3 ARGOMENTI NON LINGUISTICI CONTRO IL PRINCIPIO D
3.2 CLASSI DI COMPARAZIONE
Lo standard di comparazione può essere manipolato in modo composizionale, attraverso costituenti locali, come sintagmi preposizionali introdotti da “per” (cf. (14)) e nominali modificati (cf. (15)):
(14) Gianni è alto per la sua età.
(15) Gianni è un bambino alto.
Lo standard di paragone dunque sembra essere computato relativamente ad una classe di comparazione, che può essere resa esplicita da un sintagma preposizionale [SPper D] o da un
nominale modificato (Klein (1980)), o rimanere implicita.
Molte analisi (Bartsch e Vennemann (1972), Cresswell (1977), Kennedy (1999), Kennedy e McNally (2005)) assumono infatti che la classe di comparazione sia sempre un costituente della rappresentazione semantica della forma positiva, come indicato in (16):
Nella denotazione per pos rappresentata in (16) k è una proprietà e norma è una funzione che restituisce il grado medio in cui gli oggetti appartenenti all’insieme definito da k (la classe di comparazione) misurano g (la proprietà indicata dall’aggettivo). In assenza di informazioni esplicite circa il valore dell’argomento della classe di comparazione, questo può essere saturato o da una variabile sulle proprietà (come in Stanley (2000)) o passato al livello proposizionale (come in Jacobson (2006)).
Ulteriori evidenze a favore dell’ipotesi che lo standard di paragone sia determinato composizionalmente vengono dal fatto che lo standard può variare in funzione del valore dell’argomento del predicato (Kennedy (1999)):
(17) a. Tutti nella mia famiglia sono alti.
b. ∀x[nella mia famiglia (x) → alto (x) > norma (kx)(alto)]
(17) viene interpretata così: ogni membro della mia famiglia ha una altezza superiore alla media per individui simili, dove il tipo rilevante di similarità (stessa età, stesso sesso, etc.) è determinato contestualmente. Lo standard di comparazione può variare con il soggetto quantificato. L’analisi di pos in (16) spiega questi casi assumendo che la variabile di classe di comparazione implicita può spaziare non solo sulle proprietà, ma anche su proprietà relativizzate su variabili legate, cioè su funzioni skolemizzate3 (in (17) k
x rappresenta appunto
una variabile su proprietà relative a x – la proprietà di avere la stessa età, essere dello stesso sesso…).
Nonostante questi vantaggi, l’analisi esposta non riesce comunque a spiegare il fatto che casi limite e paradossi del sorite hanno luogo anche quando la classe di comparazione è esplicita. La denotazione in (16) infatti cattura la dipendenza dal contesto in termini di classe di comparazione; ma una volta stabilita la classe di comparazione, e dunque il grado medio in cui gli oggetti appartenenti alla classe possiedono la proprietà rilevante, sono stabilite anche le condizioni di verità dell’uso dell’aggettivo. Una volta fissato contestualmente lo standard di riferimento, non ci dovrebbero essere dubbi sull’assegnazione del valore di verità alle frasi vaghe: ma come si è detto, non è così. Come indica Kennedy (2007), è necessario che non solo la classe di comparazione permetta la dipendenza dal contesto, ma anche la funzione che
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In logica matematica, si dice skolemizzazione l'applicazione dell'algoritmo di Skolem che trasforma un enunciato in forma normale in un enunciato universale. L'enunciato in questione, dopo l'applicazione dell'algoritmo di Skolem, perde l'equivalenza semantica con l'enunciato di partenza, ma rimangono invariate le sue condizioni di soddisfacibilità.
fissa lo standard di riferimento all’interno di una classe di comparazione. In realtà, non c’è neanche evidenza linguistica certa che la classe di comparazione sia un argomento della forma positiva, dato che questa proprietà non corrisponde ad un costituente della forma logica.
Kennedy mette in dubbio la stessa assunzione che la modificazione nominale e i sintagmi [SPper SD] costituiscano un argomento semantico del predicato. Sebbene ad esempio i nominali
modificati forniscano le basi per computare lo standard di riferimento dei predicati aggettivali che li modificano, questo non è obbligatorio, tanto che è possibile affermare che qualcosa sia un [A SN] negando che sia [A per un SD]:
(18) Gianni è un ragazzo alto, anche se non è alto per un giocatore di basket. Infatti, è il più basso della squadra.
Da (18) si nota anche che i sintagmi [SPper SD] sembrano invece in grado di determinare
meglio la classe di comparazione. Ma Kennedy sottolinea che le frasi del tipo x è A per un SN presuppongono che x sia un SN: il che mette in dubbio che la classe di comparazione sia un argomento semantico della forma positiva, come (16) prevede. Infatti, se l’argomento dell’aggettivo dovesse necessariamente essere un membro della classe di comparazione, un esempio come (19) dovrebbe essere inammissibile per fallimento di presupposizione:
(19) Quel topolino (ovviamente) non è un piccolo elefante.
