Cerchiamo ora di approfondire il motivo per cui il valore dei beni comuni ha subito numerose modifiche nel corso della storia e come la cultura pesi sull‟elaborazione del concetto di bene comune in termini di scelte sociali.
La storia dell'umanità è sta percorsa da innumerevoli società e culture che nel corso della storia si sono intrecciate e attraversate in vari modi e con diversi gradi di permeabilità. La conseguenza che si è verificata è che la storia ha sempre viaggiato in senso cumulativo, permettendo all'umanità di acquisire sempre maggiori conoscenze e abilità. Le società si sono lentamente uniformate a seconda dell'area geografica e delle interazioni fra comunità, ognuna al contempo si è specializzata in differenti aspetti della vita umana. Alcune società si sono esaltate nel valorizzare i legami familiari e di parentela, altre nello sviluppo delle discipline spirituali, altre ancora nella cura del corpo e nella medicina. Tuttavia, bisogna riconoscere che pur con percorsi diversi, l'obiettivo di tutte le società è di permettere ai propri membri di avere sempre maggior protezione e possibilmente un allungamento della loro vita.
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Negli ultimi due secoli chi ha meglio perseguito questi due obiettivi è stata la società occidentale, che ha concentrato i suoi sforzi nel mettere a disposizione dell'uomo mezzi meccanici sempre più potenti, tali da accrescere continuamente la quantità di energia disponibile pro-capite e raggiungere il traguardo di un maggior benessere materiale. Questa prospettiva di benessere ha condotto le altre società ad accostare sempre più gli stili di vita del mondo occidentale, riconoscendogli nel tempo una posizione di superiorità e formalizzando, per la prima volta nella storia, la nascita di una “civiltà” mondiale pur con tutte le contraddizioni che ne sono conseguite.
La sproporzione delle forze in campo fra l'occidente e il resto del mondo ha sconvolto il modo tradizionale di esistenza di tutte le società colonizzate e ha distrutto tutte le istituzioni e strutture che reggevano i rapporti fra individui, spesso non sostituendole con altre. Questa dinamica ha permesso a un giocatore (la società occidentale o la classe dominante) di sfruttare gli scarti differenziali con gli altri concorrenti ponendo le basi per il progresso culturale dello stesso, causando un appiattimento delle differenze fra le varie società.
La sfida alla quale le istituzioni internazionali sono chiamate a rispondere è come riuscire a mantenere l‟armonia fra questo processo di omologazione e la pulsione, altrettanto forte, di riaffermare quei valori e quelle tradizioni simbolo della specificità di ogni società. Sebbene questo impegno sia gravoso, è necessario che nessuno dei due elementi prenda il sopravvento e si cerchi di ripristinare e valorizzare le differenze, evitando che il privilegio dell'umanità sia attribuibile ad una sola cultura. Per fare questo bisogna tener presente che il progresso non può essere fatto secondo la comoda immagine della somiglianza migliorata, che produce
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soluzioni insipide del modello dominante, ma intraprendere strade e modelli nuovi nella diversità. (v. Levi-Strauss, 1967)
In questa rappresentazione del cammino delle culture al cospetto dell‟ odierna globalizzazione, sembra che l'auspicio tracciato da Levi Strauss sia stato eluso e tradito. Le rivolte che stanno animando molte comunità per la riappropriazione dei beni comuni rappresentano il fallimento della politica delle gradi istituzioni internazionali, troppo spesso ininfluenti nelle scelte degli Stati sovrani, che avevano ceduto a questi enti parte della loro sovranità formale. Questo fallimento è ancora più lampante se messo a confronto con l‟odierna crisi e con la forza che in molti paesi del mondo hanno assunto quelle grandi società multinazionali private che, cresciute in numero e dimensioni, sono diventate a loro volta produttrici dirette e indirette di diritto. Il tratto distintivo di queste corporation multinazionali che concentrano su di sé un potere economico, capace di trasformarsi in potere politico, non conosce un vero contro-principio. Lo strapotere lentamente ottenuto da questi soggetti giuridici ha assunto dimensioni per le quali i governi hanno cominciato ad accettare supinamente delocalizzazioni attuate e minacciate. Effettivamente non è facile contrastare queste grandi multinazionali, poiché, essendo organizzazioni private sovrannazionali, possono non dover avere alcun sentire sociale nei confronti delle comunità. Questa dinamica è anche più accentuata in quelle realtà dove le strutture statuali più deboli e corrotte, hanno permesso l‟appropriazione delle risorse ambientali del territorio (v. Mattei, 2011, pag. 18).
Tuttavia, sebbene i processi individuati da Levi Strauss non sono stati ad oggi governati e si è accentuato un processo di omologazione culturale spesso verso la povertà, in molte comunità sono nati movimenti culturali nei quali riemergono le specificità delle culture. Ad esempio è da citare la
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protesta dei Campesinos boliviani, oggi costretti a comperare i semi dalla multinazionale Monsanto poichè espropriati dalle loro terre, oppure la protesta dei Sem Terra in Brasile contro il latifondo, degli indios in Bolivia contro la svendita della loro acqua alla multinazionale Bechtel e del loro gas allo Stato della California, del popolo nigeriano contro le multinazionali del petrolio quelle dell'acqua a Cochabamba (v. Ricoveri, 2005). In alcuni casi, è successo che gli Stati fossero stati costretti a riscrivere le loro regole, e non per caso in Bolivia, dove il rapporto culturale con i doni della madre terra è più forte; dalle proteste è nato uno dei più avanzati modelli giuridici di elaborazione dei beni comuni. Si riscoprono così i valori culturali delle comunità nella salvaguardia di se stesse e dei beni che ritengono più essenziali al loro vivere comune per il benessere dei suoi partecipanti e per quelli futuri (v. Mattei, 2011).
