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Ruolo del Collegio sindacale in relazione all’attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo D.Lgs 231/

3. RAPPORTI TRA ODV E ALTRI ORGANI DI CONTROLLO AZIENDALI CHE IMPATTANO SUL MODELLO

3.2 Collegio sindacale

3.2.2 Ruolo del Collegio sindacale in relazione all’attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo D.Lgs 231/

La prevenzione dei reati sanzionati dalla 231 non risparmia il Collegio sindacale. Anche in presenza dell'organismo di vigilanza (OdV) deputato a un controllo ad hoc in materia, i sindaci devono sorvegliare sull'adozione dei modelli in grado di evitare situazioni che chiamino in causa la responsabilità amministrativa dell'ente.

Al Collegio sindacale è richiesto, infatti, un controllo di tipo sintetico sul generale andamento e gestione della società e un approfondimento più analitico solo nel caso in cui siano presenti indici di rischio tali da rendere necessario un suo intervento per evitarlo o porvi immediatamente rimedio. Diventa quindi fondamentale l'apertura di un canale di comunicazione proprio con l'organismo di vigilanza. Si rende necessario un coordinamento tra i due organi nell'ottica di evitare una duplicazione dei controlli e, circostanza ben più grave, la mancata esecuzione di determinate verifiche, nella convinzione che a eseguirle fosse l'altro organismo.

In prima battuta la vigilanza sul modello e sulla sua validità e sulla sua puntuale osservanza in azienda compete all'OdV e non ai sindaci. Si tratta allora di organizzare degli incontri periodici in cui verranno scambiate le informazioni a disposizione di ciascun organismo.

L'OdV relazionerà (anche attraverso una serie di report periodici) sullo stato di attuazione e sulle criticità emerse. Dal canto suo, invece, il collegio segnalerà eventuali circostanze apprese nel corso della propria autonoma attività di vigilanza e controllo che potrebbero risultare rilevanti ai fini dell'applicazione del modello e che, quindi, richiedono una specifica attenzione dell'organismo di vigilanza. Di tali incontri e delle informazioni scambiate ne verrà dato atto nel verbale che il Collegio sindacale predispone.

Si rende opportuno verbalizzare che il collegio ha esplicitamente richiesto all'organismo la sussistenza di specifiche criticità nell'attuazione dei modelli in ambito aziendale e conseguentemente venga pure messo per iscritto quanto rilevato, a riguardo, dal l'OdV.

A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001, uno dei problemi che hanno impegnato i primi interpreti consisteva nell'indagare l'aspetto dell'eventuale configurabilità, in termini generali, dei sindaci come soggetti attivi dei reati tipici di cui al decreto. Viene in considerazione, a tale proposito, la fondamentale suddivisione che tale normativa compie all'art. 5, comma 1, lett. a) e b) in relazione ai soggetti attivi degli illeciti, riferendosi alle persone poste in posizione c.d. apicale, da un lato, ed a quelle "sottoposte alla direzione o alla vigilanza" di queste ultime, dall'altro. I primi dubbi sorgono circa l'interpretazione da darsi a quell'inciso di cui alla menzionata lett. a) dell'art. 5, comma 1, che, nell'ambito della definizione degli apicali, indica come tali, tra l'altro, "le persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo" dell'ente.

La funzione di controllo menzionata dalla norma in esame fosse riferibile (anche) a quella di vigilanza esercitata dal Collegio sindacale, in modo tale da far eventualmente rientrare i componenti di quest'ultimo nel novero dei soggetti apicali?

La questione è stata risolta in senso negativo prima di tutto da un punto di vista logico- sistematico, sulla base della considerazione che, nell'ambito della terminologia spesso volutamente atecnica utilizzata dal legislatore del 2001, la nozione di controllo assume più propriamente un significato riconducibile alla funzione gestoria, nel senso lato di "dominio" esercitato – di diritto o di fatto – sull'ente stesso, più che di vigilanza sulla sua amministrazione. Tale postulato, d'altra parte, trova piena conferma nel testo della stessa Relazione al decreto, tendente ad escludere i sindaci dalla categoria dei soggetti di cui all'art. 5 del decreto stesso in quanto istituzionalmente non coinvolti in funzioni amministrative. Da ciò viene fatta conseguire, in linea di massima, l'irrilevanza ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa a carico dell'ente della commissione di un reato presupposto da parte di uno o più membri dell'organo di controllo interno, pur se questo/i abbia/abbiano agito nell'interesse o a vantaggio della società.

