Nel corso degli ultimi due decenni, le politiche di privatizzazione e di liberalizzazione dei grandi servizi pubblici si sono realizzate ormai compiutamente. Ciò ha comportato un processo di riduzione del peso del diritto pubblico e amministrativo a favore del diritto privato, nella regolazione del funzionamento dell‟erogazione dei servizi pubblici. Vero è che la reazione culturale alla percezione di un‟ eccessiva presenza dello Stato in economia, non ha tradotto questa svolta nei risultati auspicati.
I fautori delle privatizzazioni partivano da un‟impostazione autoritaria dell‟azione statale e, secondo loro, la riduzione del diritto amministrativo e pubblico avrebbe ricondotto il rapporto fra cittadino e amministrazione verso una relazione più democratica, tenuta insieme da una preminenza del diritto comune, fondato sul principio consensualistico. In realtà, se guardiamo ai servizi pubblici nella loro tradizionale configurazione e non nel loro ampliamento, dovuto alla scelte economiche post-conflitto, sono stati i luoghi in cui si sono sperimentate le forme più democratiche di amministrazione, nelle quali il rapporto fra cittadino e amministrazione si è sviluppato in senso paritario, con lo scopo di soddisfare interessi ultraindividuali( v. Iannello, 2012, pag. 4).
Quindi possiamo dire che il problema non risiede tanto nell‟aspetto autoritario del sistema statale, bensì nella funzione culturale che si vuole dare al servizio pubblico. Nel processo di privatizzazione, al centro del servizio non c‟è più il cittadino ma la figura del cliente-consumatore. Il principio per cui il soggetto privato diventa più efficace nella gestione del servizio risiede nel fatto che un sistema privatistico ha maggior capacità di produrre a minor costo, ottenendo migliori risultati per efficienza economica (v. Iannello, 2012, pag. 5-6).
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Non pochi sono stati i problemi degli enti e delle imprese pubbliche: limiti nella definizione degli obiettivi, nella capacità dell‟autorità pubblica di definire i ruoli e le responsabilità dei vari amministratori pubblici. Spesso vi è una difficoltà a valutare la remunerazione degli amministratori poichè non esiste un valore di mercato della funzione sociale, obiettivo del loro operare. È difficile legare la performance dell‟ amministratore a quella dell‟ente, oltre al fatto che non vi è una quotazione di borsa che permette di dare un prezzo di mercato alla funzionalità dell‟ente o impresa pubblica. Infine non esiste un vincolo finanziario, se il soggetto pubblico responsabile del servizio fallisce nella sua opera: non riuscendo a coprire i costi, lo Stato per salvaguardare lo scopo sociale risana i conti dell‟ente (Barucci Pierobon , 2010, ebook).
Queste debolezze della gestione pubblica hanno reso vulnerabile il sistema, aprendo a una soluzione più efficiente prospettata dal mercato. I problemi dei fallimenti e dell‟ asimmetria informativa, però, non sono scomparsi e quindi l‟alternativa è rappresentata da un cambiamento strutturale del significato di servizio pubblico. Si passa da una visione collettiva a una individualista; lo spirito con cui viene fornito e gestito il servizio è di natura economicista, tanto che si vuole evitare che le eventuali diseconomie prodotte dal servizio nella sua funzione sociale ricadano sulla fiscalità generale, ma rientrino nell‟ambito del rapporto privatistico impresa-cliente. La retrocessione dell‟aspetto sociale del servizio ha comportato l‟ estromissione dalle sue prestazioni del contenuto dei diritti di cittadinanza, trasformati in prodotti di consumo. A differenza del classico servizio pubblico, gestito in regime di riserva dai poteri pubblici, il servizio privatizzato può essere venduto da un‟impresa e acquistato su un mercato da un cliente come qualsiasi altro bene (Barucci Pierobon , 2010, ebook).
