico, ma è sostenuto da un concreto mutamento della prassi politico- istituzionale. In precedenza, la comunità si era andata formando mediante

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progressivi allargamenti funzionali dell’european market; con la formazione dell’Unione si è giunti a comprendere, tra le materie di competenza europea, il processo, più strettamente socio-politico, di formazione dei civis europaeus. Gli impulsi che hanno condotto alla formalizzazione di una cittadinanza europea provengono da molteplici sfere sociali. Tale istituzionalizzazione, infatti, non è irrelata dai precedenti storici, bensì compendia un percorso giuridico, sociale e politico di lunga durata. Gli studi più accreditati sullo statuto della cittadinanza europea hanno infatti registrato la congruenza tra le disposizioni in materia di cittadinanza e il preesistente insieme di diritti [Cartabia, Weiler 2000]. In continuità rispetto all’aquis comunitario e ad alcuni fenomeni sociali consolidati, la cittadinanza europea è stata interpretata come un’affermazione prevalentemente simbolica e in parte carente di una propria portata propositiva.

Un primo stimolo all’istituzionalizzazione della cittadinanza europea, è pervenuto dall’attivismo della Corte di Giustizia che, dal Trattato di Roma (1957) in poi, ha tentato attraverso numerose sentenzedi estendere il novero dei soggetti di diritto comunitario [Margiotta 2014]. Uno fra i più significativi atti giudiziari, con i quali la Corte ha dato avvio al lento ma progressivo ampliamento del diritto comunitario, sia ratione personae che ratione materiae, è il caso Cowan [C- 186/87, Cowan] del 1989. Un turista britannico in visita a Parigi che dopo essere stato vittima di un’aggressione avvenuta all’uscita della metropolitana da parte di ignoti, ha richiesto alla Commission d'indemnisation des victimes d'infraction del

Tribunal de Grande Instance un indennizzo normalmente garantito alle vittime di

aggressioni. A fronte della risposta negativa della Commissione il turista si è rivolto alla Corte di Giustizia che con la sua sentenza ha esteso la parità di trattamento e la non discriminazione sanciti dal Trattato CEE ai destinatari di servizi, come il turista Cowan. Il pronunciamento conclusivo della Corte dichiara che:

«Il principio di non discriminazione, sancito in particolare dall'art. 7 del trattato CEE, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario garantisce la libertà di recarsi in detto Stato, non può subordinare la concessione di un indennizzo statale, volto alla riparazione del danno subito sul suo territorio dalla vittima di un'aggressione che le abbia cagionato una lesione personale, al requisito della titolarità di una tessera di residente o della cittadinanza di un paese che

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abbia concluso un accordo di reciprocità con questo Stato membro» [C- 186/87, Cowan 222-223].

Il diritto secondario ha così iniziato a produrre una progressiva estensione degli individui soggetti alla giurisprudenza europea rispetto al semplice lavoratore, riconoscendo: prima i suoi familiari e poi le persone economicamente attive in qualità di destinatari di servizi.

Il combinato disposto tra il processo di costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico e l’estensione dei soggetti interessati a tale diritto, ha evidenziato la necessità di regolare la normativa vigente in un testo compiuto e condiviso democraticamente dai diversi Stati. Si è infatti rilevato che il processo di costituzionalizzazione del diritto comunitario ha comportato un’oggettiva supremazia delle disposizioni comunitarie, rispetto a quelle nazionali. Attraverso il principio dell’«effetto diretto» e quello di «supremazia» si è prodotta una de- internazionalizzazione del diritto comunitario e una de-costituzionalizzazione degli ordinamenti interni ai singoli stati che richiedevano un riconoscimento non solo giuridico ma anche politico. In questo senso, la Corte non ha solo giocato il ruolo di precursore rispetto alla legislazione europea, ma ha lavorato attivamente nell’orientare la sua agenda politica.

