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rice-zione letteraria, la cosiddetta fiction feeling hypothesis (Jacobs & Willems 2017) offre una spiega-zione dei processi alla base del trasporto narrativo. Confrontando tramite fMRI l’attività cerebrale di soggetti immersi nella lettura di Harry Potter in una condizione valutata dagli stessi soggetti come contenente scene che incutevano paura e in un’altra condizione giudicata neutra, Hsu et al. 2014 hanno mostrato che l’attività nella corteccia cingolata media correlava fortemente con le valutazioni legate a stati emotivi piuttosto che con quelle neutre. Le descrizioni della sofferenza o paura personale dei protagonisti presentate nei passaggi che inducevano paura nei partecipanti potrebbero aver reclu-tato la struttura centrale dell’empatia affettiva nei soggetti più immersi nella storia. Secondo il Neu-rocognitive Poetics Model, i fattori che facilitano l’immersione e il trasporto sono legati all’elabora-zione dell’informaall’elabora-zione contenuta nel testo che amplifica l’attenall’elabora-zione spontanea, l’identificaall’elabora-zione e l’empatia. Maggiore è il contenuto emotivo di un testo, maggiore sarà il coinvolgimento e l’identifi-cazione del lettore con il personaggio. Inoltre, in uno studio neurocognitivo su bambini tra i 4 e gli 8 anni, Brink e colleghi (2011) hanno mostrato che l’elaborazione narrativa coinvolge sia forme di empatia affettiva – la capacità di mettersi nei panni dell’altro esperendo le sue stesse emozioni tramite forme di contagio emozionale – sia livelli di empatia cognitiva che implica una comprensione del vissuto dell’altro da una prospettiva decentrata (Davis 1994). L’empatia cognitiva segna l’avvio di un processo di comprensione mentale degli altri che chiama in causa processi di tipo inferenziale (impliciti o espliciti) relativi alla sfera epistemica dell’altro.

Il ruolo delle emozioni aggiunge un tassello ulteriore al puzzle che comprende i processi a fondamento dell’elaborazione narrativa. Insieme alla presa di prospettiva, all’elaborazione di connes-sioni causali e all’integrazione di informazioni tramite sistemi proiettivi di memoria episodica, i di-spositivi emotivi contribuiscono a dar conto del piano narrativo in accordo a un modello senso-mo-torio della cognizione. In questo quadro, le storie si configurano come «a rich mixture of memories and of visual, auditory, and other cognitive images, all laced together by emotions to form a mixture that far surpasses mere words and visual images in their ability to capture context and meaning»

(Beach & Bissell 2016, p. 49). A legare questi aspetti proiettivi ed emotivi è la dimensione per eccel-lenza della narrazione, quella immaginativa.

3. Simulazione e processi immaginativi

«L’immaginazione di Martin era attiva come sempre, il suo cervello era un magazzino di ricordi e fantasie dove era facile entrare, dove le merci sembra-vano essere sempre pronte, ordinate e ben disposte perché lui le potesse ispe-zionare Qualsiasi cosa accadesse nell’attimo presente, la mente di Martin gli presentava immediatamente antitesi e similitudini, di solito sotto forma di vi-sioni. Era un processo puramente automatico: quel potere di visione lo ac-compagnava stabilmente nella vita presente. Così, di momento in momento, senza esserne sconcertato, al contrario riconoscendo e classificando, nuove visioni di ricordi sorgevano davanti a lui, oppure si dispiegavano sotto le sue palpebre o si proiettavano sullo schermo della sua coscienza: così la faccia di Ruth, in una crisi di gelosia, aveva richiamato davanti ai suoi occhi una di-menticata tempesta di vento in una notte di luna piena, e così il professor Caldwell gli aveva ricordato l’aliseo di nord-est che riuniva i cavalloni in un gregge attraverso l’oceano violaceo».

Così Jack London lascia descrivere a Martin Eden, il suo alter ego immaginario da cui prende il nome il romanzo più celebre, la potenza delle immagini che guidano la scrittura creativa. Anche Albert Einstein in una lettera al matematico Jacques Hadamard acclama il potere dell’immaginazione nell’at-tività di pensiero:

«Non mi sembra che le parole o il linguaggio, scritto o parlato, abbiano alcun ruolo nei miei meccanismi di pensiero. Le entità psichiche che sembrano ser-vire da elementi del pensiero sono piuttosto alcuni segni e immagini più o meno chiare che è possibile riprodurre e combinare “volontariamente”».

La narrazione è un’abilità sfaccettata il cui funzionamento poggia su numerosi componenti cognitivi.

