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Sebbene non sia apertamente riconosciuta come una nozione centrale della narratologia, implicita-mente la nozione di coerenza è considerata una proprietà cruciale del piano narrativo. Tutte le rifles-sioni interne a vari modelli interessati a individuare una grammatica della narrazione hanno posto il focus su elementi legati alla coerenza: come vedremo a breve, infatti, le connessioni causali e la temporalità, tra gli altri, sono aspetti imprescindibili della coerenza narrativa. Una definizione di coe-renza che sposiamo in questo lavoro è quella che ne individua il nucleo in una proprietà del piano discorsivo che riguarda la rappresentazione generale degli eventi di una narrazione (cfr. Diehl et al., 2006). Tale rappresentazione si caratterizza per essere globale poiché richiama gli elementi principali delle sequenze di eventi rispetto a un tema o uno scopo generale (Goldman et al. 1999). La possibilità di costruire una rappresentazione simile dipende dalla capacità di elaborare connessioni causali tra gli enunciati del discorso e di legare segmenti testuali all’interno di porzioni discorsive più ampie in

modo che gli elementi linguistici che compongono il testo risultino connessi tematicamente tra loro (cfr. Jolliffe & Baron-Cohen 2000).

Nell’interrogarsi sui processi che governano la coerenza globale, tradizionalmente si è fatto ricorso a nozioni di natura linguistica. In effetti, l’opinione di diversi studiosi (linguisti, in primo luogo) è che la coerenza globale dipenda dai nessi referenziali tra gli enunciati del discorso, vale a dire dalle relazioni lineari di contenuto tra frasi adiacenti (per es. Reinhart 1980). Nello specifico, l’idea di questi autori è che la coesione tra enunciati consecutivi rifletta e renda possibile la coerenza discorsiva. Meccanismi linguistici di questo tipo garantirebbero le caratteristiche principali di una narrazione coerente, vale a dire l’unità e la continuità che permette di generare e cogliere il gist di una storia. Per quanto una parte della coerenza discorsiva (la coerenza locale) possa dipendere da dispositivi linguistici tout-court, in letteratura si è mostrato che i meccanismi di coesione non sono una condizione necessaria né sufficiente per dar conto della coerenza narrativa globale (cfr. Adornetti 2013). Argomenti teorici e dati empirici militano in favore di tale idea. Da un punto di vista teorico, Giora (1985) ha mostrato che i collegamenti coesivi tra enunciati adiacenti non sono sufficienti per costruire narrazioni coerenti e che una storia può essere considerata coerente anche in assenza di legami coesivi tra le singole frasi. Ciò che segue da queste considerazioni è che, poiché la coerenza globale non appare riducibile alle regole che governano l’elaborazione delle frasi, la produzione-comprensione di strutture narrative coerenti deve dipendere da principi diversi da quelli implicati nell’analisi dei costituenti interni della frase. Dati empirici sulle architetture cognitive depongono in favore di questa ipotesi: se la coerenza globale non è riducibile ai processi microlinguistici, ciò che ci si deve aspettare è che la narrazione chiami in causa sistemi di elaborazione diversi dai dispositivi computazionali implicati nell’analisi della struttura in costituenti della frase. Diverse ricerche empi-riche confermano queste aspettative. A tal proposito, analisi condotte su diverse popolazioni cliniche (per es. traumatizzati cranici e schizofrenici) hanno evidenziato l’esistenza di una dissociazione tra capacità microelaborative (relative all’analisi della struttura in costituenti della frase) e capacità ma-croelaborative (relative ai processi che governano il modo in cui le frasi si organizzano sul piano discorsivo-conversazionale): i pazienti generalmente non presentano gravi difficoltà nell’elabora-zione delle singole frasi (gli enunciati sono sintatticamente ben formati), ma hanno deficit nella strut-turazione globale dei discorsi che appaiono confusi e disorganizzati (le narrazioni non sono appro-priate da un punto di vista pragmatico) (cfr. Marini et al. 2008; Marini et al. 2014).

Il fallimento dei modelli volti a dar conto della coerenza globale in riferimento a meccanismi strettamente linguistici autonomi da qualunque componente contestuale comporta un cambiamento di prospettiva che inserisca tale proprietà all’interno di una concezione pragmatica. L’approccio nar-ratologico di matrice cognitivista, spingendo sulla nozione di eventfulness e sui meccanismi mentali

responsabili dei vari gradienti di eventfulness (ad es. Hühn 2008), offre degli strumenti per reinqua-drare la coerenza all’interno di una teoria della ricezione narrativa che tenga conto dei processi infe-renziali e interpretativi attraverso cui gli individui generano e afferrano coerenza in un testo. A questo proposito, la letteratura psicologica incentrata sulle rappresentazioni narrative definisce la coerenza in relazione ai processi dialogici tra testo e mente del fruitore (Emmott 1997; Emmott et al. 2006;

Gerrig 1993; Goldman et al. 1999). In questa prospettiva, la coerenza diviene «a mental entity» (Gern-sbacher & Givón 1995, p. VII) che concerne la rappresentazione delle relazioni che intercorrono tra i vari segmenti di una narrazione. In chiave narratologica, costruire una simile rappresentazione si-gnifica ricostruire lo storyworld o modello mentale (Ryan 1991; Gerrig 1993; Herman 2002, 2009) che ricalca gli sviluppi degli eventi narrati.

