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Le ultime tre novelle da analizzare fanno tutte parte di Il fanciullo nascosto, e come suggerisce il titolo del paragrafo, sono accomunate da un senso di suggestione che è condiviso da tutti i protagonisti, i quali per vari motivi credono di avere dei poteri speciali, si affidano alle fatture di altri o credono negli spiriti. Insomma, sembra abbiano

183 Grazia Deledda, La porta chiusa in Chiaroscuro, p. 48.

107 dei legami come una qualche forma di paranormale, che poi ovviamente non si rivelerà tale. La prima di queste novelle è La potenza malefica, in cui la narratrice ricorda il maestro di scarpe che da piccola passava per casa sua ad aggiustare quelle rotte; l’uomo sosteneva di avere il potere di far venire il male ai suoi nemici. La serva della Deledda non crede alle parole del maestro di scarpe e lo deride, cosa che fa molto arrabbiare l’uomo; qualche giorno dopo però la serva si ammala di bronchite, e Grazia è talmente arrabbiata che desidera ardentemente la morte del maestro di scarpe. La serva dunque guarisce, ma il maestro di scarpe viene trovato morto: Grazia da una parte è contenta del suo potere, dall’altra però teme di aver esagerato nel suo desiderio. Di fatture fatte a persone che si odiano parla anche La fattura, in cui il protagonista compare Diegu è sia un ciabattino che un fattucchiere. Zecchino Pons, uomo molto ricco, si rivolge a lui per fare una fattura contro il vicino Nicolao che gli ha procurato numerosi danni; il giorno seguente Nicolao si ammala e urla talmente tanto e di continuo a causa del dolore da infastidire Zecchino Pons e la moglie, che presi da pietà mandano ai vicini moltissimi doni. Ne La casa maledetta invece Bonario Salis è il proprietario di una fabbrica che il maestro muratore Antoni sta costruendo. Bonario gli chiede di andare a sistemare la casa della nipote, che vuole trasferirsi poiché ritiene che quella in cui abita sia invasa dagli spiriti: Anna Salis infatti è convinta che la vecchia proprietaria abbia maledetto la casa contro chiunque l’avrebbe comprata. In effetti dopo aver scavato nel sottoscala trovano le ossa di un neonato, ritenuto un «figlio del peccato»,185 e decidono di portarlo dal pretore; in questo modo torna la pace in casa e anche tra Anna e il marito.

Ho volutamente evitato di raccontare la fine delle tre novelle perché vorrei prima soffermarmi sugli aspetti che le tre hanno in comune a livello di trama, prima di passare ad analizzare i finali, che sono in tutti e tre i casi caratterizzati da scoperte che inevitabilmente cambiano il giudizio sul resto della trama. Considerando i dati che abbiamo per ora è impossibile non notare la presenza del potere “spirituale” precedentemente evocato, sia esso sotto forma di fattura o di maledizione; queste si riversano contro altre persone, colpevoli di aver in qualche modo disturbato la normale vita dei protagonisti. E in tutti e tre i casi la fattura sembra fare effetto, anche in maniera drastica: il maestro di scarpe muore, Nicolao è vittima di una malattia che gli fa provare fortissimi dolori, Anna Salis e il marito hanno avuto solo disgrazie da quando si sono

108 trasferiti nella nuova casa (sia lei che il marito si sono ammalati, muoiono loro il cavallo e tutte le galline, il loro cane viene ammazzato, e marito e moglie non fanno che litigare, mettendo in crisi il loro matrimonio). I tre diversi fattucchieri sono dunque molto potenti, conoscitori di una sorta di magia nera che permette di cambiare la vita degli altri a loro piacimento; le fatture fatte, infatti, non sono frutto di una volontà religiosa, non sono fatte dal prete (come invece si era fatto riferimento in altre novelle, per esempio in Padrona e servi, dove il vecchio fidanzato di Austina Zatrillas aveva fatto fare un incantesimo proprio dal prete) ma da persona normali che sembrano possedere un potere speciale. I protagonisti delle tre novelle rappresentano la società sarda nel suo complesso, legata ad una mentalità semplice e primitiva, che crede fermamente nel potere del paranormale come rappresentazione di una forza oscura. Come molti altri protagonisti delle novelle deleddiane, che abbiamo visto anche nelle pagine precedenti, credono al potere spirituale di Dio che può decidere di punire qualcuno per i propri peccati, facendoli vivere delle situazioni di disagio per permettere loro di intraprendere un cammino di espiazione, così questi credono alle fatture e alla malìa, che hanno il potere di far soffrire qualcuno. Il fatto che uno dei tre racconti, La potenza malefica, parta da un ricordo della stessa Deledda perché frutto di una sua diretta esperienza di bambina dà ai lettori una sicurezza maggiore circa la reale presenza di questo tipo di sentimenti nella società sarda; Grazia Deledda avvertirà prepotente il bisogno di fare oggetto della propria narrazione le storie o le esperienze che ha avuto modo di ascoltare e provare durante l’infanzia,186 e ciò dà al racconto una veridicità maggiore.