In base a tale logica, la generale esclusione della responsabilità dell'ente nel caso di reato commesso dal sindaco si spiega perfettamente con la considerazione che "l'ipotesi di una iniziativa, illecita e vantaggiosa per l'ente, da parte spontanea di uno di questi controllori è veramente eccezionale e perciò esclusa dalle previsioni" della legge. Una simile iniziativa, inoltre, verrebbe presumibilmente esercitata dal sindaco al di fuori dall'esercizio delle sue funzioni istituzionali (nelle quali, come si è detto, non rientrano competenze di tipo gestorio)

e dunque non sarebbe facilmente riconducibile, di per sé, allo schema teso a colpire l'ente in relazione a forme di attività illecita realizzate dallo stesso mediante il proprio apparato organizzativo.

Nell'ambito di tale scenario, com'è noto, il D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, di riforma del diritto penale delle società, ha introdotto nel sistema della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche un nuovo art. 25ter relativo ai c.d. reati societari di cui agli artt. 2621 e ss. c.c., individuando (secondo il consueto schema) le fattispecie espressamente richiamate in tali ultime disposizioni quali ulteriori presupposti ai fini della configurazione della responsabilità della società. Tra i reati presi in considerazione dall'art. 25ter rientrano alcune fattispecie di c.d. reati propri di sindaci (oltre che di altri specifici soggetti appartenenti all'organizzazione societaria), che potrebbero a prima vista far pensare ad una inedita rilevanza ex D.Lgs. 231/2001 di condotte illecite dei componenti del Collegio sindacale, poste in essere in seno all'organo di appartenenza al fine di favorire la società.

Anche tale via di inclusione dei fatti dei sindaci nel perimetro di applicabilità del decreto, tuttavia, non pare realmente percorribile. Occorre infatti considerare che l'art. 25ter, nell'operare il richiamo ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, non si è limitato a ricollegare a ciascuno di essi uno specifico sistema di sanzioni a carico dell'ente da applicarsi in presenza di certi presupposti. Esso infatti va oltre, introducendo alcuni elementi di deroga rispetto al generale meccanismo di applicazione delle disposizioni del decreto. Tra tali elementi derogatori, ai nostri fini, rileva la definizione – autonoma e restrittiva tanto rispetto a quella delineata dalle norme di cui agli artt. 2621 e ss., quanto rispetto a quella di "soggetto apicale" ex art. 5, comma 1, lett. a) del decreto – dei soggetti attivi dei reati societari in funzione di presupposto della responsabilità dell'ente. In effetti, il richiamo ai soli amministratori, direttori generali o liquidatori o persone sottoposte alla loro vigilanza, sebbene riconosciuto suscettibile di un'interpretazione estensiva ex art. 2639 c.c. ai gestori esercitanti funzioni di fatto, lascia irrimediabilmente fuori dalla cerchia dei possibili soggetti attivi i sindaci, escludendo così ab origine l'imputabilità dell'ente per reati propri commessi dagli stessi.

Le conclusioni appena esposte, naturalmente, non escludono che i sindaci possano porre in essere condotte rientranti in talune delle fattispecie di reato proprio di cui agli artt. 2621 e ss. c.c., in concorso ex art. 110 c.p. con quei soggetti titolari di funzioni amministrativo- gestionali di vertice espressamente menzionati dall'art. 25ter del decreto (i comportamenti dei quali soltanto, come si è rilevato, potranno rilevare anche in un'ottica di responsabilità della persona giuridica).

Tale eventualità, sebbene di per sé irrilevante dal punto di vista del possibile innesco di un meccanismo di imputazione ex D.Lgs. 231/2001, non andrebbe tuttavia trascurata dal punto di vista operativo, in sede di predisposizione del Modello Organizzativo 231. Sembra opportuno progettare un Modello che si proponga di svolgere una valida ed efficace opera di prevenzione del rischio di commissione di quei reati propri (anche) dei sindaci richiamati dall'art. 25ter del decreto, ci si debba in ogni caso preoccupare di presidiare adeguatamente anche i comportamenti di questi ultimi, ogni qualvolta essi siano comunque astrattamente suscettibili di rientrare nell'iter di commissione (ovvero di agevolare la commissione) degli illeciti in questione da parte dei soggetti di cui all'art. 25ter.

L’attribuzione all’organo di controllo dei compiti dell’OdV è espressamente prevista dal legislatore, il quale assume che questa misura porti semplificazione di processi e strutture; in proposito si è anche pronunciato favorevolmente il Codice di Autodisciplina.

