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La narrazione non ha mai goduto di così grande popolarità come nell’ultimo decennio. Ci si aspette-rebbe che questo interesse verso il tema si accompagni a una chiarezza e a un certo grado di intesa rispetto alla definizione dell’oggetto di indagine; al contrario, la domanda decisiva ‘che cos’è la nar-razione?’ costituisce a tutti gli effetti «a tricky question» (Gallagher & Hutto 2008, p. 30). Se sul piano intuitivo siamo tutti pressoché in grado di formulare una risposta alla domanda, quando si passa ad un piano sistematico che richieda di tracciare delle definizioni rigorose il quadro si complica.

Nel dibattito incentrato su cosa debba intendersi per narrazione, oltre alla mancanza di unani-mità, a complicare il quadro contribuisce una duplice interpretazione che considera la narrazione da un lato come modalità cognitiva di organizzazione dell’esperienza e dall’altro come il prodotto di tale modalità che si concretizza in oggetti comunicativi come le storie. In questa doppia accezione, nar-razione è un’attività di «adeguamento e creazione della realtà» ma allo stesso tempo si riferisce al

«risultato acquisito di tale processo di strutturazione» (Shore 1996, p. 58, citato in Herman 2003b).

D’altra parte, la duplicità del termine narrazione si lega a un ulteriore fatto che appare intuitivo: con narrazione siamo soliti intendere sia l’atto espressivo del narrare sia il contenuto di quell’atto – distinti da Genette (1972) in racconto e storia (§2.2). L’ambiguità implicita nel problema della definizione viene così a toccare non soltanto la categoria narrativa ma anche gli elementi che pertengono a quella categoria: dovremo spiegare cos’è una storia, se e in cosa differisce dal racconto, quando si può par-lare di storytelling.

La delineazione di un breve dizionario che serva ad orientarsi inizia sgombrando il campo dagli usi del termine narrazione che non rientrano nell’ambito di interesse di questo lavoro. La svolta narrativa degli anni Novanta si è rivelata così determinante da incoraggiare l’applicazione dell’eti-chetta narrativa ai fenomeni più disparati. Lyotard ne La condizione postmoderna (1979) dilata il concetto di narrazione fino a renderlo una categoria interpretativa dell’intera società. Narrazione di-venta parte del vocabolario politico come metafora e immagine del tessuto sociale tanto che non è raro sentire parlare di “grande narrazione dello sviluppo” o “narrazione di razza, genere e classe”. Se per un verso questa tendenza a dissolvere “narrazione” in concetti come “interpretazione”, “spiega-zione”, “contenuto” e “valore” si presta a una lettura positiva poiché risponderebbe al riconoscimento che la narrativa è uno dei principali modi in cui organizziamo l’esperienza, d’altra parte l’uso inglo-bante del termine ha il rischio di banalizzare le specificità e di portare all’idea che di tutto si possa dire che è narrazione (Prince 1999), mettendo in discussione una possibile distinzione tra l’uso pro-prio di narrazione e i suoi usi metaforici (Ryan 2007).

Pur riconoscendo l’estensione e la portata del concetto di narrazione come chiave interpreta-tiva di molteplici fenomeni legati alla trama delle pratiche umane, in questo lavoro ci preme affrontare

il tema arginando l’inflazione dell’uso del termine e incentrandoci sull’analisi dei criteri che soddi-sfano condizioni di narratività, vale a dire dei criteri necessari affinché qualcuno riconosca qualcosa come una narrazione. Pur adottando tale punto di vista, costruire un dizionario organico rimane un’impresa ardua giacché il quadro è, anche in questo caso, profondamente frammentato. Tutti usano il termine narrazione ma pochi l’hanno problematizzato o definito in modo sistematico. Nel definire il concetto di narratività, alcuni guardano alla sola dimensione testuale, altri a qualsiasi rappresenta-zione che soddisfi certe caratteristiche; certi autori si incentrano su proprietà come il tempo e la cau-salità mentre altri considerano quelle stesse proprietà come non definitorie; alcuni considerano gli aspetti formali come la principale chiave interpretativa laddove altri si concentrano sull’individua-zione di un nucleo di significati ricorrente o sugli effetti pragmatici della narrasull’individua-zione (per una discus-sione si veda ad es. Herman 2002; Prince 1987; Richardson 2000). La complessità dell’impresa di definire la narrazione dipende precisamente dal fatto che la narrazione fa riferimento a fenomeni diversi in differenti prospettive (Zeman 2016). D’altra parte, colui che per primo ha introdotto il termine narratività (Prince 1982) sottolinea come spiegare cos’è la narrazione possa implicare il ri-ferimento a differenti dimensioni del problema e, conseguentemente, diverse direzioni di indagine.

Secondo Prince (2008), la narratività non è definibile in senso assoluto ma è una nozione valutabile per gradi e a seconda del piano di analisi.

Detto questo, due affermazioni convergenti in una ipotesi generale sulla narrazione sembrano abbracciare pressoché tutte le definizioni proposte: a) una narrazione è un qualche tipo di rappresen-tazione, b) l’oggetto di tale rappresentazione esibisce un certo insieme di proprietà (Jannidis 2003, p.

