3.1 Le categorie dei beni comun
3.1.1 Classificazione dei beni comuni secondo la teoria economica
Certamente l‟interpretazione sociale dei beni e delle risorse comuni, delinea un aspetto di prospettiva alla gestione che cerchi di superare il riduzionismo economico. Non per questo possiamo negare che le formula del mercato possa essere vincente, a patto di accorgimenti che mitighino i fallimenti del mercato, da cui i beni comuni sono spesso afflitti. Le attività economiche gestite dagli operatori privati tendono a realizzare un grado di efficienza economica soddisfacente. E‟ , infatti, obiettivo di ogni soggetto operante sul mercato acquisire, ad un costo minimo, i beni e i servizi che soddisfano le proprie preferenze in modo da massimizzare il profitto. Il mercato è il luogo che permette a produttori e consumatori di concordare il prezzo dei beni e servizi da scambiare.
Non sempre questa condizione si realizza automaticamente, se si concretizzano determinate situazioni il mercato tende a fallire e i motivi principali sono (v. Campa, 2010, pag.133):
gli agenti economici non hanno uguale informazione; i beni scambiati e i prodotti non sono privati;
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la tecnologia di produzione e distribuzione non è sempre accessibile a tutti gli agenti;
ci sono barriere all‟entrata e all‟uscita dal mercato;
il mercato non funziona compiutamente grazie al meccanismo dei prezzi;
gli operatori non sono sempre price-taker.
Fra le varie ragioni per cui si verifica il fallimento del mercato, mi soffermo sui problemi determinati dalla mancanza di alcune caratteristiche che rendono il bene privato. Si dice bene privato, un bene per cui è possibile che un agente possa essere escluso dall‟ utilizzo dello stesso e dove il consumo di un unità di bene da parte di un soggetto impedisce ad un altro la possibilità di consumo della stessa unità. Quando queste due caratteristiche, l‟escludibilità e la rivalità, non si presentano si parla di bene pubblico puro.
Un bene è non escludibile quando impedire l‟utilizzo del bene anche ad una sola persona è troppo costoso, se non addirittura impossibile perché non esistono sistemi reali e economicamente sostenibili per controllare in qualche modo l‟accesso al consumo. Questo è una delle ragioni perché fornire un bene pubblico è difficile, infatti, è di buon senso capire che se un individuo può consumare un bene senza pagare, perché non escludibile, vi è un forte incentivo che egli aspetti che siano gli altri a fornirlo e pagarlo. Questo comportamento è chiamato strategia del free
rider.
Un bene è non rivale quando fornie un unità in più dello stesso prodotto ha un costo marginale uguale a zero. Perché in questo caso, il mercato possa funzionare, il produttore volendo realizzare un equilibrio efficiente dovrebbe fornire il bene ad un prezzo pari alla somma delle
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preferenze sul prezzo dei singoli consumatori. E‟ intuibile, infatti, che se un bene non è rivale la domanda sul mercato non rappresenta la somma delle domande individuali, anzi, stabilita una quantità ottimale dal produttore tutti possono usufruirne senza essere da intralcio ad un altro. Quello che perciò è necessario sapere di un bene pubblico, non è tanto la domanda presente sul mercato ma se stabilita questa quantità ottimale, il prezzo complessivo che il produttore può raccogliere sul mercato copre i costi medi della produzione.
Il problema che questo livello di equilibrio è difficile da realizzare, infatti, anche in questo caso, i consumatori tendono a comportarsi da free
rider indicando un livello di disponibilità a pagare il bene sottostimato,
sperando di poter successivamente usufruire del bene prodotto a un prezzo inferiore. Facendo così il consumatore finisce per alimentare un riduzione dell‟offerta determinandone la produzione di una quantità insufficiente. L‟alternativa per il produttore è quella produrre indipendentemente una certa quantità ritenuta efficiente e di fissare comunque il prezzo al costo medio con il rischi di aver un sottoutilizzo del bene anche perché, in un mercato concorrenziale, questo prezzo rappresenta un perdita secca del beneficio del consumatore che stima il suo prezzo in relazione alla percezione del costo marginale cioè zero. In una situazione del genere qualsiasi produttore non avrebbe interesse a fornire il bene (v. Campa,2010, pag 166).
