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L'Autore dell'HO non colloca Ecalia in Eubea, come Sofocle (cfr. Trach. 74 ss., 237, 752), ma in Tessaglia. Il Coro dice di sé incolui … soli iugera Thessali (vv. 133-134) e immagina che le rovine della patria saranno occupate dalle greggi del gelidus Dolops (v. 125) ovvero del Thessalicus pastor (v. 128); Iole, poi, dà a se stessa, una volta trasformata in Sirena, l'attributo di Thessala (190). Tale scelta comporta una serie di difficoltà nell'individuazione dei movimenti spaziali dei personaggi all'interno del dramma; è dunque opportuno approfondire la questione, per cercare di capire i motivi per cui l'Autore si è discostato dal modello78.

Il problema della collocazione di Ecalia, città di Eurito distrutta da Ercole, era dibattuto già nell'antichità. Strabone conosce ben cinque città con questo nome: in 10, 1, 10, parlando dell'Eubea, dice che "c'è anche il villaggio di Ecalia, nell'Eretrica, ciò che è rimasto della città conquistata da Eracle e che porta lo stesso nome delle varie Ecalie: quella di Trachis, quella della zona di Tricca (Tessaglia), quella dell'Arcadia (che si trova al confine tra Arcadia e Messenia, e viene definita ora arcadica ora messenica), la città cioè che i posteri chiamarono Andania, e infine quella dell'Etolia, collocata nei pressi della terra degli Euritani"79. Di queste cinque città sono in particolare tre quelle che le fonti ci indicano come la città di Eurito: quella euboica, quella tessala e quella arcadica-messenica. Il dibattito sull'identificazione della città 'giusta' parte da Omero80.

76 Va qui conservato il testo tràdito: cfr. infra, la nota ad loc.

77 Cfr. per es. Ep. 71, 27 memini ex duabus illum partibus esse compositum [scil. sapientem]: altera est inrationalis, haec mordetur, uritur, dolet; altera rationalis, haec inconcussas opiniones habet, intrepida est et indomita. In hac positum est summum illud hominis bonum.

78 Alla questione della collocazione di Ecalia nell'HO è dedicato lo studio di carattere archeologico-

geografico di JANSSENS 1960, pp. 465 ss., che si propone unicamente di individuare il sito storico della città; l'argomentazione è poco convincente, in quanto mostra scarsa conoscenza delle fonti ed è basata su un assunto alquanto discutibile: che Seneca (l'HO è ritenuto autentico) nella descrizione della città distrutta ai vv. 123 ss. dia un quadro affidabile della condizione del luogo al suo tempo, ricavato da fonti geografiche. Tale descrizione è invece estremamente vaga e costituita da temi topici: cfr. infra la nota ai vv. 123-124. Desta perplessità anche l'attribuzione all'autore dell'HO (chiunque egli sia) di grande precisione ed esattezza geografica nella rappresentazione del capo Ceneo ai vv. 102-103 e dell'Eubea ai vv. 775-783: cfr. la nota al v. 103.

79 Strab. 10, 1, 10 e[sti de; kai; Oijcaliva kwvmh th'" jEretrikh'", leivyanon th'" ajnaireqeivsh"

povlew" uJpo; JHraklevou", oJmwvnumo" th/' Traciniva/ kai; th/' peri; Trivkkhn kai; th/' jArkadikh/', h}n jAndanivan oiJ u{steron ejkavlesan, kai; th/' ejn Aijtwliva/ peri; tou;" Eujruta'na".

80 In Omero sono già presenti i mitologemi di Eurito arciere e dell'uccisione di suo figlio Ifito da parte di

Ercole, ma non c'è traccia di una connessione diretta tra Eurito ed Ercole. Della morte di Eurito Omero dà una versione più antica: in Od. 8, 224 ss. Odisseo si vanta della sua abilità di arciere, ma afferma che non oserebbe competere con gli eroi delle precedenti generazioni, in particolare con Eracle e con Eurito di Ecalia; a proposito di Eurito ricorda che, avendo osato sfidare Apollo nella gara con l'arco, fu ucciso dal dio per la sua presunzione.