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Questa impostazione, che avrebbe dovuto esaurire anche gli ultimi residui di carattere autoritario, in realtà per molti versi ha fallito la sua missione. Difficilmente il cittadino, soggetto portatore di diritti civili e quindi meritevoli di tutela, può essere totalmente comparato al consumatore utente. Il risultato delle privatizzazione è stato oggetto di forte ambiguità, il legislatore ha provato a preservare le tutele almeno per il nucleo centrale del servizio, che rappresenta un ambito più ristretto di quello originale e coincide con quello del servizio universale, come indicato nella normativa comunitaria. L‟obiettivo del legislatore stava nel ricercare un modo per mantenere fermi i principi tradizionali dell‟amministrazione pubblica come l‟eguaglianza, l‟imparzialità e la trasparenza (v. Iannello, 2012, pag. 9).
Tuttavia quest‟ultimo obiettivo ha determinato una forzatura rispetto ai meccanismi del mercato. La forza espansiva del diritto privato è stata arginata, sia facendo leva sull‟ambiguità del processo di liberalizzazione, sia deformando istituti privatistici, finendo per creare istituti mediati pubblici-privati. Questi elementi si sono andati ad innestare ai problemi derivanti dall‟introduzione di un sistema concorrenziale in ambiti naturalmente monopolistici, richiedendo perciò la necessità di una vastissima regolazione, più ampia e penetrante della precedente, che oltretutto in alcuni casi è rimasta incompiuta. Si è assistito, così, ad una inattesa espansione del diritto pubblico e dei soggetti amministrativi e, dunque, della sfera pubblica nel suo complesso. Questa circostanza ha contribuito a minare le stesse premesse culturali del fenomeno privatizzazione. I risultati sono stati paradossali se paragonati alle premesse; dall‟obiettivo di bonificare il sistema dai tratti di autoritarismo si è finito per implementare ai vecchi poteri pubblici, altri, lontani dall‟idea di amministrazione democratica, perché estranei ai meccanismi di democrazia rappresentativa. Poteri necessari a regolare i settori secondo
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meccanismi tecnici e dell‟economia, e quindi privati delle finalità sociali e collettive che nel secolo scorso avevano costituito la linfa della produzione legislativa in materia (v. Iannello, 2012, pag. 10).
Pertanto, invece di diventare più democratico, come si era auspicato, il potere pubblico, spogliato delle istanze sociali, non solo non si è ridotto, ma ne è uscito rafforzato e, per alcuni aspetti, anche profondamente alterato. Eliminata la linfa sociale da cui è stato alimentato durante tutto il corso del XX secolo, è rimasto in evidenza soprattutto il suo scheletro autoritario (v. Iannello, 2012, pag. 11).
In questo nuovo scenario il sistema di gestione e produzione dei servizi pubblici è sempre più sottoposto a quelle forze che vedono qualsiasi forma di bene e risorsa uno strumento per realizzare profitto. Il diritto a sua volta è espropriato da qualsiasi forma valoriale e ridotto a strumento tecnico per la regolazione dei vari interessi sul mercato. Questa situazione si presenta come il terreno di scontro ottimale per i fautori di una normativa, rivolta alle istanze sociali e ai doveri di solidarietà, contro un‟altra orientata al mercato e alla libertà individuale dell‟utente di avere un servizio di qualità.
Questo nuovo scenario scardina totalmente il dibattito accennato nella breve premessa a questo capitolo sulla nozione di servizio pubblico secondo le due concezioni, quella oggettiva e quella soggettiva fino ad oggi discusse. L‟attività di servizio pubblico viene riconsegnata, come alle sue origini, al mercato. Il servizio da pubblico ridiventa privato: da ciò deriva la crisi dello Stato. Riemerge la dottrina classica francese del servizio pubblico, che aveva fondato l‟edificio del diritto pubblico in opposizione alla persona giuridica statuale, criticando la giuspubblicistica tedesca proprio per aver costruito lo Stato e il diritto pubblico sulla base dell‟idea di sovranità (v. Iannello, 2012, pag. 12).
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A dispetto dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione, che hanno determinato l‟arretramento del servizio pubblico, torna di attualità la nozione giuridica originaria per la quale l‟errore insito nella costruzione del diritto pubblico, non è sui principi di socialità e di eguaglianza, ma sull‟idea di sovranità e della persona giuridica. Una riflessione che, lungi dal decretare la fine dello Stato, vuol conferire ad esso una nuova legittimità, con l‟obiettivo di dar vita ad un ordinamento politico dove la futura società non ritorni ad una costituzione assai simile a quella feudale v. Iannello, 2012, pag. 13).