3 ARGOMENTI NON LINGUISTICI CONTRO IL PRINCIPIO D
5.2 COMPARAZIONE INDIVIDUALE VS DI GRADO
Kennedy (2007b) descrive l’impossibilità di creare strutture sintattiche di astrazione su gradi (responsabile per Beck et al. (2004) dell’inaccettabilità delle subcomparative aggettivali in giapponese) in questi termini: gli standard di riferimento complessi in giapponese sono solo del tipo <e>, mentre in inglese possono essere anche del tipo <d>.
Questa differenza potrebbe essere dovuta al valore fissato per il DAP; ma potrebbe anche essere dovuta ad una differenza nella semantica del comparatore nelle due lingue: se seleziona uno standard di riferimento del tipo <e> o del tipo <d>, cioè, nei termini di Kennedy, se esprime una comparazione individuale o di grado, rispettivamente.
La semantica del comparatore proposta in (22), alias (79b), non può essere adeguata al comparatore (nullo) giapponese se in effetti in questa lingua gli standard di paragone denotano individui e non gradi, perché (80b) prevede uno standard di tipo <d>.
Però, ci sono indizi che (22)/(79b) non sia l’unica opzione neanche per l’inglese o l’italiano. Come notato originariamente da Hankamer (1973) per l’inglese, il secondo termine di paragone di una comparazione può essere dal punto di vista sintattico una descrizione definita di grado (struttura di astrazione su gradi) o semplici SD; questa distinzione è alla base dell’opposizione, comune a molte lingue, tra comparative frasali/ridotte frasali vs. comparative sintagmatiche, che sarà illustrata approfonditamente nella Parte Terza di questo lavoro ma che viene qui esemplificata per l’inglese in (80):
(80) a. John is taller than Mary is fat.
‘John è più alto di quanto Mary sia grassa’. b. John is taller than Mary is.
‘John è più alto di quanto sia Mary’. c. John is taller than Mary.
‘John è più alto di Mary’.
Anticipando i fatti che saranno meglio descritti nei capitoli 6 e 7, le condizioni di legamento ammesse tra soggetto della frase principale e standard di riferimento e gli schemi di estrazione pongono pochi dubbi che in frasi come (80c) il complemento di than in inglese e di di nella traduzione italiana sia un semplice SD; ma allora la semantica del comparatore proposta in (80b) non può essere l’unica disponibile, neanche in inglese ed italiano. È necessario che il
comparatore possa ammettere anche standard di paragone che denotano il tipo semantico <e>, oltre che <d>.
Il modo più diretto di implementare questa idea consiste nell’affermare che esistono due entrate lessicali per il morfema di comparazione esplicito più: uno con la denotazione in (81a), che esprime la comparazione di grado (ancora corrispondente a quelle riportate in (22) e (79b), ma riportate qui per comodità di confronto); ed uno con la denotazione in (81), che esprime la comparazione individuale (Hoeksema (1983); Heim (1985); Kennedy (1999); Bhatt e Takahashi (2007)):
(81) a. [[ più-D ]] = λdλg ∈ D<d,et> λx. max{d'| g (d')(x) = 1} > d (= (81a))
b. [[ più-I ]] = λyλgλx.max{d'| g (d' )(x) = 1} > max{d''| g (d'' )(y ) = 1}
In termini di condizioni di verità, sia la comparazione individuale che la comparazione di grado codificano ordinamenti asimmetrici tra gradi arbitrari, ed introducono interpretazioni indipendenti dalla forma positiva corrispondente. Dunque hanno lo stesso significato di base, ma differiscono nel tipo semantico dello standard di riferimento. Le comparative individuali implicano uno standard sintattico corrispondente al tipo semantico <e>, e derivano un grado di riferimento applicando il significato dell’aggettivo graduabile a questo individuo. La comparazione di grado, invece, attende uno standard sintattico che denoti già un’entità del tipo <d>.
Per Kennedy (2007b) le peculiarità delle comparative giapponesi esposte in § 5.1 derivano dunque da questo parametro: se il giapponese permette solo la comparazione individuale, mentre l’inglese e l’italiano hanno entrambi i tipi, il secondo termine di paragone potrà essere espresso sintatticamente in giapponese solo mediante espressioni che denotano individui, mentre in inglese ed italiano possono denotare sia individui che gradi.
I sintagmi introdotti da yori sono analizzati perciò come frasi relative, come indipendentemente proposto da Ueyama (1998) e comunque accettato anche da Beck et al. (2004). L’assenza di effetti di isola negativa e l’impossibilità di subcomparazione seguono immediatamente: questi fenomeni dipendono dalla specifica sintassi e semantica delle espressioni che denotano astrazioni di grado, ma, ex hypothesi, queste strutture non sono coinvolte nelle comparative giapponesi.