Nel catalogo delle navi del libro II dell'Iliade si dice che Podalirio e Macaone, capi di un contingente tessalo, regnavano su oi} d' ei\con Trivkkhn kai; jIqwvmhn klwmakovessan, / oi{ t' e[con Oijcalivhn povlin Eujruvtou Oijcalih'o" (Hom. Il. 2, 729- 30). Gli scoli in proposito chiariscono che secondo Omero Ecalia è in Tessaglia, ma i "neoteroi" ne hanno fatto una città dell'Eubea (cfr. Schol. Il. 2, 596 e 730; Schol. Od. 8, 224)81. Con "neoteroi" gli scoliasti intendono gli autori posteriori a Omero; questa definizione è usata spesso quando si parla di una versione mitica originaria, testimoniata da Omero, che è stata poi modificata nella letteratura successiva. Secondo la testimonianza di Pausania82, Creofilo di Samo, ritenuto amico di Omero o suo genero e successore, e autore di un poema intitolato Oijcaliva" a{lwsi" (cfr. i Testimonia dell'edizione di Bernabè), ed Ecateo di Mileto collocavano Ecalia in Eubea (e sulla loro scia si porrà Sofocle). In Omero, però, si parla di Ecalia in altri due passi, nei quali non si specifica la posizione della città: in Il. 2, 594 ss. si dice che le Muse a Dorio (in Messenia) tolsero il canto al poeta trace Tamiri, che veniva da Ecalia, dalla casa di Eurito83, poiché si era vantato di poterle superare84; e in Od. 21, 15 ss., a proposito dell'arco di Odisseo, dono di Ifito, figlio di Eurito, si narra l'episodio dell'incontro tra i due in Messenia85. In entrambi i passi il riferimento ad Ecalia si trova in connessione a fatti avvenuti in Messenia; per ragioni di vicinanza geografica, nonostante non sia desumibile dal testo, alcuni interpreti antichi ritenevano che qui Omero si rifacesse a una differente versione mitica, che identificava l'Ecalia di Eurito con la città di Andania, esistente alla loro epoca; in tal caso in Omero sarebbero compresenti due versioni mitiche diverse, che ponevano Ecalia rispettivamente in Tessaglia o in Arcadia- Messenia. Il dibattito su Omero è testimoniato da Strabone e Pausania. In 9, 5, 17 Strabone presenta la controversia in modo generico: "Ecalia, quella che è chiamata città di Eurito, gli storici la collocano sia in questi luoghi (in Tessaglia) sia in Eubea sia in Arcadia, e in vari modi le cambiano il nome; e indagano su queste città e in particolare si chiedono quale mai fu quella conquistata da Eracle e riguardo a quale Ecalia ha composto il suo poema l'autore della Conquista di Ecalia"86. In 8, 3, 6 riporta le due

81 Schol. Il. 2, 596 Oijcalivhqen ijovnta: o{ti Qessaliva" hJ Oijcaliva kaq' {Omhron. oiJ de; newvteroi

ejp' Eujboiva" pepoihvkasin; Schol. Il. 2, 730 oi{ t' e[con Oijcalivhn: o{ti ouj th'" Eujboiva" hJ Oijcaliva kaq'' {Omhron, wJ" para; toi'" newtevroi", ajlla; th'" Qessaliva"; Schol. Od. 8, 224 Oijcalih'/: hJ Oijcaliva povli" Qessaliva".

82 Paus. 4, 2, 3 Qessaloi; de; kai; Eujboei'", h{kei ga;r dh; ej" ajmfisbhvthsin tw'n ejn th/' JEllavdi ta;

pleivw, levgousin oiJ me;n wJ" to; Eujruvtion – cwrivon de; e[rhmon ejf' hJmw'n ejsti to; Eujruvtion – povli" to; ajrcai'on h\n kai; ejkalei'to Oijcaliva, tw/' de; Eujboevwn lovgw/ Krewvfulo" ejn JHrakleiva/ pepoivhken oJmologou'nta: JEkatai'o" de; oJ Milhvsio" ejn Skivw/ moivra/ th'" jEretrikh'" e[grayen ei\nai Oijcalivan. ajlla; ga;r oiJ Messhvnioi tav te a[lla dokou'siv moi ma'llon eijkovta ejkeivnwn levgein kai; oujc h{kista tw'n ojstw'n e{neka tw'n Eujruvtou, a} dh; kai; ejn toi'" e[peitav pou <oJ> lovgo" ejpevxeisiv moi (cfr. 4, 33, 5).

83 Il. 2, 594 ss. Dwvrion, e[nqav te Mou'sai / ajntovmenai Qavmurin to;n Qrhvika pau'san ajoidh'" /

Oijcalivhqen ijovnta par' Eujruvtou Oijcalih'o".