Quello immaginativo sembra essere un componente centrale per la produzione e la comprensione narrativa (Oatley 2011). A questo proposito, abbiamo argomentato in favore della natura modale e grounded dei modelli situazionali e del formato percettivo delle rappresentazioni coinvolte nell’ela-borazione del flusso narrativo (Cap. 3, § 6.1.). La nostra idea è che la rete di sistemi proiettivi e capacità cognitive che abbiamo definito centrali per la costruzione di modelli mentali dei mondi nar-rativi – per la formazione di scenari mentali di integrazione – sfrutti la creazione di immagini che rappresentano una scena da un particolare punto di vista (Johnson-Laird 2006). In questa prospettiva, è plausibile caratterizzare la natura simulativa che contraddistingue i processi coinvolti nell’elabora-zione narrativa in termini immaginativi (ad es., Jacobs & Willems 2017). Il legame tra simulanell’elabora-zione e immaginazione è al centro di un modello interno al framework dell’embodied cognition – il modello enattivista – che definisce il processo immaginativo in termini di enactment imagination; in questa concezione, l’immaginazione funziona simulando un’ipotetica esperienza percettiva e questo pro-cesso conferisce all’attività immaginativa un peculiare carattere esperenziale (Goldman 2006a,

2006b). In altre parole, l’immaginazione intesa come esplorazione attiva di un mondo non attuale è guidata da processi simulativi di natura percettiva.

Quella enattivista è una prospettiva alternativa al modo tradizionale di concepire l’immagina-zione mentale nella scienza cognitiva. Nella concel’immagina-zione cognitivista classica, con mental imagery si è soliti fare riferimento alla creazione esplicita di immagini mentali in assenza di una stimolazione sensoriale diretta (Farah 1989; Kosslyn et al. 2006). Il focus sull’immaginazione intesa nei termini di un processo esplicito e deliberato ha comportato l’ipotesi di una dissociazione tra processi immagi-nativi ed elaborazione linguistica: applicare strategie interpretative di natura immaginativa sarebbe cognitivamente dispendioso e, pertanto, poco plausibile. Nella cornice delle teorie embodied della mente, l’immaginazione viene ritematizzata in riferimento alla simulazione mentale come un pro-cesso implicito. Tale ridefinizione si fonda sulla somiglianza tra esperienza immaginativa e perce-zione, somiglianza corroborata da studi neuropsicologici e di neuroimaging (si veda Marraffa & Pa-ternoster 2012): da tali studi si evince che alcuni deficit percettivi sono sistematicamente associati a deficit nelle capacità immaginative e che le aree visive primarie sono attive duranti i processi imma-ginativi (per una rassegna, si veda Kosslyn, Ganis & Thompson 2003).

Nonostante vi sia dibattito in merito all’importanza e alla natura esatta del processo simula-tivo-immaginativo (Jacobs 2016), come abbiamo visto esistono numerose prove empiriche che atte-stano il ruolo dei meccanismi simulativi nell’elaborazione linguistica (per una rassegna, si veda Fi-scher & Zwaan 2008; Kaschak et al. 2009; Pecher & Zwaan 2005). Ad esempio, Kurby e Zacks (2013) hanno mostrato che la simulazione motoria e uditiva conduce all’attivazione delle aree speci-fiche per modalità sensoriale solo quando le porzioni di testo sono legate in una storia coerente; la lettura di frasi sganciate dal contesto non conduce a un processo simulativo di comprensione. La simulazione mentale sembra quindi implicata nella costruzione di un contesto narrativo ampio. Nijhof e Willems (2015) hanno anche individuato una distinzione nei processi interpretativi legata a feno-meni di simulazione motoria e di simulazione delle intenzioni altrui: frammenti di storie che narrano di azioni concrete attivano la corteccia motoria mentre frammenti narrativi in cui è necessario men-talizzare la prospettiva del personaggio attivano le aree implicate nella mentalizzazione. D’altra parte, poiché la percezione è un’attività corporea di esplorazione del mondo e dal momento che l’immagi-nazione consiste nella simulazione della percezione, testi con una forte componente percettiva do-vrebbero fare leva sull’esperienza corporea in modo peculiare. Kuzmičová (2012) si incentra su que-sto aspetto specifico, ponendo l’accento sul nesso tra cinestesia, propriocezione ed esterocezione nella costruzione del mondo narrativo. Dai suoi studi emerge che quando un testo narrativo presenta o si riferisce a un movimento intenzionale interno al mondo narrativo, i lettori tendono a simulare quel

movimento. A sua volta, il feedback propriocettivo e cinestesico di quella simulazione contribuisce ad accrescere la sensazione di essere trasportati ed immersi in un mondo alternativo.

La questione del trasporto in mondi diversi da quello presente è l’aspetto probabilmente più connesso al processo immaginativo, oltre che al coinvolgimento emotivo di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo. Laddove il corpo è confinato al qui e ora, l’immaginazione schiude le porte verso viaggi senza limiti nello spazio-tempo. Corballis (2013) insiste su una funzione evolutiva spe-cifica dello storytelling come strumento che ha permesso di condividere con gli altri i nostri viaggi mentali nel tempo e qualunque esperienza non ristretta all’immediato; il mental time travel è il dispo-sitivo chiamato in causa per dar conto dell’impalcatura psicologica alla base dell’abilità di valicare i limiti temporali a cui è vincolato il corpo. Tuttavia, l’immaginazione nei termini di un processo si-mulativo è parte del viaggio mentale nel tempo (ad es., D’Argembeau & Van der Linden 2006; Has-sabis et al. 2007a). Gli stessi Suddendorf e Corballis (1997, 2007) individuano nell’immaginazione una delle capacità cognitive più basilari necessarie per la costruzione di un dispositivo di mental time travel completamente sviluppato. A questo proposito, gli individui affetti da ASD mostrano capacità immaginative notevolmente ridotte (ad es., Craig & Baron-Cohen 1999; Crespi et al. 2016) che, in aggiunta al deficit nel viaggio mentale nel tempo da noi individuato, potrebbero contribuire a spiegare le difficoltà nella sfera dell’elaborazione narrativa presentate da questa popolazione clinica (cfr. Cap.

