3.3 Un nuovo modello per gestire i beni comun
3.3.2 La proprietà collettiva e i principi progettuali per l’autogoverno
Individuate nelle risorse e negli utilizzatori le caratteristiche consone ad una gestione auto-organizzata, riscontrati gli elementi di forza nella gestione collettiva della risorsa dallo studio del sistema, il passo successivo che permette un funzionamento del sistema sta nell‟organizzare le risorse creando uno stato giuridico più efficace dei sistemi proprietari.
Abbiamo analizzato in precedenza come, sebbene il concetto di beni comuni provenga da lontano, negli ultimi due secoli la cultura prevalente ha costituito istituzioni basate sulla dicotomia Stato-mercato. Il primo in quanto soggetto con capacità di intervento nell‟economia e nella possibilità di avere la gestione proprietaria delle risorse e beni comuni, il
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secondo, in quanto diritto privato del soggetto individuale che organizza attraverso formule contrattuali la distribuzione delle risorse.
La proprietà collettiva è una soluzione di diritto diversa, al fine di rendere attuabili i principi di auto gestione. Il dibattito intorno a questa categoria di forma proprietaria riemerge nel 1861, dagli iscritti di Henry Summer Maine, che pubblicò un libro dal titolo “Ancient Law”, nel quale l‟autore, guardando ai sistemi giuridici di Scozia e Irlanda come luoghi lontani dall‟influenza dell‟evoluzione giuridica del vecchio continente, esalta la proprietà collettiva come modo di possedere altro rispetto a quello tradizionale. La proprietà collettiva ribalta la base edificante del sistema di diritto; se la proprietà privata esalta il ruolo del soggetto sull‟oggetto, questa esalta l‟oggetto come realtà primordiale con leggi proprie, meritevoli di essere rispettate fino in fondo. Appare evidente anche il valore ambientale dei beni collettivi, nei quali non ci sono slanci individualistici, ma la risorsa diventa l‟oggetto avete il diritto di tutela, sia dal soggetto operatore che è il gestore della proprietà collettiva, sia dal singolo individuo nel ruolo dell‟utilizzatore (Grossi, 2001, pag 17-18)
Questo filone teorico nel contesto italiano è stato portato avanti dal giurista Paolo Grossi che, nel celeberrimo libro del 1977 “Un altro modo di possedere. L‟emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria”, descriveva la proprietà collettiva come un assetto particolare di vita associata, che si struttura su una stretta relazione tra risorse naturali, comunità e singoli attori. Non è quindi una nozione specifica, ma un‟espressione il cui significato è quello di una proprietà in senso lato, composta da una pluralità di elementi.
Esistono due tipologie di proprietà collettiva: una chiusa che non si distingue molto dall‟idea di proprietà privata, essendo riferibile a un gruppo assai ristretto di soggetti residenti in una determinata zona e legati
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alla proprietà da un diritto di discendenza perché originari del luogo, un altro di tipo aperto perché lo sfruttamento è garantito a tutti gli abitanti di una certa zona, anche quelli trasferiti nel luogo successivamente. Quello che unisce questi due tipi di proprietà collettiva risiede nell‟approccio funzionale al significato di proprietà, al di là dell‟ampiezza e della qualità degli utilizzatori, la proprietà non ha un profilo utilitaristico, ma funzionale al perseguimento di una gestione che porti dei benefici alla collettività. Gli aspetti della proprietà collettiva sono caratterizzati dall‟incommerciabilità e dall‟inappropriabilità della risorsa, gli obiettivi si propongono di fornire beni e servizi o occasioni di lavoro ai componenti della comunità, con il coinvolgimento di tutti per raggiungere i risultati migliori. Questo sistema complesso può garantire utilizzazioni multiple delle risorse (v. Cartesio, cons. 2012, pag 24, webpaper).
Si possono attribuire diverse funzioni al sistema della proprietà collettiva, le principali sono quelle di natura ecologica, economica e socio- culturale. Per quel che riguarda quella ecologica si tratta del risultato riscontrabile dalla struttura stessa del sistema proprietario. Se come spesso accade le risorse e i beni comuni sono scarsi o poco produttivi, il sistema della proprietà collettiva permette la valorizzazione di ogni elemento naturale e artificiale utile alla comunità, che così può essere sfruttato in maniera più efficace. Ne consegue che la sopravvivenza del sistema è legata alla capacità dei suoi utilizzatori di adattarsi al contesto nel quale operano e al grado di informazioni acquisite sul sistema socio-ecologico locale, grazie alle forme di governo che, operando nel territorio, trasformano le informazioni ricevute dall‟ambiente in output per la sopravvivenza della comunità.