84 Il motivo dell'orgoglio che accomuna Tamiri ed Eurito viene messo in evidenza da Eust. Comm. ad Hom. Il. 2, 596.

85 Hom. Od. 21, 13 ss. [scil. tovxon] dw'ra tav oiJ xei'no" Lakedaivmoni dw'ke tuchvsa" / [Ifito"

Eujrutivdh", ejpieivkelo" ajqanavtoisi. / tw; d' ejn Messhvnh/ xumblhvthn ajllhvloin /oi[kw/ ejn jOrtilovcoio dafrono".

86 Strab. 9, 5, 17 th;n d' Oijcalivan povlin Eujruvtou legomevnhn e[n te toi'" tovpoi" touvtoi"

iJstorou'si kai; ejn Eujboiva/ kai; ejn jArkadiva/, kai; metonomavzousin [a[lloi] a[llw", o} kai; ejn toi'" Peloponnhsiakoi'" ei[rhtai. peri; de; touvtwn zhtou'si kai; mavlista tiv" h\n hJ uJpo; JHraklevou" aJlou'sa, kai; peri; tivno" sunevgrayen oJ poihvsa" th;n Oijcaliva" a{lwsin.

opposte interpretazioni dei passi omerici date da Apollodoro, che sosteneva un'unica collocazione in Tessaglia, e da Demetrio di Scepsi che identificava la seconda con Andania87. Strabone propende per la coesistenza di due varianti mitiche in Omero, ma poiché gli antichi non dubitavano del fatto che Eurito fosse esistito davvero, questa constatazione non era sufficiente: bisognava identificare quale fosse la 'vera' Ecalia di Eurito. Strabone propende per la collocazione in Arcadia-Messenia e l'identificazione con Andania (cfr. 8, 3, 25 e 8, 4, 5)88; della stessa opinione è Pausania (4, 2, 3), che a sostegno di questa tesi porta il fatto che in quei luoghi sono sepolte le ossa di Eurito89.

Dalle fonti antiche si evince dunque che a una originaria collocazione di Ecalia in Tessaglia nei poemi omerici, nei quali forse si riscontrano interferenze di una variante mitica che la pone in Messenia90, si sostituisce, con Creofilo di Samo, la collocazione in Eubea. Essa è accolta da Ecateo di Mileto e con Sofocle (che si ispira alla Oijcaliva" a{lwsi") diviene la versione vulgata. Rimane tuttavia vivo tra gli eruditi il dibattito sull'interpretazione (unitaria o 'divisionista') dei passi omerici. Alla luce di tutto questo, la scelta dell'Autore dell'HO di distaccarsi dalla tradizione sofoclea non deve essere considerata un errore, bensì una consapevole presa di distanza dal modello, dovuta probabilmente a uno sfoggio di erudizione91: l'Anonimo vuole 'correggere' Sofocle, rifacendosi a una tradizione più antica, omerica; è inoltre probabile che leggesse Omero con gli scoli (che, come si è detto, presentano la collocazione in Tessaglia come quella originaria) e fosse a conoscenza del dibattito erudito su Omero (all'interno del quale sceglie l'interpretazione tessala).

In questa esibizione di erudizione, però, l'A. non tiene conto di un dettaglio importante: secondo una tradizione mitica consolidata, la veste avvelenata viene recapitata ad Ercole mentre sta compiendo un sacrificio sul capo Ceneo, dopo la distruzione di Ecalia, sulla via di ritorno a Trachis, dove si trova la sua famiglia. Ma tutte le fonti che ci tramandano questo segmento mitico presuppongono che Ecalia sia collocata in Eubea: il capo Ceneo si trova dunque lungo il percorso che Ercole, con il suo seguito di prigionieri, deve seguire per tornare a casa. L'A., invece, scegliendo la tradizione omerica, che, come si è detto, non conosce l'episodio della distruzione di Ecalia da parte di Ercole, viene a creare un percorso dell'eroe non impossibile, ma certo non naturale (per maggiori dettagli su questo problema cfr. la n. al v. 102).

