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1.6. Grazia Deledda e la religione

A differenza di altre tematiche che tornano spesso all’interno delle novelle di Grazia Deledda, la religione non è da lei particolarmente trattata, per lo meno come tema caratterizzante dei suoi racconti. Essa appare come motivo secondario in diverse novelle (basti pensare all’ultima presentata, La scomunica), ma difficilmente come tema

93 Grazia Deledda, La scomunica in Chiaroscuro, p. 96.

94 Lina Sacchetti, pp. 183-184.

56 principale; essa è inoltre resa o in termini generali, come manifestazione di un Dio responsabile della felicità o dell’espiazione dei protagonisti, o attraverso le figure dei suoi rappresentanti, ovvero i sacerdoti. Come ho riportato anche nelle pagine precedenti, i preti rappresentati dalla Deledda non presentano molti aspetti positivi, ma anzi sono solitamente vili ed egoisti, in alcuni casi anche abbietti. In particolare due novelle hanno come protagonisti due preti, ovvero La festa del Cristo in Chiaroscuro e La porta

stretta in Il fanciullo nascosto; quest’ultima è la diretta continuazione della novella La parte del bottino, poiché ha come personaggio principale prete Maxia, il fratello di don

Peu che muore alla fine della novella a lui dedicata. Un’altra novella a sfondo religioso è L’augurio del mietitore (Il fanciullo nascosto), del tutto particolare e differente dalle altre perché è una sorta di parabola evangelica in cui i protagonisti sono Gesù e Pietro; questo tipo di racconto sarà utilizzato anche in altre novelle della raccolta Il flauto nel

bosco.

Nella prima novella, La festa del Cristo, il protagonista è il vecchio parroco Filìa, che sta accompagnando in processione tutto il paese; è presente anche Istevene, il figlio della serva del prete, con un bel puledro, il quale però sembra posseduto e crea diversi danni e scompigli durante la processione: disarciona dal suo cavallo una ragazza e uccide un bambino con un calcio alla testa. Il prete sostiene che Istevene abbia rubato il cavallo, e che Dio stia punendo tutti per questo; il ragazzo ammette di averlo rubato ed è deciso a riportarlo ai proprietari, ma non riesce più a ritrovarlo, perché qualcuno gliel’ha rubato. Come si può facilmente intuire, in questa novella è presente uno dei temi più trattati dalla Deledda, ovvero quello di colpa-castigo-espiazione. La colpa è ovviamente di Istevene che ha rubato il puledro; l’animale appare molto irrequieto e poco attento ai richiami, gli stessi aspetti che si possono ritrovare nel suo nuovo padrone, un attaccabrighe. Secondo la logica popolare, il cavallo si comporta così perché il suo vecchio proprietario era un avaro, per cui di conseguenza l’animale ha un brutto temperamento. Non possiamo essere certi che Istevene abbia rubato il cavallo e non regolarmente comprato, poiché la confessione avviene su decisa spinta di prete Filìa, il quale ne è assolutamente convinto, e per colpa di questo pensiero ha quasi perso la ragione. Il nodo drammatico della narrativa deleddiana è dato dalla fatalità del peccato e i conseguenti castigo ed espiazione; in questo caso il castigo è dato appunto dai danni procurati dal cavallo, mentre non c’è una vera e propria espiazione: Istevene si