Un secondo importante fattore per la costruzione della cittadinanza europea è giunto dalla stessa società civile. Se l’attivismo giuridico e la creatività della Corte hanno contribuito all’estensione del diritto comunitario, questo è dipeso in buona parte dalla diretta partecipazione dei cittadini. I passi in avanti compiuti dal diritto comunitario sono infatti la diretta emanazione di cause concrete promosse da soggetti che, coinvolti in situazioni problematiche di carattere transfrontaliero, hanno richiesto e ottenuto la libertà di circolazione e soggiorno, accompagnata, in taluni casi, dal diritto alla non discriminazione. La sommatoria delle diverse sentenze ha dato vita alla figura dello «straniero privilegiato» [Parisi 2014, 6], a cui è stata indirizzata la giurisprudenza europea nei decenni precedenti all’istituzione della cittadinanza dell’Unione. L’iniziativa di alcuni soggetti e l’attivismo della Corte, per quanto preponderanti nell’indirizzare le politiche in materia di cittadinanza, si sono presentati in un contesto non indifferente a tale evoluzione. Al contrario, una serie di altri fenomeni macro sociali hanno supportato gli interventi promotori della cittadinanza. Tra questi si ricordano: le

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trasformazioni economiche conseguenti alla crisi petrolifera degli anni ‘70; la diminuzione del consenso permissivo degli individui verso le istituzioni europee e l’ampia mobilità all’interno del continente dovuta a massicce ondate di immigrazione ed emigrazione dei cittadini. La combinazioni di questi fattori ha contribuito ad indirizzare l’attenzione delle istituzioni europee verso la formulazione della cittadinanza dell’Unione. La volontà politica di non assoggettare materie di sua competenza alla giurisprudenza secondaria e alla libera iniziativa degli individui ha infine avuto l’ultima parola nella formalizzazione della cittadinanza europea. Da un lato, vi era l’esigenza di mettere a freno la giurisprudenza evolutiva della Corte di Giustizia; dall’altro, la necessità di regolare processi sociali spontanei che insistevano sul territorio europeo.

A fronte di questa sintetica panoramica, si comprende in quali termini la cittadinanza europea possa essere intesa come un importante fattore di bilanciamento rispetto alla moneta unica. La volontà di imprimere, attraverso la cittadinanza, una dimensione sociale al processo di integrazione europea, costituisce infine un’importante premessa per lo sviluppo di un mercato comune. La cittadinanza avrebbe consentito di alimentare quel legame fiduciario tra i diversi popoli europei fondamentale non solo per la vita delle istituzioni comunitarie ma anche per l’economia transnazionale. Parafrasando la celebre espressione di Massimo D’Azeglio si potrebbe dire che: «fatta l’Europa, ora bisogna fare gli europei». Al di là della portata simbolica propria di tale statuto, la sua ufficializzazione ha dato avvio al progressivo allargamento dei diritti rationae

materiae. Se all’indomani della sua proclamazione, essa poteva sembrare un mero

artificio politico volto a registrare uno stato di fatto e ad incentivare il consenso sociale verso il progetto comunitario, le conseguenze di lungo termine, hanno contraddetto quella visione minimalista. Con la cittadinanza europea, infatti, non è stato fissato semplicemente un elenco chiuso di diritti ma si è prodotto un contenitore potenzialmente aperto di entitlements. Il «diritto di avere diritti» di arendtiana memoria, che contraddistingue la cittadinanza nella sua connotazione giuridico-sociale, ha innescato anche nell’ordinamento europeo una progressiva estensione del campo di applicazione del diritto. In tal senso, sono esemplari le sentenze che hanno sostenuto i diritti civili di contro agli interessi economici

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[Schmidberger C-112/00, 2003]68, o ancora l’orientamento estensivo della giurisprudenza europea in materie attinenti ai diritti fondamentali [Omega C- 36/02, 2004]. Con la sentenza Schmidberger, veniva posto a tema il conflitto tra la libera circolazione delle merci e la libertà di manifestazione, la decisione austriaca di non impedire l’assembramento dei manifestanti i quali avrebbero causato un danno oggettivo alla possibilità di esercitare i diritti garantiti dal mercato comune ha riscontrato nella Corte la duplice giustificazione espressa: da un lato, dal principio di proporzionalità e di bilanciamento degli interessi, dall’altro, dalla tutela dei diritti fondamentali dei manifestanti.