87 Strab. 8, 3, 6 tou'tov te ou\n ei[rhke [scil. jApollovdwro"] skevyew" deovmenon kai; peri; th'"

Oijcaliva" o{ti fhsi;n ouj mia'" ou[sh", mivan ei\nai povlin Eujruvtou Oijcalih'o"· dh'lon ou\n o{ti th;n Qettalikhvn, ejf' h|" fhsin oi{ t' e[con Oijcalivhn, povlin Eujruvtou Oijcalih'o".” tiv" ou\n e[stin ejx h|" oJrmhqevnta aiJ Mou'sai kata; Dwvrion ajntovmenai Qavmurin to;n Qrhvika pau'san ajoidh'";” eij me;n ga;r hJ Qettalikhv, oujk eu\ pavlin oJ Skhvyio" jArkadikhvn tina levgwn, h}n nu'n jAndanivan kalou'sin· eij d' ou|to" eu\, kai; hJ jArkadikh; povli" Eujruvtou ei[rhtai, w{st' ouj miva movnon· ejkei'no" de; mivan fhsiv.

88 Strab. 8, 3, 25 aujtou' dev pou kai; hJ Oijcaliva ejsti;n hJ tou' Eujruvtou hJ nu'n jAndaniva, polivcnion

jArkadiko;n oJmwvnumon tw/' Qettalikw/' kai; tw/' Eujboikw/'· o{qen fhsi;n oJ poihth;" ej" to; Dwvrion ajfikovmenon Qavmurin to;n Qra/'ka uJpo; Mousw'n ajfaireqh'nai th;n mousikhvn; Strab. 8, 4, 5 jAndanivan [… ] h}n e[famen Oijcalivan uJpo; tou' poihtou' keklh'sqai.

89 Il passo è il medesimo che riporta le testimonianze di Creofilo ed Ecateo (cfr. supra).

90 A proposito delle interferenze e connessioni tra l'area tessalica e quella messenica, in relazione alle

vicende mitiche di Eurito, cfr. MARCOZZI 1994, pp. 79-86.

91 Tale propensione è propria anche di Seneca: cfr. in part. MAYER 1990, pp. 395 ss., che raccoglie

numerosi passi tragici in cui Seneca segue versioni mitiche rare e peregrine. Per uno studio dedicato specificamente all'erudizione geografica in Seneca cfr. CATTIN 1963, pp. 685 ss.

104 ss. Questo canto corale si articola secondo una struttura nitidamente bipartita: nella prima sezione, ai vv. 104-141, il Coro si sofferma sulla propria situazione di prigionia, dapprima con riflessioni generalizzanti sulla superiorità della morte rispetto alla schiavitù (vv. 104-118), quindi focalizzandosi sul proprio destino (vv. 119-141); la seconda parte (vv. 142-172) è invece dedicata alla descrizione di Ercole, il nemico, distruttore della patria.

La prima sezione appare strutturata secondo il modello del Coro di prigioniere troiane in Sen. Ag. 499 ss.92, dove pure a una prima parte di carattere gnomico- sentenzioso sul tema della morte fa seguito la focalizzazione sulle proprie sventure e la rievocazione della patria distrutta. Tra le due sezioni 'filosofiche' (HO 104-18 ~ Ag. 589-611) si riscontrano precise corrispondenze testuali: cfr. HO 104 con Ag. 609 par

ille regi, par superis erit; HO 111 con Ag. 610 o quam miserum est nescire mori.

Tuttavia, il coro dell'HO non è un doppione di quello dell'Agamemnon, come è stato sostenuto a più riprese dai critici che negano l'autenticità senecana del dramma, nell'intento di svalutare dal punto di vista artistico l'autore dell'Oetaeus93. Nonostante il tema di fondo sia il medesimo (l'elogio della morte in quanto liberatrice dai mali), i concetti espressi, anche nel caso delle riprese verbali, sono variati, talvolta attingendo direttamente ai modelli greci e recuperandone, in una certa misura, le originarie valenze semantiche e drammatiche.

Nell'incipit del primo coro dell'HO sono sviluppati due concetti distinti. Il primo, enunciato in forma generale ai vv. 104-106 ("è felice chi muore prima di aver incontrato sventure"), è nei versi successivi applicato al caso specifico delle prigioniere di guerra: "chi è morto non deve subire la schiavitù e l'umiliazione del trionfo del vincitore" (vv. 105-109). Il secondo concetto, espresso ai vv. 111-118, è di nuovo di carattere generalizzante: "non è mai miser chi sa affrontare con fermezza la morte" (per maggiori dettagli cfr. la n. ad loc). Al centro della riflessione del Coro è dunque la consapevole e serena accettazione della morte (che però è negata alle prigioniere).