L‟altra funzione della proprietà collettiva riguarda il livello di sfruttamento delle risorse a fini produttivi. Lo scambio di prodotti, sia nel
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caso di un‟utilizzazione diretta della risorsa che in quello della vendita e produzione dei servizi, determina un reciproco vantaggio per i soggetti interessati. Un‟altra importante funzione è quella socio-culturale, derivata dall‟insieme di usi non economici a cui è sottoposta la risorsa e da cui dipendono gli aspetti legati alla qualità della vita. La gestione collettiva è valutata anche nella capacità di produrre esternalità positive, come la conservazione delle risorse, del paesaggio e della biodiversità. In questo senso la proprietà collettiva è da definirsi ottimale quando produce beni comuni di cui tutti possono godere (v. Cartesio, cons. 2012, pag 24, webpaper).
Al fine di riuscire ad ottenere questi risultati è necessario ricorrere a dei principi progettuali che riescano a organizzare istituzioni efficaci. Se infatti mancasse un‟attenta programmazione della proprietà collettiva e le istituzioni perdessero di autorità, la gestione delle risorse collettive e dei beni comuni non potrebbe essere effettuata dalla collettività stessa, ma si degenererebbe in un regime di libero accesso. E‟ così che attraverso l‟osservazione empirica di vari casi, e grazie alla creazione di uno strumento di analisi in grado di valutare i fattori determinanti per la strutturazione di sistemi di gestione collettiva, la Ostrom ha sintetizzato dei principi base, riscontrabili in più esperienze, che permettono la realizzazione di istituzioni efficaci, raccoglibili in questi otto enunciati:
Chiara definizione dei confini:
I confini fisici ed ecologici della risorsa devono essere ben definiti, con essi i diritti collettivi che gli individui possiedo su di essi;
Congruenza tra le regole di appropriazione, fornitura e condizioni locali:
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Le regole devono limitare tempi, modi e dimensione dei prelievi in relazione agli attributi specifici delle risorse, considerando la situazione locale circa il lavoro, la tecnologia, i materiali e fondi di finanziamento;
Metodi di decisione collettiva:
E‟ importante che gli individui interessati dall‟applicazione delle regole siano in grado di contribuire alla definizione delle stesse. Essendo i diretti interessati alla interazione con le risorse, possiedono l‟insieme delle conoscenze pratiche per adattare meglio le disposizioni alle condizioni reali del sistema;
Controllo:
Coloro che controllano il rispetto delle regole devono rispondere al gruppo degli utilizzatori e devono farne parte. Individuare il grado di responsabilità è fondamentale per non dover utilizzare un‟autorità esterna in caso di controversie. Le esperienze di gestione delle risorse comuni di maggior successo fanno si che il monitoraggio sia un sottoprodotto naturale dell‟uso della risorsa, permettendo così la diminuzione dei costi relativi;
Sanzioni progressive:
Gli appropriatori che violano le regole possono ricevere sanzioni variabili a seconda della gravità della violazione. Se la sanzione è indispensabile per funzionare da deterrente e garantire l‟impegno da parte degli utilizzatori, deve essere equilibrata rispetto al costo-opportunità della violazione, disincentivando maggiormente quelle attività che mettano in pericolo le basi stesse del rapporto di fiducia e di reciprocità degli utilizzatori;
Meccanismi di risoluzione dei conflitti:
Poiché un certo grado di ambiguità delle regole è inevitabile, è necessario trovare qualche tipo di meccanismo in grado di giudicare con
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costi ridotti che cosa costituisca un‟infrazione, così da evitare la nascita di conflitti disgreganti;
Minimo riconoscimento del diritto di auto organizzarsi:
E‟ importante che non ci siano autorità esterne interessate a negare al gruppo di utilizzatori il diritto di auto-organizzarsi. E‟ auspicabile che dalle istituzioni governative venga una legittimazione delle regole stabilite dalla comunità;
Attività organizzate su diversi livelli:
Nel caso di risorse facenti parte di sistemi più estesi, è opportuno che tutte le attività legate allo sfruttamento, al mantenimento, al sanzionamento e alla risoluzione di conflitti, siano strutturate su livelli molteplici e successivi, in modo che ciascuno possa essere affrontato su scala più opportuna. I diversi modelli dovranno essere coerenti tra loro e organizzati in base a criteri di sussidiarietà.
Le istituzioni che si sono formate seguendo i suddetti principi hanno dimostrato nel tempo maggior probabilità di successo (Bravo, 2001, pag. 503).