I dati esposti in (76) sono spiegati da Kennedy affermando che la semantica del comparatore ((81b)) interferisce con la denotazione specifica della frase relativa introdotta da yori. In (76b)
la frase relativa Hanako-ga kata yori (‘di quanto ha comprato Hanako’) denota la pluralità massima di oggetti che Hanako ha comprato. La semantica della comparazione individuale deriva per il predicato comparativo la seguente interpretazione:
(82) #λx.max{d'|lungo(x) ≥ d'}> max{d''|lungo(max{y|H comprò y}) ≥ d''}
Il valore dell’espressione alla destra della relazione di ordine (quello della comparativa) dovrebbe essere il risultato dell’applicazione della funzione di misura contenuta nell’aggettivo alla pluralità di oggetti che Hanako ha comprato; ma questa nozione è indefinita, perché la funzione di misura di lungo ha come argomento un’entità atomica (Schwarzschild (2002)), non una pluralità di oggetti. Dunque (82) è semanticamente deviata. (76c) invece sarebbe resa accettabile dalla presenza del verbo incrementale scrivere; questi verbi permettono che il loro argomento (la pluralità massima degli oggetti creati nel corso dell’evento decritto dal verbo) corrisponda ad una entità singola, e quindi la frase relativa Hanako-ga kaita yori (‘di quanto scrisse Hanako’) costituisce un argomento appropriato per la funzione di misura dell’aggettivo. Ci sono dunque lingue (inglese, russo, italiano) che permettono due diversi tipi di comparazione: individuale vs. di grado. Altre lingue invece sembrano avere solo la comparazione individuale: oltre al giapponese, mandarino (Xiang (2003), (2005)), Hindi-Urdu (Bhatt e Takahashi (2007)).
Da che cosa dipende questa distinzione? Per Beck et al. (2004) dipende dal valore fissato per il DAP – cioè, da una restrizione all’interfaccia sintassi/semantica che permette o meno l’astrazione di grado in una data lingua. Kennedy (2007b) argomenta però che se così fosse esempi come (83) non dovrebbero essere ammissibili:
(83) Taroo-wa [Hanako yori] nagai kasa-o katta. Taroo-TOP Hanako da lungo ombrello-ACC comprò ‘Taroo comprò un ombrello più lungo di Hanako’.
Invece (83) è la forma ben formata di (76b): la relativa che costituiva lo standard di paragone semanticamente anomalo qui è sostituita da un semplice SD. Ma l’interpretazione di (83) non discende direttamente dalla sua forma superficiale; è il sollevamento del Deg’’ Hanako yori (‘di Hanako’) fuori dal sintagma aggettivale che provoca la relazione di portata corretta, che risulta
nella Forma Logica riportata in (84a), cui corrispondono le condizioni di verità espresse in (84b)14:
(84) a. Taroo-wa [Hanako yori [[ più-I ]]] ]i t i nagai kasa-o katta.
b.max{d|Taroo comprò un ombrello lungo d} > max{d'|Hanako comprò un ombrello lungo d'}
Ma questo movimento lascia una variabile di grado nella posizione di base, legata dal Deg’’; si crea così una relazione di grado, che costituisce l’argomento <d, et> di [[ più-I ]], e che deriva
condizioni di verità equivalenti a quelle che possiamo costruire direttamente usando uno standard sintattico di forma frasale, denotante direttamente un grado. Questo secondo Kennedy indica che il giapponese permette in effetti l’astrazione sul grado in sintassi, anche se non direttamente nel costituente sintattico che rappresenta lo standard di paragone (il complemento di yori), il che è atteso se il comparatore individuale richiede uno standard che denota un individuo, piuttosto che un grado, ma non se il valore negativo del DAP impedisce del tutto l’astrazione di grado.
Per Bhatt e Takahashi (2007) e Kennedy (2007b) allora il modo più diretto di catturare la distinzione tra comparazione individuale e di grado è assumere che le lingue possono scegliere tra le due denotazioni per il comparatore (anche astratto); possono cioè scegliere se lessicalizzare [[ più-D ]] o [[ più-I ]].
Certo, questo non rende conto del fatto che nella maggior parte delle lingue che hanno una morfologia di grado esplicita il comparatore è sempre lo stesso elemento lessicale, indipendentemente che abbia come complemento un individuo o un grado (cf. l’italiano più). Ma [[ più-I ]] può essere definito in termini di [[ più-D ]], cosicché il sincretismo dei due
comparatori è indebolito ad una specie di implicazione:
(85) [[ più-I ]] = λyλgλx. [[ più-D ]] (max{d|g (d)(y ) = 1})(g )(x)
Poiché [[ più-I ]] può essere definito in termini di [[ più-D ]], ma non viceversa, questa analisi
predice che ogni lingua che ha la comparazione di grado avrà anche la comparazione
14
Questo è un esempio di “portata parassitica” (Heim (1985); Bhatt e Takahashi (2007); Barker (2007); Kennedy e Stanley (2008)): il SD Hanako yori sfrutta la portata del primo termine di paragone Taroo-wa sulla proprietà nagai
kasa-o katta. Il [[ più-I ]] riportato in (84a) rappresenta il comparatore fonologicamente nullo del giapponese, che
individuale, ma che ci sono lingue cha hanno solo la comparazione individuale. Questo fatto, come si è visto, sembra verificato dal mandarino, dall’Hindi-Urdu e dal giapponese.