Nel passo dell'Agamemnon si fa riferimento specificamente al suicidio in quanto liberazione dai mali (come è enunciato nei versi iniziali: vv. 589-592 Heu quam dulce

malum mortalibus additum / uitae dirus amor, cum pateat malis / effugium et miseros libera mors uocet, / portus aeterna placidus quiete), in linea con la concezione stoica

del suicidio, quale è esposta nelle opere in prosa di Seneca: tale questione è affrontata in modo incisivo in Ep. 70, 4-6 quae [scil. uita], ut scis, non semper retinenda est; non

enim uiuere bonum est, sed bene uiuere […] bene autem mori est effugere male uiuendi periculum; cfr. anche Dial. 5, 15, 3 is aeger animo et suo uitio miser est, cui miserias finire secum licet; Ep. 12, 10 (in cui si riporta una sentenza di Epicuro) 'Malum est in necessitate uiuere, sed in necessitate uiuere necessitas nulla est.' Quidni nulla sit? patent undique ad libertatem uiae multae, breues faciles. Agamus deo gratias quod nemo in uita teneri potest: calcare ipsas necessitates licet.

Nel Coro dell'HO sono senza dubbio presupposti concetti stoici (cfr. infra la n. ai vv. 112-116), ma il tema non è l'elogio del suicidio: in Ag. 607-609 qui Styga tristem

non tristis uidet / audetque uitae ponere finem: / par ille regi, par superis erit è

92 Più in generale, tutta la sequenza che presenta in scena il coro secondario di prigioniere di Ecalia e Iole,

la concubina del vincitore, si ispira alla sezione dei vv. 589 ss. dell'Agamemnon.

93 Per una valutazione negativa del primo Coro, come esempio di 'tecnica centonaria', cfr. in partic. BIRT

giudicato pari agli dei chi osa mettere fine alla sua vita; nell'HO, invece, è par superis chi ormai è morto e ha avuto la fortuna di non soffrire in vita alcun male. Allo stesso modo, si ha una ripresa verbale con differente sfumatura concettuale in HO 111 ~ Ag. 610: nell'Ag. il "saper morire" è l'avere il coraggio di scegliere la morte, nell'HO è l'affrontare con fermezza la morte, quando questa si presenta spontaneamente (come è chiarito dalla successiva immagine del naufragio: cfr. n. ai vv. 112-116).

Per quanto riguarda il coro dell'HO, dunque, si tratta non tanto di concetti stoici quanto più propriamente di riprese di tematiche già presenti nella tradizione letteraria greca, e specificamente nei drammi euripidei relativi alle prigioniere troiane. In particolare, l'incipit di questo canto di lamento, con il motivo del makarismós che fa consistere la beatitudine assoluta nel non sperimentare nella vita alcuna sciagura, ricorda le parole di Ecuba in Eur. Hec. 627-628 kei'no" ojlbiwvtato", / o{tw/ kat ' h\mar tugcavnei mhde;n kakovn94 (nei versi precedenti Ecuba si abbandonava a riflessioni sull'instabilità delle umane sorti, proponendo tematiche che ricorrono più avanti in questa sezione dell'HO: cfr. Hec. 619 ss. e la n. al v. 227). L'idea che sta alla base di queste formulazioni è che la vera fortuna è toccata a quanti sono morti prima di vedere la distruzione della patria e di conoscere la schiavitù (cfr. HO 107-110); tale tematica, frequente nei lamenti delle prigioniere, ricorre nella forma del makarismós anche ai vv. 142 ss. delle Troades di Seneca (cfr. in part. vv. 161 ss. felix Priamus: / felix quisquis

bello moriens / omnia secum consumpta tulit). Il motivo secondo cui a una vita di