La nozione cognitiva di coerenza è stata tematizzata soprattutto in riferimento alla causalità.

L’ipotesi prevalente è infatti l’idea che narrare significhi inserire gli eventi in sequenze coerenti, cioè concatenate dal punto di vista causale. Il significato globale di una narrazione si costruirà allora a partire dall’individuazione delle connessioni causali che legano tra loro le sequenze di una storia (Trabasso et al. 1984). Da questo punto di vista, elaborare una proprietà come la coerenza globale significa elaborare i nessi causali tra gli eventi narrati. Un paradigma di riferimento per l’analisi della coerenza globale in termini di legami causali è rappresentato dal Causal Network Model (CNM) ela-borato da Trabasso e colleghi (Trabasso et al. 1984; Trabasso & Sperry 1985). A fondamento del CNM è l’idea che il valore attribuibile a un dato elemento all’interno di un contesto narrativo dipende dal ruolo causale che quell’elemento svolge in quel contesto. Vale a dire: il ruolo di un elemento dipende dal tipo e dal numero di relazioni causali che esso intrattiene con gli altri elementi della struttura narrativa. In particolare, in una narrazione possono darsi due tipi di relazioni causali: con-nessioni causali dirette tra coppie di eventi e catene causali. Le concon-nessioni causali permettono di valutare «how many direct, operative links a statement has to other statements» (Trabasso & Sperry 1985, p. 596). Le connessioni causali sono equiparabili ai legami coesivi di cui abbiamo parlato sopra.

Ma a risultare particolarmente rilevanti per il nostro argomento sono le catene causali. Esse offrono un indizio qualitativo della connessione ad ampio raggio tra gli eventi di una storia, dal suo inizio alla sua conclusione. Infatti, le catene causali riguardano la rappresentazione del gist della storia, ovvero il suo significato globale (Sah & Torng 2015). Da questo punto di vista, per costruire una storia è necessario costruire una rete di catene causali tra gli eventi narrati. Una rete di questo tipo è ciò che garantisce la coerenza di una narrazione: «a higher-order organization which hierarchically connects not only adjacent events […] but also events which are remote from one another on the temporal axis of a given discourse» (Giora & Shen 1994, p. 450). In effetti, benché rappresentino un elemento importante, le connessioni causali dirette tra eventi adiacenti sono insufficienti per l’elaborazione

della struttura complessiva di una storia. Al più, le connessioni evento-evento catturano una coerenza di tipo locale che, come detto in precedenza, è incapace di spiegare il tipo (globale) di coerenza de-cisiva per dar conto del piano narrativo.

Ricondurre la coerenza globale alla capacità di creare legami tra eventi distanti sull’asse tem-porale comporta il riferimento a un elemento che i modelli centrati sulle connessioni causali hanno colpevolmente tralasciato: il ‘fattore tempo’ (Ferretti 2016). Se l’elaborazione della coerenza narra-tiva implica l’abilità di costruire una rete articolata di connessioni tra segmenti non adiacenti, la ca-pacità di produrre e comprendere storie coerenti è strettamente legata alla possibilità di spostarsi lungo l’asse temporale del discorso. In effetti, gran parte del carattere olistico della narrazione di-pende dalla possibilità di connettere eventi temporalmente distanti tra loro. Da questo punto di vista, l’elaborazione della dimensione narrativa implica l’elaborazione della dimensione temporale. Ab-biamo visto che la tradizione narratologica – dall’approccio classico fino ai modelli post-classici – ha caratterizzato la temporalità come un elemento fondativo (ad es. Abbott 2008; Genette 1972; Herman 2013; Ricoeur 1983). Anche diversi autori esterni a tale tradizione hanno sottolineato come il fattore temporale sia il fattore determinante della dimensione narrativa (ad es. Corballis 2015; Karmiloff-Smith 1985). La narrazione implica infatti una logica di distacco dalla presenza e dalla referenzialità che richiede risorse cognitive di elaborazione capaci di generare una configurazione spazio-temporale complessa (Berta 2009). D’altra parte, se guardiamo alle più antiche narrazioni, i miti, scopriamo come queste siano nate precisamente per cucire assieme su un piano diverso sequenze di eventi la cui percezione non offriva relazioni direttamente osservabili.

A partire da queste considerazioni, la nostra ipotesi più generale è che la narrazione abbia un carattere eminentemente temporale perché – come ribadito più volte – il pensiero, su cui essa poggia, ha un fondamento narrativo; d’altra parte, il fondamento narrativo del pensiero dipende dalla natura dei sistemi cognitivi che permettono di strutturare l’esperienza secondo una griglia interpretativa il cui carattere è narrativo: i dispositivi di navigazione nel tempo, i quali funzionano in modo autonomo rispetto al linguaggio (Ferretti 2016; Ferretti et al. 2017). Nel prossimo capitolo proveremo a dare sostegno a questa proposta indagando il fondamento cognitivo della rappresentazione narrativa che, tenendo insieme elementi causali, temporali e prospettici, permette di organizzare la realtà – tanto quella reale quanto quella finzionale – in scenari mentali coerenti.

Capitolo 3

I correlati cognitivi e psicologici del pensiero narrativo

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

Gabriel Garcìa Márquez, Vivere per raccontarla