57 sente in colpa per i danni causati, cerca disperatamente di trovare un medico che possa curare il bambino, ma questi non possono essere considerati parte di un percorso di espiazione. Secondo Nicolino Sarale: «il male è visto in una contemplazione severa e non solo rispecchia la debolezza umana ma è la prova dell’esistenza dello spirito che può fronteggiarlo e vincerlo».96 In questa novella non è lo spirito ad aiutare Istevene, poiché appunto egli non espia i propri peccati, e il suo tentativo di compiere il bene avviene quando ormai non conta più nulla. Anche prete Filìa rimane profondamente scioccato da questi eventi, e alla fine del racconto sembra quasi perdere la ragione, totalmente convinto della colpa del ragazzo; durante tutta la processione prega perché Dio possa aiutare i peccatori, e i suoi pensieri vanno ad Istevene, che lui conosce bene essendo il figlio della sua serva, e lo allontana maledicendolo quando la situazione peggiora. Ancora una volta è la descrizione del paesaggio, e in particolare del tempo atmosferico, ad accompagnarci durante i cambiamenti che avvengono nella processione. Essa inizia in un giorno soleggiato, mentre i pellegrini si riversano in strada per partecipare al cammino verso la festa del Cristo; con l’arrivo di Istevene però il tempo cambia, una nuvola nera si palesa sulla testa dei pellegrini, e la folla stessa perde la calma e la tranquillità precedenti e cominciano a bisbigliare tra di loro, commentando l’arrivo del ragazzo con il nuovo cavallo. La pioggia comincia a scrosciare, ed anche se erano ai primi di maggio «sembrò che si ritornasse nel cuore dell’inverno»97, ed il freddo aveva ormai colpito tutto il paesaggio; il cambiamento meteorologico e di temperatura anticipano le tragedie che avverranno. La novella però non finisce con toni tragici grazie alle parole di compare Zua, uno dei tanti pellegrini e amico fraterno di prete Filìa; egli vuole ridimensionare la colpa di Istevene, e il suo discorso finale si indirizza proprio sul concetto di colpa: «siamo tutti peccatori!»,98 sostiene. I personaggi deleddiani ricercano la divinità come la necessaria giustificazione della legge morale, ed è per questo che prete Filìa prega il Signore; per la Deledda è la coscienza, manifestazione di Dio, a rimproverare il peccato e ad imporre l’espiazione.99 Istevene si sente in colpa per il dolore procurato, e non trova aiuto nella figura del prete, che anzi lo rimprovera duramente per i suoi (presunti) peccati; una forma di redenzione si ritrova

96 Nicolino Sarale, p. 7.

97 Grazia Deledda, La festa del Cristo in Chiaroscuro, p. 136.

98 Grazia Deledda, La festa del Cristo in Chiaroscuro, p. 146.

58 solo nelle parole di compare Zua, consapevole più di tutti che gli uomini, nessuno escluso, sono peccatori e dunque non sono mai esenti da sbagli. È il suo pensiero, più di quello di prete Filìa, che si avvicina ad una logica cristiana di perdono.

L’altra novella in cui è presente un ecclesiastico è La porta stretta. Dopo la morte del fratello prete Maxia decide di trasferirsi in un altro paese, a causa della vergogna che prova per la morte di don Peu, insieme alla sorella molto più giovane e ad un altro parente, sposato con una donna inferma. Anche qui, come in La festa del

Cristo, l’occasione in cui si ambienta la novella è la processione verso la chiesa del

Buon cammino per la festa annuale; si riunisce dunque tutto il paese, che segue prete Maxia e il sagrestano lungo il percorso. Le feste sono uno dei particolari di vita sarda più sfruttati da Grazia Deledda, dato che erano molto sentite dalla società poiché erano un’occasione di condivisione e di gioia comune. È particolarmente sentito per il paese in cui si trova prete Maxia poiché ai suoi abitanti non sono concesse altre possibilità di svago, essendo il loro sacerdote molto duro ed austero, sia nei confronti dei suoi compaesani che dei membri della propria famiglia; per questo i processanti pensano che «la festa sarebbe stata forse più allegra senza quella gente austera e triste».100 Prete Maxia infatti è la raffigurazione dei sacerdoti «tormentati da drammi morali e religiosi» come sostiene Lina Sacchetti, «preda di un misticismo torbido e selvaggio, spinti da aneliti verso vette della cristianità che non riescono a raggiungere».101 Ciò che tormenta prete Maxia è la morte del fratello, per cui lui prova vergogna e per il quale ha deciso di trasferirsi in un luogo distante da dove si trovava prima; nonostante questo, i fedeli sentono che tra lui e loro «sorgeva un’ombra […] quando lui predicava». Il sacerdote infatti è un uomo molto severo e duro nei confronti dei propri fedeli, sia verso le donne che verso gli uomini, ossessionato dall’idea che possano commettere dei peccati.