Un caso di questa problematica sono i servizi pubblici. Nel fornire servizio di il costo marginale per un‟unità in più di prodotto è irrisorio, almeno fino al punto di saturazione dell‟impianto, e il bene è quindi non rivale. Quello che però li caratterizza è la necessità di forti costi di gestione degli impianti, tanto che la produzione è favorita solo a condizione di creare forti economia di scala. In questi mercati è difficile sostenere la
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presenza di più imprese perché il costo medio è sempre superiore al costo marginale, l‟unica possibilità perché un‟azienda possa avere interesse a produrre quel bene è di trovarsi in una situazione di monopolio così da produrre una quantità inferiore al prezzo di concorrenza e poter fissare un prezzo leggermente superiore tale da coprire i costi medi.
La possibilità per il produttore di comportarsi da monopolista, gli permetterebbe di fornire il bene al un prezzo determinabile dalla quantità di bene individuata dall‟uguaglianza fra il ricavo marginale e il costo marginale. Permettere al monopolista di fissasse quel prezzo è inopportuno, anche per l‟importanza del servizio a livello sociale, ma non è neppure possibile costringerlo a fissare il prezzo al livello del costo marginale, a meno di farlo andare in perdita. In questo caso l‟unica possibilità è l‟interveto dello Stato che può o fissare il prezzo al costo medio determinando una perdita secca al consumatore, oppure fissarlo al costo marginale imponendo comunque al consumatore una tassa da girare al produttore (v. Campa, 2010, pag.139-140).
Se, quindi, i beni serviti sono in quantità insufficienti rispetto alle necessità perché il privato non ha interesse a produrli, oppure, si creano altre forme di beni pubblici con effetti negativi dove per le dinamiche descritte non si riesce efficacemente a far pagare il prezzo giusto per queste esternalità il cui costo ricade su l‟intera società, allora si impone la necessità di un‟azione collettiva dove una coalizione di più soggetti o qualcuno che agisce nell‟interesse di tutti riesca a regolare la produzione di questi beni. Quindi ogni qual volta il mercato non ha possibilità di risultare naturalmente efficiente, individuiamo dei beni e delle risorse collettive (v. Starrett, 1988).
Una struttura per meglio identificare come i beni si collocano rispetto alla due caratteristiche essenziali, ragione del determinarsi di possibili
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fallimenti di mercato può essere rappresentata da un tabella dove in verticale si pone la caratteristica dell‟escludibilità e sul lato orizzontale è riportata la rivalità (Fig. 1) (v. Ostrom E., Gardner R., Walker J. (1994).
Nel settore in basso, a sinistra, sono indicati i beni pubblici puri, per definizione non ecludibili e non rivali , mentre in quello in basso a destra i beni privati. Nei restanti quadranti si trovano rispettivamente i beni di club che spesso si identificano in quei beni al cui si può accedere attraverso una tariffa e si distinguono per la bassa rivalità e facilità di esclusione, le risorse collettive a difficile esclusione e alta rivalità.
Focalizzandosi sulla tabella sopra proposta, i beni comuni, per come le abbiamo descritti in un quadro culturale e sociale, attraversano certamente le tre aree che presentano contemporaneamente o alternativamente le caratteristiche della non esclusività e delle non rivalità, ma non ci dicono niente sul quali possibilità abbiamo di gestirli. Dobbiamo, quindi, provare a descrivere alcuni di questi beni e immaginarseli in alcune situazioni
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economiche per renderci conto quali regimi proprietari sono preferibili una loro gestione.
Come primo esempio prendiamo un faro costruito su un promontorio per indicare alle navi di passaggio la presenza di acque pericolose o la posizione della terra ferma. Si tratta di un bene pubblico puro: il beneficio che offre ai navigatori non né escludibile, né rivale. Ogni navigatore ha l‟incentivo a sfruttare la funzione del faro senza pagare il servizio, il mercato non riesce a fornire in maniera sufficiente il servizio e di conseguenza i fari sono gestiti dalla Stato che si occuperà di garantire l‟interesse collettivo.
Tuttavia, se il faro assumesse la funzione di fattore produttivo per un l‟unico porto adiacente, potremmo riuscire ad avere una gestione efficiente di mercato con diritti attribuiti ai privati. Questo situazione si è verificata in Inghilterra: il proprietario del faro non potendo imporre un pagamento del servizio ai navigatori di passaggio, richiedeva però un prestazione per il servizio al proprietario del vicino porto. Questo aveva tutto l‟interesse a pagare, perché se il faro stava spento, le navi non erano in grado di attraccare al porto e questo causava la perdita degli introiti garantiti dalla tassa di ormeggio. Il faro era quindi un elemento essenziale per la funzionalità del porto. Questo caso dimostra come un bene oggettivamente comune può efficacemente essere gestito dal privato purché si creino condizione appropriate per attribuire dei diritti di proprietà ben definiti. Comunque la situazione proposta è fortemente specifica perché il faro è collegato ad un solo porto, se invece la sua funzione fosse al servizio di più porti le caratteristiche di bene pubblico si riproporrebbero, permettendo la possibilità almeno per un armatore di comportarsi da free rider. (v. Mankiw, 2007).