Kennedy (2007c) abbozza però un modo alternativo di catturare questa distinzione, in cui è la morfologia che introduce lo standard di paragone, piuttosto che la morfologia del comparatore, ad introdurre la semantica delle comparative. Questo passo sarebbe giustificato da due osservazioni: da un lato, le lingue non sembrano distinguere tra diversi lemmi più, e comunque la morfologia comparativa appare opzionale in molte lingue; dall’altro, molte lingue fanno uso di morfemi diversi per introdurre il secondo termine di paragone, e la scelta sembra correlarsi con la distinzione tra comparazione individuale e di grado quando una lingua le prevede entrambe (cf. russo SDGEN/cem; greco apo/apoti; italiano di/che vs. di quanto? Cf.
Capitolo 7).
Kennedy (2007c) propone perciò che, controintuitivamente, la morfologia comparativa non sia portatrice del contenuto semantico che associamo alla comparazione. Il suo ruolo sarebbe meramente quello di trasformare un predicato graduabile in un predicato che seleziona uno standard di paragone.L’assunzione che la morfologia comparativa non abbia un ruolo semantico potrebbe spiegare perché così tante lingue decidono di non darne una realizzazione morfo-fonologica.
Kennedy ipotizza invece che la morfologia che marca lo standard di paragone introduca la semantica della comparazione. Questo pone le seguenti opzioni nel confronto inter- linguistico:
- Una lingua può avere un solo morfema per introdurre lo standard di paragone, che seleziona uno standard di grado, con un significato affine a quello proposto in (81a) per [[ più-D ]]. Dal momento che un significato che accetta uno standard individuale può essere
derivato da questo, (cf. (85)), una lingua come questa dovrebbe avere in linea di principio sia la comparazione individuale che la comparazione di grado.
- Una lingua può avere due morfemi per introdurre lo standard di paragone, che differiscono per l’introduzione di standard individuali vs. di grado. Una lingua come questa dovrebbe avere sia la comparazione individuale che la comparazione di grado, ma saranno morfologicamente e sintatticamente distinte.
- Una lingua può avere un solo morfema per introdurre lo standard di paragone, che seleziona uno standard individuale, con un significato affine a quello di [[ più-I ]] in (81b).
Poiché da questo non può essere derivato un significato che accetti uno standard di grado, una lingua come questa avrà solo la comparazione individuale.
La tabella 1 sintetizza questa tipologia.
Morfema di standard
Inglese Greco Russo Giapponese Italiano
IND: λyλgλx.max(g)(x)
> max(g)(y)
λyλgλx.[[than]](max(g)(y))(g)(x) apo GEN Yori ↓
Di/che?
DEG: λdλgλx.max(g)(x)
> d
↑
than apoti čem ∅
Di quanto,
di che Tabella 1. Tipologia dello standard di comparazione individuale vs. di grado
Non è probabilmente accidentale che la comparazione individuale sia codificata da apposizioni e morfologia di caso, mentre la comparazione di grado spesso prevede elementi wh- ed altri elementi quantificazionali.
Questo approccio rende l’interfaccia sintassi/semantica più trasparente: non c’è bisogno di forzare il comparatore ed il suo complemento, la frase comparativa, in un solo costituente; inoltre cattura direttamente le correlazioni tra la posizione della frase comparativa e la portata della comparazione, documentate da Gawron (1995), Heim (2000), Bhatt e Pancheva (2004) (cf. anche Capitolo 4).
Un tratto debole di questa analisi è l’ipotesi che il comparatore non abbia una vera denotazione semantica, neanche nelle lingue in cui è esplicitamente espresso, e che perciò non contribuisca al significato complessivo della frase (in chiave composizionale), se non imponendo che il predicato con il quale si combina selezioni un termine di paragone.
Una alternativa è che gli aggettivi graduabili denotino funzioni di misura del tipo <e,t>, anziché relazioni di grado del tipo <d, et> (cf. § 3.4) e che il ruolo del comparatore sia quello di trasformarli in relazioni di grado, oltre a selezionare uno standard di riferimento. Questa possibilità si rivela utile se si considera un altro dei modi che le lingue hanno a disposizione per esprimere comparazioni.