3).

Ora, in una prospettiva embodied il ruolo dell’immaginazione simulativa nell’elaborazione narrativa si lega alla costruzione di scenari mentali che ricalcano immaginativamente il mondo nar-rativo. In riferimento alla letteratura scientifica a disposizione, Gibbs (2005, p. 136) tematizza la relazione tra immaginazione ed embodiment in questi termini:

«As a simulator, mental imagery provides a kinesthetic feel that is not simply the output of some abstract computational machine, but provides something of the full-bodied experiences that have textures and a felt sense of three-dimensional depth».

Questo nesso tra percezione e immaginazione simulativa è sfruttato dai processi interpretativi e for-nisce le basi della dimensione esperienziale della narrazione. I lettori “eseguono” il mondo narrativo simulando un’ipotetica esperienza percettiva. Abbiamo avuto modo di discutere come questa simu-lazione sia incentrata sull’esperienza dei personaggi finzionali; in effetti, «character simulation is a common form of mental engagement with fiction» (Goldman 2006a). Tuttavia, a partire dalla fun-zione dell’esperienza immaginativa possiamo ora definire la relafun-zione tra lettore e personaggio in modo più preciso. Che le storie possano costruire “an environment in which versions of what it was like to experience situations and events can be juxtaposed [and] comparatively evaluated” (Herman

2009, p. 151) è reso possibile dal fatto che sono i lettori a fare esperienza di quelle situazioni ed eventi. Detto questo, la nostra idea è che il ruolo dell’immaginazione nella proiezione nel mondo narrativo da una certa prospettiva apra a una tematizzazione del concetto di esperenzialità differente rispetto a quello introdotto da Fludernik (1996). Mentre nel suo modello si sottolinea la centralità della coscienza dei personaggi, dal nostro punto di vista è bene insistere sulla coscienza del lettore (Caracciolo 2014). La prospettiva, l’esperienza e la coscienza del personaggio non sono oggetti au-tonomi bensì il prodotto della relazione immaginativa tra lettore e testo, relazione che assume una dimensione prettamente corporea. Da questo punto di vista, l’esperenzialità dovrebbe essere definita, in primo luogo, come l’esperienza vissuta dai lettori mentre simulano il mondo narrativo, e solo se-condariamente come la rappresentazione delle esperienze dei personaggi. Nelle parole di Herman,

«more than just representing minds, stories emulate through their temporal and perspectival configu-ration the what’s it’s like dimension of conscious awareness itself» (2009, p. 157). Ma questa simu-lazione, lungi dall’essere rappresentata nei testi narrativi, è resa possibile dal modo in cui la narra-zione si riallaccia allo sfondo esperienziale del lettore.

Detto questo, come si delinea concretamente il ruolo dell’attività immaginativa nell’interpre-tazione narrativa? Aderendo all’idea che l’immaginazione orchestri la costruzione di scenari mentali, segue che le immaginazioni associate ai testi narrativi non sono isolate ma danno vita a sequenze di immaginazioni caratterizzate da una continuità e una coerenza spazio-temporale (Kuzmičová 2014).

Non è necessario pensare che queste immaginazioni siano di carattere pittorico; l’embodied cognition ha permesso di tematizzare la natura dei modelli situazionali nei termini di modelli esperenziali gestiti da processi che simulano la percezione tutta, e non solamente quella visiva. Da questo punto di vista, nella loro relazione immaginativa con i testi narrativi, i lettori costruiscono il mondo finzionale ap-poggiandosi alla virtualità dei loro movimenti, simulando le risposte corporee che caratterizzano la loro interazione di base con il mondo (Caracciolo 2014). Il potere della narrazione e il fatto che possa produrre un forte sentimento esperenziale si lega precisamente agli aspetti che ne sostengono il fun-zionamento: gli aspetti di familiarità con il corpo che il lettore esperisce nella creazione del mondo narrativo. In questo nucleo di proprietà senso-motorie risiede la dimensione corporea dell’immagina-zione, la quale permette di legare insieme gli elementi recuperati dai ricordi episodici in nuove con-figurazioni (Beach & Bissell 2016, p. 19) dando vita a scenari coerenti imagery-based che, come sappiamo, hanno una natura spazio-temporale, causale e prospettica (cfr. Cap. 3). Un dato recente della ricerca neuroscientifica è che a livello neurale queste proprietà sono unite in un unico core network. I sistemi simulativi che contraddistinguono l’elaborazione narrativa sarebbero pertanto parte di una rete ampia di dispositivi che caratterizza il cervello narrativo in termini proiettivi.