Era severo, con le sue parrocchiane, prete Maxia: bastava che una di loro, varcato il torrente, sollevasse gli occhi neri sorridendo, o qualche altra si volgesse a rispondere ai gridi e agli scherzi degli uomini […] perché egli pensasse che in tutte le donne, quel giorno, come del resto in tutti i giorni dell’anno, non esiste che un desiderio di peccato, smania dei passi difficili, prontezza a correre per i sentieri friabili della vita e a cadere, a cadere, a cadere… Anche con gli uomini non era indulgente: nelle sue prediche e nei suoi sermoni era anzi contro di essi, specialmente, che inveiva, trattandoli tutti come

100 Grazia Deledda, La porta stretta in Il fanciullo nascosto, p. 51.

59 figlioli prodighi, come emigrati che fossero partiti buoni e pieni di buona volontà e ritornassero miserabili, viziosi.102

Questa sua intransigenza lo porta a non essere compreso dalle altre persone e ad essere spesso deriso, come accade quando partecipa al banchetto dei priori il giorno della festa, dopo aver presenziato alla Messa e aver dedicato il suo sermone, come molte altre volte, alla «porta stretta e difficile a passare» che si presenta davanti agli uomini tentati dal peccato, ma che troveranno poi, una volta varcata, la strada che si apre larga davanti a loro.

Nonostante questa attenzione ai peccati altrui, prete Maxia non si accorge di quello che accade sotto il suo tetto, e che costituisce la parte più importante della novella, ovvero che la giovane sorella Elisabetta e il cugino Badòre si sono innamorati e hanno una relazione. La scoperta è scioccante per prete Maxia, il quale sostiene che avrebbe preferito vederli morti; non dobbiamo dimenticare che Badòre è un uomo sposato, anche se la moglie è inferma, ed infatti la volontà dei due giovani è quella di sposarsi dopo la morte della donna. Nella società italiana di fine Ottocento-inizi Novecento, e in quella sarda in particolare, il ruolo della donna è subordinato a priori, non solo all’autorità del nucleo sociale ma anche a quella della famiglia, autorità imperante per eccellenza che regola la vita dei suoi membri;103 in questo caso l’autorità familiare è rappresentata da prete Maxia, che è il capo famiglia, oltre che essere una guida spirituale. Sono solitamente i giovani che si ribellano alle regole sociali precostituite e tentano di decidere autonomamente della propria vita, scontrandosi con l’ambiente naturale; Elisabetta infatti ha solo sedici anni. Nei racconti deleddiani ogni sentimento d’amore si accompagna ad un senso di peccato che crea la tensione drammatica della pagina; Grazia Deledda cerca dunque un accordo tra amore e moralità, anche in situazioni in cui la legge degli uomini sembra condannare, cerca di salvare i suoi personaggi, convinta che spesso le leggi degli uomini siano in contrasto con quelle della vita.104 Nella novella il senso di peccato non è percepito dai due amanti, quanto piuttosto da prete Maxia, che lo vive come un affronto intollerabile; ricordiamo che il legame tra Elisabetta e Badòre non è totalmente “corretto”, poiché lui è sposato con