Grazia Deledda, intesa in questo caso come personaggio della sua stessa narrazione, e Zecchino Pons sono accomunati anche da un altro importante fattore: prima entrambi desiderano punire i propri “nemici”, ovvero il maestro di scarpe e Nicolao, e sono dunque felici quando questa condizione si verifica; ben presto però cominciano a sentirsi in colpa per la grande sofferenza che hanno causato (anzi il ciabattino muore addirittura), temendo di aver esagerato nelle loro richieste.

Io non mi spaventai molto: solo mi pareva d’essere andata troppo oltre. Ricordavo le parole di lui: «Uccidere tocca solo a Dio». Ma oramai la cosa era fatta; e mentre avevo paura della mia terribile responsabilità, in fondo, mi compiacevo a pensare che il laccio del vecchio era rimasto in mani mie. Potevo servirmene io, d’ora in avanti…187

186 Mario Miccinesi, p. 14.

109 Questi sono i pensieri che pervadono la mente della giovane Grazia quando scopre la morte del maestro di scarpe: si sente molto forte all’idea di aver ereditato il potere dell’uomo, consapevole che ora potrà ella stessa agire contro i suoi nemici, ma d’altro canto teme di aver esagerato nella richiesta, poiché solo a Dio spetta il potere di far morire qualcuno, né a nessun altro. Zecchino Pons invece da un lato è contento di aver finalmente punito il vicino di casa, che gli aveva procurato molti danni, dall’altro il suo senso di colpa comincia ad aumentare per cui decide di inviare alla famiglia del malato diverso cibo, nella speranza che ciò possa in parte placare il loro dolore. Si presenta dunque nell’anima dei due personaggi il dramma morale della contrapposizione tra la gioia per la rivincita che stanno vivendo contro persone che hanno causato loro danni e dolori, e il profondo senso di colpa di aver causato ad altri troppo dolore.

La situazione, in tutte e tre le novelle, viene totalmente ribaltata nel finale dei tre racconti. Ne La potenza malefica Grazia, dopo aver in parte pregustato il potere che ormai pensava di avere tra le proprie mani, scopre che il maestro di scarpe era morto in realtà tre giorni prima, dunque molto prima che lei desiderasse la sua dipartita. Le ossa ritrovate in casa di Anna Salis non appartenevano ad un «figlio del peccato» ma ad un porchetto. Zecchino Pons invece scopre che il cibo prelibato che aveva mandato al vicino moribondo era da questo consumato in un lauto banchetto da tutta la famiglia di Nicolao insieme a compare Diegu, il quale aveva preso in giro Zecchino, molto probabilmente con l’aiuto dello stesso Nicolao che si era finto malato. In tutti e tre i casi quindi si scopre che il potere “malefico” non è altro che pura finzione, e ciò che conta è semplicemente la convinzione che questo porta nella mente delle persone. Sono più che altro il caso e la fatalità a governare: la morte del maestro di scarpe non è dovuta al desiderio di Grazia ma a cause naturali, che hanno colpito un uomo debole e povero; la stessa malattia della serva non può essere imputata all’uomo quanto ad un male di stagione. La convinzione di Anna Salis e del marito di essere vittime della “malìa” fa sì che essi vivano in maniera disperata eventi che possono accadere, e ciò arriva a mettere in crisi il loro matrimonio. Zecchino Pons si fa invece beffare dalla maggiore astuzia di compare Diegu e di Nicolao, che approfittano della situazione per agire nuovamente contro di lui. La fine delle tre novelle riporta la questione ad una visione più realistica,

110 spiegando come la forza dei malefici esista solo nella mente umana che si convince dell’esistenza di poteri maligni che in realtà, ovviamente, non esistono.

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2. LE SOLITARIE

Ada Negri inizia la sua professione di letterata molto giovane, e si distingue fin da subito per le sue opere di poesia; Le solitarie rappresenta la sua prima raccolta di opere in prosa. La Negri infatti non è stata una prosatrice particolarmente prolifica, e a lei si riconducono solo raccolte di novelle: l’unico romanzo scritto è Stella mattutina, che è però un’autobiografia, anche se scritta in terza persona, in cui la scrittrice ricorda i primi anni della propria vita e l’avvicinamento alle lettere. Le novelle appaiono come una dimensione secondaria poiché affida alla poesia il suo messaggio creativo, che infatti le procura successo da giovanissima; in realtà è nelle novelle che raggiunge alcuni dei risultati più felici.1 Le solitarie dunque rappresenta per Ada Negri un lavoro nuovo e di svolta.

