• Non ci sono risultati.

Clarissa e La vera storia di Laura Strini

3. FINESTRE ALTE

3.2. Clarissa e La vera storia di Laura Strini

Queste novelle sono molto differenti tra loro per i temi trattati e anche per lo stile, anche se in entrambe ritroviamo due donne come protagoniste principali, attorno alle quali

16 Ada Negri, Gli orfani in Finestre alte, p. 191.

158 ruotano pochi personaggi secondari, che stanno sullo sfondo e che hanno come funzione principale quella di aiutare la narratrice a definire le protagoniste. Le due novelle sono, quanto a trama, differenti, naturalmente, però sono incentrate sull’evoluzione della donna che viene raccontata: sia Clarissa che Laura Strini cambiano molto nel corso della novella, e alla fine viene raccontato un profondo cambiamento che colpirà le loro vite.

La prima novella racconta la storia di Clarissa, che a dodici anni rimane orfana e va a vivere da una vicina di casa, Barbara Olì, donna benestante che decide di prendersi la ragazzina in casa come cameriera; Barbara Olì è una donna arcigna e fredda, ma Clarissa impara da lei l’arte di gestire una casa. Trascorrono tutta la vita assieme, e Clarissa si prende cura della donna anche quando questa da anziana diventa dispotica, tanto che Clarissa è costretta a fare tutto da sola. Barbara Olì muore, e a Clarissa è permesso di vivere nella casa della padrona fino alla sua morte; la donna però non esce più di casa, e i vicini si preoccupano, tanto che il prete del paese un giorno decide di andare a trovarla per vedere come sta. Il prete scopre che Clarissa ha creato una bambola e l’ha vestita con gli stessi abiti di Barbara, e si comporta come se la padrona fosse ancora viva.

Clarissa dunque è una donna estremamente buona, che dedica tutta la sua esistenza alla cura di Barbara Olì, donna dispotica e quasi anaffettiva, tanto che entrambi i suoi figli se ne sono allontanati, una volta cresciuti, senza mai fare ritorno a casa. Questo legame profondo tra le due nasce da una parte dall’esigenza di Barbara Olì di ricercare una nuova cameriera che potesse aiutarla nella gestione della casa, dall’altra da un attaccamento affettivo autentico che nasce tra le due, sia perché Clarissa è sola al mondo, e Barbara rappresenta dunque per lei l’unica figura adulta di riferimento, sia per la stessa Barbara, che nonostante non lo dia a vedere si affeziona alla ragazza. In questo modo il legame tra le due donne si intensifica fino a diventare una dipendenza, da parte di entrambe: Barbara, invecchiando, ha sempre più bisogno di aiuto; Clarissa invece ha estremamente bisogno di sentirsi utile, infatti non accetta che ci sia nessun altro ad aiutarla in casa, anche quando gli impegni aumentano e Barbara Olì diventa sempre più arcigna. Come anticipato all’inizio del paragrafo, ciò che colpisce di questa novella, come sarà poi per la successiva, è la sua conclusione, che rende noto al lettore un particolare importante: la pazzia di Clarissa. Infatti, dopo la morte della padrona, la

159 donna si rinchiude in casa, e costruisce una bambola che veste con gli stessi abiti di Barbara Olì, trattandola come se l’anziana donna fosse ancora viva. Quando viene scoperta dal prete, che, preoccupato, entra in casa a cercarla, Clarissa si preoccupa all’idea che possano fare qualcosa alla sua bambola, tanto che «fissando il prete, non fece che stringere a sé, in atto di protezione, il fantoccio».18 Non è la prima novella in cui si affaccia il tema della pazzia, e anche in questo caso essa si manifesta come un tentativo di evadere dalla realtà, creandosi una dimensione diversa e più rispondente alle esigenze e alle aspettative dei personaggi. Nel caso di Clarissa, la sua intera esistenza è ruotata attorno all’accudimento di Barbara, e comprensibilmente alla sua morte lei si sente spiazzata, tanto da arrivare a costruire una bambola con le sue fattezze. Solo la pazzia, intesa come estraniamento, permette a molte donne negriane di sopravvivere. Il personaggio di Clarissa richiama anche alla mente dei lettori un'altra donna, ovvero Anin della novella Una serva ne Le solitarie; le due condividono lo stesso spirito di sacrificio verso gli altri, e soprattutto si sentono realizzate nelle loro occupazioni domestiche e come serve in casa dei padroni, tanto da non desiderare nient’altro, nemmeno una famiglia propria (possibilità che si presenta a Clarissa, ma che lei rifiuta per stare con la sua padrona). I personaggi di Finestre alte richiamano spesso quelli de

Le solitarie, creando un legame tra le due raccolte che porta la scrittrice a trattare gli

stessi temi in maniera molto approfondita.