102 Grazia Deledda, La porta stretta in Il fanciullo nascosto, pp. 49-50.

103 Giovanna Abete, p. 27.

60 un’altra donna, la quale però è molto malata. Si palesano dunque due punti di vista opposti: quello di prete Maxia, uomo di Chiesa e legato ad una visione della vita piuttosto rigida, il quale considera la relazione tra i suoi parenti totalmente ingiusta, come un tradimento nei suoi confronti, anche perché agli occhi della religione e della legge sociale la loro unione non può essere considerata valida o corretta, essendo Badòre un uomo sposato. Nicola Tanda scrive che il senso di giustizia e il rispetto della norma sono motivati e radicati nell’animo dei sardi e sono riconducibili alla loro sfera morale, e presuppongono una concezione etica superiore che è il risultato di un aggregazione unitaria di popolo.105 Dall’altra parte invece troviamo una coppia di giovani realmente innamorati, che non vive il proprio amore alla luce del sole poiché sono consapevoli che questo attirerebbe nei loro confronti ogni tipo di malelingue, ma che non percepisce il matrimonio dell’uomo come un problema, poiché la moglie non è più presente nella sua vita. La loro dunque è una relazione in attesa di essere considerata valida. La loro unione si configura inoltre come peccato poiché non rientra nelle regole precise del matrimonio (che molto spesso è solo di convenienza), e poiché sono stati visti da prete Maxia in atteggiamenti intimi, mentre si scambiavano qualche bacio. La novella termina con il dialogo rivelatore tra i due innamorati e prete Maxia, che rimane atterrito dalla notizia, sostenendo che avrebbe preferito vederli morti. Nessuno spirito cristiano si manifesta in lui, anzi ancora una volta rimane fermo sulle sue posizioni.

L’altra novella a carattere religioso è L’augurio del mietitore, totalmente differente rispetto alle precedenti citate e anche a tutte le altre che andremo ad analizzare di queste due raccolte, perché ha i caratteri della parabola evangelica; i due protagonisti infatti sono Gesù e Pietro. I due uomini si fingono mietitori in cerca di lavoro e vagano per la campagna della regione della Posada, che era stata colpita da una grande siccità; dopo aver a lungo camminato, si ritrovano ad avere sete e si fermano in una casa a chiedere dell’acqua. Qui trovano una donna molto bella, che trascorreva la giornata oziando mentre la casa denota grande trascuratezza; nonostante l’agiatezza economica la ragazza non dà da bere ai viandanti, se non l’acqua rimasta dalla ciotola delle galline. I due uomini bevono e quello più giovane, ovvero Gesù, le augura un buon marito. Continuando il loro cammino si fermano in una seconda casa dove trovano

61 un’altra giovane donna impegnata a cucire, in una casa pulita e curata, che dà subito loro dell’acqua in bicchieri di cristallo; Gesù le augura un cattivo marito. La morale della parabola viene esplicitata dallo stesso Gesù in seguito alla domanda di spiegazioni da parte di Pietro: «alla prima ragazza ho destinato un buon marito perché possa indirizzarla sulla buona via, e alla seconda, appunto perché saggia e cortese, un marito cattivo che lei potrà far emendare».106 La novella ha dunque valore quasi di parabola evangelica, per i personaggi riportati e per l’insegnamento che essa sottende. Giancarlo Buzzi critica questo tipo di narrazione utilizzata dalla Deledda, sostenendo che lei «tolga ogni sapore [alle parabole], trasformandole in discorsi morali di tono scolastico, sono tutti episodi di debolezza o stanchezza».107 Non ritengo che questo racconto rientri nella categoria evidenziata da Buzzi, poiché le parabole evangeliche in generale sono solitamente piuttosto semplici, in modo da poter essere facilmente comprensibili all’uditorio; in questo caso la morale è esplicitata dalle stesse parole di Gesù. La spiegazione così data rientra nella logica cristiana di aiutare chi ne ha più bisogno, piuttosto che di premiare chi lo merita, sbaglio nel quale ricade lo stesso Pietro: la seconda ragazza meriterebbe un buon marito, a differenza della prima che si è rivelata scortese e sciatta, ma la bontà della donna e del buon marito possono salvare ed aiutare la cattiva donna e il cattivo marito, diventando dunque quattro persone buone e cortesi. Dal dialogo tra Cristo e Pietro si ricava anche il pensiero religioso che ritroviamo in moltissime opere di Grazia Deledda, poiché la narratrice spiega che «Cristo vagava sulla terra per provare gli uomini».108 Lo scopo del divino è dunque quello di saggiare gli uomini per verificare la loro resistenza all’errore, i temi dominanti delle novelle e dei romanzi della Deledda sono la tentazione, il peccato, il bene e il male,109 poiché sono mossi da una forza misteriosa che è Cristo stesso; i personaggi deleddiani sono sempre tentati dal male e dall’errore, che tentano di fuggire ma nei quali di solito cadono rovinosamente. Per questo il loro scopo diventerà poi quello di espiare le loro colpe per trovare la pace. Il fatalismo, anch’esso sempre presente in Grazia Deledda, inteso come destino che piega gli uomini, secondo questa novella non è altro che un riflesso di