36). Si tratta di una definizione molto ampia da cui sembra difficile trarre specificazioni ulteriori per discriminare tra ciò che è narrativo e ciò che non lo è: da questo punto di vista, è possibile individuare elementi di narratività anche in fenomeni non narrativi ed è ugualmente possibile che un testo narra-tivo contenga elementi non narrativi. Argomentando in favore dell’idea che non tutte le rappresenta-zioni possano essere considerate narrative, Prince (2003, p. 5-6) si spinge a specificare che la narra-zione è una rappresentanarra-zione di una (o più) trasformanarra-zione di uno (o più) stato di cose, di un evento (o più eventi) non presupposto logicamente dallo stato di cose trasformato e che non implica il suo trasformarsi. Pur fornendo dettagli ulteriori rispetto alla definizione proposta da Jannidis (2003), una simile definizione, come riconosciuto dallo stesso Prince (2003), lascia aperte diverse questioni: non specifica la questione del medium rappresentativo, non dà indicazioni rispetto alla distinzione tra rappresentazioni reali e fittizie (tra factuality e fictionality), non precisa se le rappresentazioni narra-tive possano essere ordinarie o siano esclusivamente legate all’elaborazione letteraria, non prende in considerazione la questione della natura del contenuto rappresentazionale. D’altra parte, uno dei padri della narratologia classica, Gérard Genette (1983, trad. it. p. 12), fornisce una definizione altrettanto

ampia: «non appena venga dato un atto o un evento, fosse pure unico, viene data una storia, per-ché c’è trasformazione, passaggio da uno stato anteriore a uno stato ulteriore e risultante». Anche limitandoci a considerazioni di semplice buon senso, questo tipo di definizioni sembrano comportare l’idea che virtualmente qualunque evento o sequenza di eventi possa essere inteso come narrazione (Richardson 1997). Tuttavia, a una sequenza di eventi contenuta, ad esempio, in una lista difficil-mente saremmo disposti ad attribuire la connotazione di storia. Il rischio di una definizione troppo ampia che possa potenzialmente designare le cose più disparate è che la narrazione divenga un con-cetto onnicomprensivo e si svuoti fino a perdere la sua resa esplicativa.

La questione che ci interessa analizzare in questo lavoro è quella di dar conto delle condizioni che permettono di definire qualcosa come una forma di narrazione. Mentre è plausibile sostenere che le definizioni fin qui considerate facciano appello a caratteristiche necessarie per dar conto della nar-razione – le nozioni di evento e di rappresentazione –, non sembra altrettanto plausibile affermare che tali caratteristiche siano anche sufficienti. Il riferimento generico alla rappresentazione di eventi vale al più per dar conto di un concetto minimale di narrazione. Vista la complessità del problema, un modo per tracciare definizioni che vadano oltre una caratterizzazione minimale è entrare nel merito di approcci specifici alla narrazione. Lo faremo a partire dalla prospettiva classica in narratologia fino ai recenti sviluppi delle teorie della narrazione di seconda generazione. Intanto, un passaggio preli-minare da cui ricavare alcune coordinate per un’idea generale del dibattito relativo alle questioni di definizione. Richardson (2000) ha individuato le quattro categorie principali entro cui rientrerebbero le definizioni possibili di narrazione: temporale, causale, minimale e transazionale. La prima catego-ria insiste sull’idea che la narrazione consista nell’inserire una rappresentazione di eventi in una se-quenza temporale; la seconda chiama in causa la connessione causale tra eventi come condizione essenziale della narrazione; l’approccio minimale è quello delineato nelle definizioni precedenti e che guarda a qualsiasi enunciato riferibile a un evento che implichi una trasformazione come a una nar-razione; la categoria transazionale fa appello alla dimensione testuale come requisito unico per il darsi della narrazione, indipendentemente dalla presenza di elementi essenziali che vadano a definire un certo testo come testo narrativo.

Le prospettive largamente prevalenti nell’ambito delle teorie narrative abbracciano definizioni centrate sul concetto di causalità e/o di temporalità. Una delle definizioni più citate è quella avanzata da Prince (1982, trad. it. p. 6) il quale definisce la narrazione come «la rappresentazione di avveni-menti e situazioni reali o immaginarie in una sequenza temporale». Allo stesso modo, Onega e Landa (1996, p. 3) considerano la causalità come il cementante che trasforma sequenze di eventi in storie.

La dimensione temporale e quella causale vengono spesso tenute insieme nelle definizioni di narra-zione poiché le connessioni causali di norma riflettono e implicano un certo grado di temporalità

(Beach & Bissell 2016). Forster (1927, trad. it. pp. 93-95) sostiene che laddove la sequenza temporale

“Il re morì, poi morì la regina” possa essere considerata una storia, è solo con l’aggiunta dell’elemento causale “Il re morì, poi la regina morì di dolore” che si ottiene un intreccio narrativo a tutti gli effetti.

Gli approcci che fanno esclusivo riferimento alla sfera temporale sono generalmente ritenuti ineffi-caci per dar conto delle connessioni sul piano narrativo ma, d’altra parte, alcuni sono critici nei con-fronti degli approcci causali poiché non terrebbero conto – soprattutto nell’era postmoderna – di nar-razioni che contengono volutamente un impianto strutturale esile dal punto di vista causale.

Dalle considerazioni fatte fino a questo punto, il quadro risulta intricato e il dibattito sulle proprietà definitorie della narrazione appare acceso. Abbiamo tratteggiato il problema dell’ambiguità connaturata al concetto di narrazione che può designare tanto l’atto espressivo del narrare quanto i contenuti di quell’atto e che non si esaurisce nella pratica del narrare storie ma può riferirsi all’attività umana di organizzazione dell’esperienza. Questa tensione tra pratica e principio di strutturazione è costitutivo della narrazione (Bernini & Caracciolo 2013). Per motivi che discuteremo in seguito, il riferimento ai recenti sviluppi della narratologia cognitiva permette di dar conto di queste diverse modalità narrative come intreccio che fa capo a uno stesso fenomeno. Ma andiamo per gradi. Per il momento, è dall’approccio classico al tema della narrazione – il centro teorico di questo capitolo – che bisogna partire.