Se la cultura occidentale attraverso i suoi strumenti è diventata predominante rispetto allo sfruttamento degli apporti differenziali di ciascuna cultura, è anche vero che la mancanza di tolleranza e di rispetto che ha rivelato verso le altrui culture ha generato conflitti e depauperato tradizioni e risorse. La forza della cultura occidentale, che grazie alla teoria economica così precisa e particolareggiata riesce a spiegare il posto dell'individuo nella società, tiene in minor conto il fatto che certi tipi di esigenze nascono dalla comunità e che probabilmente ogni comunità stabilisce un rapporto con i beni diverso, che non può essere valutato attraverso un riduzionismo teorico che stabilisce i beni privati da fornire attraverso il mercato e individua per riduzione quelli che devono andare a soddisfare gli interessi collettivi (impostazione società occidentale) (v. Douglas, 1994, pag. 46-47).
Società e culture differenti, all'interno del loro dibattito sulle norme e nel percorso che porta a una mediazione fra diverse posizioni, conducono
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a valutazioni diverse sulla natura di un bene. Si evidenzia come la teoria dei beni data dall‟economia attuale, che illustreremo in seguito, non è espressione di un risultato naturale ma di una scelta precisa della nostra cultura, anche perché non è stata naturale la diffusione dei nostri processi economici sul mondo intero, ma è dipesa dalla centralità che l'occidente ha fatto dell'uso della forza per diffondere la sua cultura.
Il rendersi conto di questi risultati ha portato nel tempo allo svilupparsi di un' analisi antropologica sull'impatto delle comunità su come trattare e considerare i beni, sviluppare anche nella società occidentale dei filoni di ricerca che provassero a spostare il dibattito economico su altri sistemi, oltre a quello dello Stato e del mercato.
Dal punto di vista dell'analisi antropologica di Steiner sulle comunità, ogni cosa può essere pubblica non aggrappandosi a qualche caratteristica intrinseca del bene stesso ma alla reazione del pubblico al bene. Per esempio tra molte popolazioni che vivono di caccia, le regole di caccia assicurano che la carne venga distribuita a tutto il villaggio. In questo caso il prodotto caccia che di per sé si prospetta come un bene privato, viene trattato come bene comune. E' così che in questo modello il ruolo dell'individuo è molto meno centrale, mentre diventa centrale il ruolo della comunità e il modo in cui formula le sue regole. (v. Douglas, 1994, pag. 28-29)
Tuttavia non ci sono società dove, attraverso il mercato, si regola qualsiasi forma di rapporto e altre dove tutto è determinato dalla comunità: il tema è quindi il grado di interferenza delle regole comuni. L'individuo razionale non è una creatura che si sviluppa nell'isolamento ma nella vita comunitaria, a seconda che la comunità interpreti l'azione collettiva più meno problematica, più o meno fragile tende a sviluppare un modello economico-sociale piuttosto che un altro, in secondo luogo gli
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individui usano il loro raziocino per vagliare i loro ordinamenti sociali: il risultato di questo dibattito porta a fissare la forma e le istituzioni della loro società.
E' attraverso il confronto fra individui che le istituzioni della comunità diventano patrimonio collettivo ed è da questi processi che si muovono gli assunti delle teorie sulla cultura, non può esistere una società umana svuotata dalla possibilità di decidere sulle sue norme, non si può aggiungere a certi tipi di istituzioni a certi altri, perché sarebbero indifendibili da qualsiasi principio comune. E' così che ogni scelta e azione collettiva deve essere discussa dalla comunità, Douglas propone due diverse modalità a cui si può così arrivare ad un azione collettiva. La prima presuppone presume che un dato gruppo si trovi a discutere per individuare delle categorie concettuali utili a definire e/o raggiungere un obiettivo attraverso la forma del dialogo controllato, identificato da Bruce Anckerman per descrivere il dibattito liberale, ma applicabile a qualsiasi forma di struttura politica. Il dibattito vincolato si basa su tre elementi: razionalità, coerenza e neutralità. La razionalità prevede che ogni rivendicazione sia sostenuta da precise ragioni. La coerenza salvaguardia l' integretità del dialogo richiesta dalla razionalità, infine la neutralità protegge il dibattito contro la possibilità che vi siano dichiarazioni di superiorità. La seconda modalità è quella proposta da Pierre Boridieu basata sul concetto di habitus che definisce il campo sociale dove gli individui competo per la legittimità. La lotta si svolge in larga misura nella forma di una contrapposizione di giudizi estetici e morali, risaltando la tipologia di contesa e le strategie per una possibile soluzione. Non riguarda né la forma della società ne il modo in cui la struttura sociale orienta il dibattito ma soltanto la descrizione dell'atto (v. Douglas, 1994, pag. 34).
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Questi due modelli, che vanno a formare la teoria delle culture, risaltano come qualsiasi percorso la società intraprenderà, diversificato a seconda del modello scelto, non potrà essere determinato fuori dal dibattito pubblico dove gli individui lottano per assicurare un sostegno al bene comune. Qualsiasi comunità vive attraverso specifici processi culturali, per questo Douglas non pone la dimensione del gruppo come variabile, asserendo che nella prospettiva antropologica l'esito positivo di un azione collettiva dipende principalmente dal rapporto fra popolazione e risorse.