Un finale particolare ha anche l’altra novella che tratteremo in questo paragrafo, ovvero La vera storia di Laura Strini: fin da bambina Laura era portata per fare la sarta; anche lei rimane orfana molto giovane ed è una ragazza abbastanza bruttina. Apre uno studio in cui confeziona abiti per le ricche signore e ha un grandissimo successo; Laura vive il suo lavoro come se fosse una missione, e impone questa modalità anche alle sue collaboratrici. La fine della guerra porta con sé enormi cambiamenti: i prezzi aumentano, i sindacati richiedono il salario minimo e le otto ore di lavoro, e le collaboratrici di Laura vogliono solo guadagnare dal loro lavoro. Laura Strini è delusa da questi cambiamenti, comincia a disinteressarsi del suo impiego fino a quando non decide di chiudere la sua bottega e di farsi suora; in questo modo ritorna finalmente ad essere felice.

160 La dedizione al lavoro costituisce un punto di contatto tra Clarissa e Laura Strini, che si realizza in due forme distinte: mentre Clarissa si dedica alla cura di una persona sola, la sua padrona, Laura Strini trova la propria felicità nel realizzare abiti per le clienti, e soprattutto nel confezionarli alla perfezione. È dunque un lavoro portato avanti non per guadagnare, ma spinto dalla gioia di creare dei prodotti di qualità, lei che «era nata sarta».19 Per questo Laura Strini ha parecchio successo grazie alle sue creazioni, che sono ammirate e desiderate da molte donne, e non conosce un calo delle ordinazioni nemmeno in tempo di guerra, quando sarà comunque costretta ad accettare dei cambiamenti sociali che si riflettono nei suoi lavori. È proprio in questo aspetto che Laura Strini manifesta la sua estrema debolezza, ovvero nell’accettare i cambiamenti, soprattutto quelli che si verificano dopo la fine della Prima Guerra Mondiale: lei che era sempre stata molto onesta e corretta con le sue dipendenti, trova inconcepibile che queste possano avere delle rivendicazioni, come delle ore di lavoro prestabilite e una paga minima. La sartoria è per Laura una vera e propria vocazione, da lei portata avanti con atteggiamento quasi monastico, tanto da pretendere lo stesso anche dalle sue collaboratrici, le quali invece sono più interessate a vivere del proprio guadagno che del proprio impiego. Laura si allontana sempre di più dalle sue ragazze, non le comprende come non comprende le pretese portate avanti da una società che ha molto sofferto e che ora richiede dei nuovi diritti, e domanda soprattutto la libertà. La sarta interpreta queste richieste come una sorta di tradimento nei suoi confronti, ed è costretta quindi a veder andare via le sue collaboratrici; il tradimento subito da una società che non riconosce più l’impegno e la dedizione fa sì che lei trovi sempre meno gioia nel confezionare nuovi abiti, sia sempre meno attenta alle mode e cada in disgrazia. Ma una nuova esistenza le si palesa davanti, ed è qui che si innesta la novità anticipata a inizio paragrafo: Laura Strini si fa monaca, convertendo il suo interessamento quasi religioso per la sartoria in una vocazione vera e propria. Avvicinandosi maggiormente a Dio, lei che era sempre stata molto religiosa, ritrova finalmente la gioia e la serenità, e uno scopo nella sua vita. Come sostiene Mauro Pea: «[nelle novelle di Ada Negri] ci sono qua e là tentativi di ascesa a mete più alte dello spirito, come Laura Strini, che da sarta percepisce la vanità della sua vita e si fa religiosa».20 Come Clarissa, anche Laura Strini realizza la propria esistenza in una dimensione altra rispetto a quella fino ad allora

19 Ada Negri, La vera storia di Laura Strini, p. 77.

161 conosciuta, e questo importante cambiamento le permette di tornare alla felicità. A differenza di Clarissa, ella non si avvicina minimamente alla pazzia, ma riesce a dare una svolta alla propria vita.

Clarissa e Laura Strini presentano un altro punto in comune: la mancanza di rapporti amorosi. Entrambe infatti hanno conosciuto solo un veloce innamoramento (ricambiato nel caso di Clarissa, più ideale per Laura), che hanno però presto abbandonato per dedicarsi alle proprie occupazioni. Questa rappresenta un’importante differenza rispetto alle donne de Le solitarie, la cui narrazione era spesso definita in base alle loro relazioni con l’altro sesso, soddisfacenti o meno, presenti o meno; Clarissa e Laura Strini invece non danno molta importanza a questo aspetto, poiché il loro interesse è finalizzato a sé stesse, ad essere realizzate in quello che fanno, indipendentemente dagli altri. E come Clarissa, anche Laura è una donna brutta, «brutta innegabilmente»,21 aspetto questo che accomuna quasi tutte le protagoniste negriane, le quali sono sempre poco piacenti - o sfigurate, nei pochi casi in cui la Negri tratta di donne che erano belle, prima di essere vittime di qualche incidente.