Dal momento che gli elefanti tipicamente non sono piccoli, il modificatore attributivo computa il termine di paragone in riferimento alla classe degli elefanti, indicando così che il nominale fornisce la classe di comparazione; ma (19) non presuppone per questo che il topolino sia un elefante. Kennedy sostiene pertanto che né i nominali modificati, né i sintagmi [SPper SD] forniscono l’argomento della classe di comparazione alla forma positiva, ma
piuttosto restringono il dominio della funzione di misura denotata dall’aggettivo. Un sintagma [SPper SD] influenza lo standard di paragone manipolando il dominio dell’aggettivo; un
nominale modificato rendendo saliente la proprietà che denota. Ma in entrambi i casi non costituiscono un argomento implicito dell’aggettivo, secondo Kennedy (2007). Se il dominio di un aggettivo graduabile può essere ristretto esplicitamente, può esserlo anche implicitamente, come i domini di altre espressioni funzionali, come i quantificatori (Stanley (2000); Stanley e Szabo (2000b); Martì (2002)). Ci sono diverse idee su come le restrizioni implicite del dominio
debbano essere rappresentate all’interfaccia sintassi/semantica. Le restrizioni del dominio dei quantificatori sono per esempio analizzate solitamente come parte del loro significato vero- condizionale (Stanley (2000)). Kennedy (2007) assume invece che le restrizioni del dominio aggettivale siano introdotte attraverso la regola di type-shifting in (20):
(20) Per ogni aggettivo graduabile A, c’è un A’ tale che [[A’]] = λfλx : f(x).[[A]](x), dove f è una funzione da individui a valori di verità.
Un modo di saturare la restrizione del dominio dell’aggettivo [[A’]] è fornire una restrizione esplicita (attraverso un sintagma [SPper SD]). In assenza di una restrizione esplicita, l’argomento
può essere saturato da una proforma nulla (come in Stanley (2000)) o attraverso principi composizionali che assicurano che la restrizione del dominio passi al livello matrice (come nell’analisi senza variabili di Jacobson (2006)).
La dipendenza dal contesto sia della classe di comparazione che della funzione che fissa lo standard di riferimento sono dunque riformulate da Kennedy (2007) nella semantica della forma positiva in (21):
(21) [[ [Deg pos] ]] = λgλx.g(x) ≥ s(g)
dove s è una funzione dal significato dell’aggettivo a gradi, sensibile al contesto, che sceglie uno standard di paragone in modo tale da assicurare che gli oggetti di cui la forma positiva è vera “spicchino”, “si distinguano” nel contesto dell’enunciato relativamente al tipo di misura che l’aggettivo denota. In ogni contesto infatti c’è un valore di soglia, per Kennedy basato sul grado determinato da s, che distingue gli oggetti di cui la forma positiva è vera da quelli di cui è falsa: il grado minimo necessario per “spiccare” nel contesto relativamente ad una proprietà. La ragione per la quale non è sempre facile stabilire il valore di soglia è causata secondo Williamson (1992, 1994) dall’incertezza epistemica del preciso posizionamento di s(g) nel contesto.
Questa analisi permette di rendere conto dei casi limite, ed anche dei paradossi del sorite. L’incapacità di stabilire un valore per s(g) nel contesto spiega infatti come mai non sempre si riesca ad assegnare un valore di verità ad una frase contenente un predicato vago. Inoltre, la forma positiva non può essere usata per distinguere oggetti che sono molto vicini tra loro relativamente ad una certa proprietà (perché nessuno dei due “spicca” rispetto all’altro);
questo rende intuitivamente accettabile la seconda premessa del paradosso del sorite, ma non la conclusione, in cui il grado in cui l’oggetto possiede la proprietà rilevante è decisamente al di sotto del valore soglia.
Si noti che aggettivi graduabili assoluti e relativi si distinguono anche rispetto alla possibilità di dare luogo a paradossi di questo genere (cf.: Un teatro in cui ogni posto è occupato è pieno; un teatro in cui è occupato un posto in meno di un teatro pieno è pieno; quindi, un teatro con metà dei posti occupati è pieno): le premesse sarebbero invariabilmente giudicate false, perché il tipo di misura che un aggettivo assoluto codifica incorpora una “transizione naturale” (Williamson (1992)) relativamente alla quale si possono distinguere due oggetti (ad esempio, “pieno” vs. “non pieno”): è la stessa struttura scalare dell’aggettivo a determinarne lo standard di paragone.
3.3 STANDARD DI COMPARAZIONE, SCALARITÀ ED ECONOMIA INTERPRETATIVA