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Un esempio di bene club lo si può trarre dalle caratteristiche delle reti come quelle stradali. Una strada ha le caratteristica di un bene potenzialmente escludibile e, fin tanto che non si determini un fenomeno di affollamento, anche non rivale. Come abbiamo visto, quando un bene è non rivale, non gli si dovrebbe applicare nessuna forma di esclusione a causa del costo marginale irrisorio evitando così di creare dinamiche di sottoconsumo e quindi di inefficienza. Tuttavia costruire una strada ha spesso un costo iniziale fisso molto elevato e per questo la soluzione dovrà essere l‟intervento dello Stato, che contribuisce a sopperire quello che sarebbe dovuto essere il prezzo in corrispondenza del costo medio, lasciando l‟utilizzo al prezzo del costo marginale come abbiamo visto parlando del monopolio naturale. L‟intervento dello Stato sopperirà all‟inefficienza del mercato sia garantendo un livello sufficiente del bene sia evitando il sottoconsumo cercando di non escludere nessun potenziale utilizzatore.
Può succedere, però, che rendere il bene accessibile a tutti indifferentemente, possa causare processi di congestione, tali da determinare una rivalità al consumo. In questo caso la necessità di introdurre un unità in più di bene per sopperire alla congestione produce un nuovo costo, aumentando così il costo marginale. Per non dover affrontare nuovi costi, che ristabiliscano un punto di saturazione dell‟utilizzo del bene più alto dell‟attuale, si preferisce, quindi, inserire un pedaggio. Il bene club, escludibile e non rivale, avendo mutato questa seconda caratteristica, presenta, ora, convenienza a porre dei limiti all‟ingresso. Questa nuova condizione riconduce la gestione del bene club in una condizione di efficienza tale da poter essere gestito dal mercato (v. Stiglitz, 2003).
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Nell‟ ultimo esempio descriviamo un tipica risorsa collettiva: il pescato e i prodotti del mare. In questo caso è più difficile trovare strumenti di correzione all‟inefficienza a causa delle esternalità negative prodotte dalla concorrenza di mercato. La forte pressione sugli habitat marini dei sistemi di pesca intensi delineano la fauna ittica come una risorsa collettiva per cui alla difficoltà di esclusione si affianca un forte tendenza alla rivalità. Una località dove questa pratica sta decimando la fauna ittica è il New England, in quei mari i pescatori stanno prelevando dal 50 al 70 per cento del patrimonio ittico, una percentuale doppia rispetto a quella sostenibile. Anche qui il mercato non è in grado di correggere spontaneamente l‟allocazione inefficiente delle risorse, i privati interessati a rispondere con la loro produzione alla domanda attuale e a incrementare i propri profitti trascurano i costi sociali derivanti da un impoverimento delle risorse. In questo senso il New England Fischeries Management Council sta tentando di attenuare il problema cercando di proibire l‟entrata dell‟industria nel mercato, limitare il numero di giornata delle giornate di pesca e imporre l‟utilizzo di maglie più larghe. Meccanismi che provano a ricostruire un meccanismo di escludibilità dall‟utilizzo eccessivo della risorsa. In questo caso difficilmente è possibile trovare dei meccanismi di privatizzazione per la natura della risorsa in questa cosa sarà più necessario un intervento di regolazione esterno (v. Varian, 2002).
Questi esempi ci portano a concludere che in molti casi il mercato non è efficiente: tuttavia, a seconda delle condizioni reali in cui si trovano questi beni, l‟intervento pubblico e una precisa definizione dei diritti dei privati permettono il formarsi meccanismi di negoziazione in grado di evitare disfunzioni nell‟utilizzo delle risorse e dei beni.
In questo quadro si sono esaltati da una parte il ruolo dello Stato, dall‟altro il ruolo dei privati. La grande esclusa fra le possibilità di
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prevedere a una gestione efficiente dei beni è la comunità, vedremo in seguito come negli studi di Ostrom si cerca di sviluppare una teoria buona per creare modelli ibridi di gestione.