La raccolta viene pubblicata nel 1917 presso l’editore Treves; come per Chiaroscuro e

Il fanciullo nascosto di Grazia Deledda, anche in questo caso molte novelle della

raccolta erano già uscite in periodico, in particolare nella Terza pagina del «Corriere della Sera». Ada Negri ha sempre sostenuto nelle sue lettere di non aver mai dato molta importanza a questa sua raccolta di novelle (il manoscritto di prose «non lo amavo. Lo volevo distruggere»2 scrive nell’introduzione al volume): in realtà ella lavora all’edizione per ben tre anni. Comincia a scrivere il manoscritto nel 1914, quando si trasferisce a Zurigo con la figlia Bianca, che era stata mandata in Svizzera dal padre per frequentare il collegio; al ritorno in Italia la poetessa porta con sé questo manoscritto di novelle e di profili di donne, che vedranno appunto la luce come raccolta nel luglio del 1917. Il libro verrà pubblicato grazie all’insistenza dell’amica Margherita Sarfatti, alla quale infatti esso è dedicato, e che viene ricordata anche nell’introduzione come la fautrice di tale pubblicazione: «Io lo volevo distruggere [il manoscritto]. Ma tu mi dicesti: - Perché? Grigie fin che vuoi, queste novelle. Ma sono una parte viva di te».3 Il volume avrà fin da subito un grandissimo successo.4

Le solitarie è una raccolta di diciotto novelle nelle quali l’autrice riporta umili scorci di

vite femminili, vissute da persone a lei vicine o anche da lei stessa in prima persona: le

1 Antonia Arslan, Il racconto del silenzio, in Ada Negri, La cacciatora e altri racconti, Libri Scheiwiller, Milano, 1988, p. 7.

2 Ada Negri nella lettera di dedica a Margherita Sarfatti, Le solitarie, Mondadori, Milano, 1929.

3 Ada Negri nella lettera di dedica a Margherita Sarfatti, Le Solitarie, Mondadori, Milano, 1929.

112 novelle sono infatti formate da una parte che possiamo definire oggettiva e da una soggettiva/autobiografica, in cui il suo libero autobiografismo alimenta una prosa felice.5 In un interessante contributo, Antonia Arslan scrive che le novelle, sia quelle di questa raccolta ma anche della successiva che avremo modo di analizzare, ovvero

Finestre alte, sono sentite da Ada Negri come frammenti di un’ideale autobiografia

tracciata attraverso una molteplicità di personaggi e ritratti femminili: il bisogno di parlare di sé trova nelle novelle un argine di oggettività grazie al riconoscere un frammento di sé e della propria esperienza nei tanti personaggi trattati. In particolare ne

Le solitarie troviamo storie di donne sole e vinte, destini femminili consumati

nell’ombra della quotidianità, accomunate da una pena sopportata in silenzio; la Negri darà proprio voce e testimonianza a questo silenzio.6 È la stessa autrice, nell’introduzione alla raccolta, a spiegare il suo lavoro e il suo rapporto con le novelle e con le donne che ne sono protagoniste:

Novelle? No. Tutte - o quasi – umili scorci di vite femminili sole a combattere: malgrado la famiglia, sole: malgrado l’amore, sole: per propria colpa o per colpa degli uomini e del destino, sole. Le vidi, queste donne. Le conobbi, le studiai, le riprodussi, cercando di attenermi il più crudamente possibile alla verità.

Le novelle di Ada Negri hanno un carattere ritrattistico che fotografa la sagoma di una figura femminile specifica, dedicando a questa una singola novella, e tutte queste novelle singole si inseriscono in una sequenza dai toni mutevoli dialoganti tra loro.7 Esse trattano temi molto cari alla scrittrice, incentrate sempre sulla tematica femminile della società del nord Italia di primo Novecento: la maternità, intesa non solo come esperienza di vita positiva ma anche faticosa e totalizzante; i matrimoni infelici e il potere degli uomini sulle mogli e figlie, tese sempre ad assecondare i desideri maschili; una particolare attenzione è rivolta alle donne che prepotentemente si stanno affacciando nel mondo del lavoro con spinte individualiste ma che finiscono ancora una volta soggette al potere di una società maschile e maschilista. La produzione di Ada Negri è stata più volte avvicinata al socialismo proprio per il suo interessamento alle

5 Anna Folli, Quelle specie di novelle in Ada Negri, La cacciatora e altri racconti, Scheiwiller, Milano, 1988, p. 18.

6 Antonia Arslan, Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900, Guerini, Milano, 1998, pp. 204-205.

7 Elisabetta De Troja, “Quella che va sola”. Scrittura e destino in Ada Negri, a cura di Barbara Stagnitti,

113 classi più deboli, ma, secondo Angela Gorini Santoli, non è un socialismo marxista ma «umanitario: basato sull’elevazione delle classi umili soggette ai soprusi dei potenti che le umiliano, insensibili alle loro sofferenze. È un’ansia di giustizia, di fraternità, di amore le cui radici sono riscontrabili negli anni di Lodi e nello sfruttamento di mamma Vittoria».8