«Il fatto che le autorità competenti di uno Stato membro non abbiano vietato una manifestazione che ha comportato il blocco totale, per un certo tempo, di una via di comunicazione importante tra gli Stati membri non è incompatibile con gli artt. 30 e 34 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 29 CE), letti in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE), in quanto tale restrizione al commercio intracomunitario di merci possa essere giustificata dall'interesse legittimo costituito dalla tutela degli interessi fondamentali, nella fattispecie quelli dei manifestanti in materia di libertà di espressione e di libertà di riunione, che si impone tanto alla Comunità quanto ai suoi Stati membri» [Schmidberger C- 112/00, 2003].

La causa Omega, si rivolgeva invece al principio inviolabile della dignità umana rispetto alla libera circolazione di merci. La società Omega gestiva locali nei quali veniva esercitato un gioco di omicidio simulato attraverso apparecchiature laser e giubbotti con sentori. In seguito al divieto dell’Oberbürgermeisterin del 14 settembre 1994, i giochi che si svolgevano nei locali gestiti dall’Omega vennero ritenuti un pericolo per l’ordine pubblico. Oltre al divieto di esercizio, venne comminata una sanzione per la società di 10000 DM per ogni partita giocata successivamente all’imposizione del divieto. A fronte di accordi commerciali sulla fornitura del materiale intrattenuti dalla società tedesca con una ditta britannica, l’Omega ha fatto ricorso alla Corte, richiamando il diritto alla libera prestazione di servizi e di merci. La sentenza emanata dalla Corte ha così risolto la controversia:

68 Se è vero che uno dei fattori predominanti dell’istituzione europea può essere individuata nel

mercato comune, le azioni promesse in sede giurisprudenziale in favore della salvaguardia di diritti sociali, di contro alle istanze del mercato, possono essere interpretate come delle energie creative interne alla struttura comunitaria che, mantenendo aperto il dialogo tra diversi attori e diverse forme di discorso (politico-giuridico-economico), cooperano al processo di costituzionalizzazione da un lato dell’Unione e dall’altro della cittadinanza europea.

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«Il diritto comunitario non osta a che un'attività economica consistente nello sfruttamento commerciale di giochi di simulazione di omicidi sia vietata da un provvedimento nazionale adottato per motivi di salvaguardia dell'ordine pubblico perché tale attività viola la dignità umana».

Se la Corte ha favorito un bilanciamento degli interessi del mercato e della società privilegiando talvolta quest’ultima (come nei casi sopra citati) tal’altra ha adottato un’inversione di tendenza, prediligendo il mercato come nel caso Laval e Viking [Laval C-341/05, 2007; Viking C-438/05, 2007]. Pur seguendo un orientamento non sempre lineare, la possibilità stessa di un dialogo fra i diversi interessi è da intendersi nei termini di un avanzamento verso una forma sovranazionale di tutela sociale.

Da un punto di vista normativo l’introduzione della cittadinanza europea ha previsto oltre alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini comunitari (art. 8-A), anche alcuni loro diritti politici e amministrativi, quali: la possibilità di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee di un qualsiasi stato membro nel quale si risiede (art. 8-B); la tutela consolare in uno stato terzo (art. 8- C); il diritto di petizione al Parlamento dell’Unione e di sporgere denuncia al Mediatore europeo (art. 8-D). Come disposto dal Trattato, tali diritti non costituiscono un numero chiuso, ma possono sempre essere integrati (art. 8-E). Successivamente dal 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, al preesistente ventaglio di diritti, si aggiunge: l’iniziativa dei cittadini europei (art. 8-B, 4) mediante la quale, su proposta di almeno un milione di cittadini, è possibile invitare la Commissione a presentare una proposta di legge.

3.4.2 La cittadinanza, un marchio di fabbrica europeo. I profili della