schiavitù è preferibile la morte è topico negli Sklaverei-Dramen di Euripide: cfr. per es., nell'Ecuba, il discorso in cui Polissena, ai vv. 342 ss., proclama di andare volentieri a morire (cfr. in part. vv. 357-358 nu'n d' eijmi; douvlh. prw'ta mevn me tou[noma / qanei'n ejra'n tivqhsin oujk eijwqo;" o[n; 367-368 ouj dh't'· ajfivhm' ojmmavtwn ejleuqevrwn / fevggo" tovd'; 377-378 qanw;n d' a]n ei[h ma'llon eujtucevstero" / h] zw'n· to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno"), nonché, nelle Troiane, le parole di consolazione per la morte di Polissena rivolte a Ecuba dapprima da Taltibio (Tro. 268-270 eujdaimovnize pai'da shvn· e[cei kalw'" […] e[cei povtmo" nin, w{st' ajphllavcqai povnwn) e poi da Andromaca (Tro. 637-638 tou' zh'n de; luprw'" krei'ssovn ejsti katqanei'n. / ajlgei' ga;r oujde;n tw'n kakw'n hjisqhmevno")95. Non si tratta, quindi, di concetti primariamente stoici; il coro dell'HO, mancando la teorizzazione del suicidio, più tipicamente stoica,

94 Per una ricca raccolta di passi, tratti dalla tragedia greca, in cui si trova l'esortazione a vivere giorno per

giorno evitando il dolore, cfr. BOND 1981, pp. 194-195 (n. ad Eur. Heracl. 503-505).

95 Ecuba, nelle due tragedie euripidee, esprime più volte il desiderio di morire: su questa linea si pongono

sia l'insistenza con cui nell'Ecuba la protagonista chiede di essere uccisa insieme alla figlia Polissena (cfr. in part. Hec. 396 pollhv g' ajnavgkh qugatri; sunqanei'n ejmev; e cfr. già Hec. 168 oujkevti moi bivo" / ajgasto;" ejn favei) sia l'aspirazione alla morte manifestata alla fine delle Troiane (vv. 1282-1283 fevr' ej" pura;n dravmwmen· wJ" kavllistav moi / su;n th'ide patrivdi katqanei'n puroumevnhi; la donna vorrebbe gettarsi sulla "pira" di Troia che sta bruciando, ma è trattenuta da Taltibio). A sua volta, tale desiderio di morte rappresenta una contestualizzazione, all'interno degli Skaverei-Dramen, di un topos diffuso, più in generale, dei lamenti funebri greci, a partire dall'epos omerico (cfr. ALEXIOU 1974, pp. 178-181 e TSAGALIS 2004, pp. 42-44). Il lamento della prigioniera, in effetti, non è che una variazione dell'originario govo" funebre, in quanto si configura come triplice compianto: sui propri morti, sulla distruzione della patria e sullo squallido futuro che attende la donna una volta fatta schiava (così come appare squallido il futuro che nelle formulazioni trenodiche, già nell'Iliade, attende i familiari privati del sostegno del loro defunto; cfr. ad es. i govoi di Andromaca in Il. 22, 482 ss. e 24, 725 ss.). Su questi temi presenti negli Sklaverei-Dramen euripidei, spesso come rielaborazione di motivi già iliadici, cfr. KUCH 1974, passim e D 2006, passim (per il desiderio di morte, cfr. in part. pp. 14 ss. e 120-121).

appare più vicino ai testi greci rispetto al coro dell'Agamennone, che pure costituisce, soprattutto per quanto riguarda le formulazioni verbali, il suo referente più immediato. 104 Par ille est superis: la formulazione riecheggia Ag. 609 par ille regi, par superis

erit (cfr. le osservazioni svolte supra, n. ai vv. 104 ss.). Il paragone con gli dei è

tradizionale per indicare la felicità, nei più svariati contesti96, e in Seneca è spesso utilizzato per designare il sapiens (come in Dial. 2, 8, 2 sapiens autem uicinus

proximusque dis consistit, excepta mortalitate similis deo e Ep. 48, 11 hoc enim est quod mihi philosophia promittit, ut parem deo faciat; per ulteriori paralleli, cfr.

TARRANT 1976, p. 289 , n. ad Ag. 610).

104-105 cui pariter dies | et fortuna fuit: "è felice l'uomo la cui vita è cessata insieme con la buona sorte"97.

104 dies: indica il 'tempo della vita'98; è segnalato da G

YGLI 1967, p. XVII n. 30 come

uso frequente negli autori cristiani; tuttavia esempi di quest'uso si riscontrano anche in testi poetici classici: cfr. Ov. Pont. 4, 11, 19 at cum longa dies sedauit uulnera mentis; Stat. Silu. 3, 3, 124 ss. felix a! si longa dies … tibi iusta dedissent / stamina.

105 fuit: equivale qui a (esse) desiit: cfr. Verg. Aen. 7, 412-413 et nunc magnum manet