106 Grazia Deledda, L’augurio del mietitore in Il fanciullo nascosto, p. 163.

107 Giancarlo Buzzi, pp. 44-45.

108 Grazia Deledda, L’augurio del mietitore in Il fanciullo nascosto, p. 163.

62 Cristo stesso, che tenta gli uomini per provarne la loro bontà e per condurli verso un cammino di redenzione.

Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi nell’analisi è la descrizione degli interni che Grazia Deledda fa delle due abitazioni in cui Pietro e Cristo si fermano per chiedere dell’acqua. Nei quadri d’ambiente, soprattutto domestici, la Deledda pone il suo mondo interiore di donna, in particolare grazie al gusto del piccolo, del grazioso, dell’intimo che si nota nella descrizione delle case o delle stanze, e che sottolinea l’atmosfera domestico-affettiva.110 Ciò appare valido soprattutto nella casa della seconda ragazza, la quale si distingue per il suo ordine e la sua cura. La sua abitazione presenta le caratteristiche tipiche delle case sarde che ritroviamo spesso citate in Grazia Deledda: un’ampia stanza d’ingresso sulla quale si affacciano le altre camere e dalla quale si può vedere il giardino con l’orto, e serve loro bicchieri di cristallo, simbolo di rispetto per gli ospiti. La casa della prima ragazza invece è resa attraverso la descrizione di ciò che si trova all’interno delle stanze, più che delle stanze stesse, ovvero forme di cacio affumicate sopra il focolare (tipico delle case sarde), padelle di rame e pezzi di lardo e salsicce che pendono dalle pareti, un orcio d’olio sopra il forno, e l’immancabile pozzo nel giardino. Mario Miccinesi sostiene che il mondo oggettuale della scrittrice, che nella sua opera ha un rilievo tutt’altro che trascurabile, è quello con cui lei è entrata in contatto fin dai suoi primissimi anni. I cibi, le provviste, per esempio quelli che pendono dal soffitto o che sono messi ad essiccare, e le descrizioni delle abitazioni che si ritrovano nelle case dei protagonisti dei suoi romanzi e delle sue novelle, con l’immancabile pozzo e l’orto, sono nominati come elementi della vita quotidiana, elencati dalla scrittrice con familiarità.111 Alla descrizione delle due abitazioni si aggiunge anche quella delle donne che le abitano, e che vogliono sottolineare la diversa personalità delle due padrone di casa. Le vesti e i capelli della prima ragazza sono poco curate come lo è la sua casa: le trecce sono sfatte, i vestiti sono in disordine, e guarda i due ospiti, uomini, dritto negli occhi, languidamente; ella si dimostra dunque sfrontata, mentre una brava ragazza dovrebbe sempre mantenere un atteggiamento dimesso e rispettoso, soprattutto nei confronti degli uomini. La seconda ragazza segue maggiormente le regole sociali previste, per cui nasconde i capelli sotto una cuffietta, si allaccia il fazzoletto sotto il mento poiché si trova alla presenza di stranieri, ed era

110 Ada Ruschioni, p. 20.

63 «vestita come usano le paesane di buona famiglia, con un costume antico, senza fronzoli».112 Le due donne rappresentano due modelli femminili differenti, una attenta alle rigide regole sociali, l’altra invece più libera ma anche poco attenta ai propri doveri. L’intervento di Cristo è quindi importante per redimere questa ragazza, insieme al resto degli uomini: la volontà di Cristo sta nel verificare la bontà delle persone, per dare loro poi la possibilità di redimersi dai propri sbagli.