La semplificazione, in sé, non rappresenta un vantaggio, se non è accompagnata da razionalizzazione, efficienza e, nel caso di semplificazione sui controlli, da non- deterioramento dell’efficacia dei controlli.

Il Collegio sindacale, come noto, rappresenta il vertice della vigilanza e non deve essere coinvolto in processi operativi.

Se il Collegio assume l’incarico di OdV in una realtà nella quale sono presenti specifiche articolazioni organizzative dedicate a seguire la concreta attuazione della disciplina 231 e il costante aggiornamento del modello organizzativo (i.e. Compliance, Legal Affairs, Internal Auditing), ritengo che al Collegio nella propria attività quale OdV sia richiesta sostanzialmente non un’attività di natura operativa, ma principalmente una focalizzazione su quelle attività di vigilanza e di “supervisione” che sono attività tipiche del Collegio sindacale: questo è il principale razionale per l’attribuzione al Collegio delle funzioni dell’OdV.

L’accorpamento dei compiti dell’OdV in capo al Collegio sindacale consente di portare direttamente a conoscenza di quest’ultimo eventuali situazioni emerse dalle attività di controllo proprie dell’Organismo di Vigilanza (senza dunque dover attendere i tempi del report periodico di tale Organismo o lasciare a quest’ultimo la scelta dei tempi di comunicazione).

L’organo competente ad attribuire al Collegio sindacale le funzioni dell’Organismo di Vigilanza, nel silenzio del legislatore e tenuto conto che alle società per azioni trova applicazione il principio del numero chiuso delle delibere di competenza assembleare, la sottoposizione della materia ai soci appare problematico; la natura organizzativa/gestoria dell’intervento fa propendere per una competenza del Consiglio di Amministrazione.

Spetterà invece all’assemblea deliberare in merito alla determinazione del compenso da attribuirsi ai Sindaci anche per tali attività.

L’attribuzione al Collegio sindacale dei compiti dell’OdV ha senso se non modifica l’essenza dell’attività propria del Collegio e, al contempo, permette di ottemperare a tutte le previsioni della norma e quindi sia fattibile in società nelle quali li Collegio si possa concentrare sull’attività di vigilanza e supervisione, potendo beneficiare del supporto di apposite strutture organizzative dedicate a seguire la concreta attuazione della disciplina 231.

Già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 231, la normativa prevedeva uno stretto coordinamento tra il Collegio sindacale e, da un lato, la Società di Revisione, dall’altro, coloro che sono preposti al controllo interno.

La Società di Revisione, in particolare, offre al Collegio sindacale un riferimento esterno ed indipendente rispetto all’Alta Direzione e al comitato per il controllo interno, con particolare riguardo agli aspetti di attendibilità del sistema amministrativo-contabile. In particolare, l’art. 150, comma 2, D.Lgs. 58/1998 prevede un’attività di scambio di dati e di informazioni tra il Collegio sindacale e la Società di Revisione per l’espletamento dei rispettivi compiti. Quest’attività di relazione nell’ambito della vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo interno, è illustrata in modo chiaro nella norma “Principi di Comportamento del Collegio sindacale nelle società quotate”. La norma di comportamento prevede che il Collegio sindacale, nell’ambito dei propri compiti di vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo interno, consideri le risultanze del lavoro svolto dalla Società di Revisione.

L’OdV, una volta istituito, è la funzione aziendale cui spetta il controllo del Modello, vale a dire il controllo sulle procedure etiche, preventive, organizzative e gestionali adottate per evitare di incorrere nelle responsabilità di cui al D.Lgs. 231. Pertanto, ha una competenza ratione materiae sul rispetto di un particolare ambito di normativa applicabile alla società.

Dovrà, di conseguenza, diventare il destinatario di ogni informazione utile a questo fine da parte del Collegio sindacale. I sindaci, dal canto loro, essendo comunque investiti della responsabilità di valutare l’adeguatezza dei sistemi di controllo interno, dovranno essere sempre informati dell’eventuale commissione dei reati considerati, così come di eventuali carenze del Modello. In tal modo essi potranno attivarsi secondo quanto previsto dalla legge.

In ogni caso è opportuno, soprattutto per garantire l’indipendenza funzionale dell’OdV, che i sindaci vengano informati periodicamente sull’attuazione (e sulle proposte di aggiornamento) del Modello, con apposita relazione scritta, da parte dell’OdV.