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2.1 I L SIGNIFICATO DEL PRIMO CORO ALL ' INTERNO DEL DRAMMA

Il primo Coro (vv. 104-172), in asclepiadei minori, è composto da prigioniere di Ecalia, che formano probabilmente il corteo trionfale scortato da Lica (secondo quanto suggeriscono le indicazioni di Ercole al termine del monologo prologico, in HO 99 ss.), che sta giungendo in questo momento al palazzo (come accade nel secondo episodio delle Trachinie sofoclee, ai vv. 225 ss.). Dal Coro si distacca Iole, alla quale è affidata una monodia (vv. 173-224), che si distingue dall'intervento corale precedente anche dal punto di vista metrico (è infatti in anapesti). L'accostamento del corteo di prigioniere alla ex-regina o principessa anch'essa ridotta in schiavitù costituisce un modulo drammatico diffuso nella tragedia attica, soprattutto nei drammi euripidei d'argomento troiano (per uno studio recente a questo riguardo, cfr. DUÉ 2006), e da qui è passato al

teatro senecano. Lo schema assunto dal dialogo tra coro e attore è in questi contesti l'amoibaion lirico69. Per quanto riguarda Seneca, si tratta precisamente del primo Coro delle Troades (vv. 67-163), nella forma di un kommos tra Ecuba e le prigioniere troiane, e del terzo Coro dell'Agamemnon (vv. 589-781), con il dialogo lirico tra le Iliadi e Cassandra. L'Autore dell'HO si distacca da questa consolidata tradizione, optando invece per una più rigida giustapposizione di due ampi blocchi monologici, tendenzialmente autonomi quanto a sviluppo tematico, e cerca piuttosto artificialmente di creare una tenue facies dialogica tra i due interlocutori con l'aggiunta di un breve intervento corale conclusivo (vv. 225-232), ricorrendo dunque a uno stilema, quello della Ringkompsition (ABA), che, a lui assai familiare, trova applicazione in questo dramma in molteplici variazioni e contesti.

L'introduzione del Coro secondario di prigioniere è ricalcata sul terzo canto corale dell'Agamemnon di Seneca, che costituisce il modello di base di questo complesso lirico (cfr. in part. TARRANT 1976, p. 286 e MARCUCCI 1997, pp. 111-112). Tuttavia, mentre

nella tragedia senecana il Coro ha il compito precipuo di introdurre il personaggio-guida della seconda parte della tragedia, Cassandra, e assume pertanto un ben preciso ruolo drammaturgico70, nell'HO la sezione composta dal canto corale e dalla monodia di Iole

69 È il caso, in particolare, di Eur. Tro. 153-196, dove il dialogo lirico fra Ecuba e i due semicori di

prigioniere troiane è preceduto dalla monodia di Ecuba (vv. 98-152) e seguito da un canto corale all'unisono del Coro (vv. 153-229), e 1287-1332, con il canto commatico Ecuba-Coro a conclusione del dramma. Analogo è il caso degli amoibaia lirici in Eur. Iph. T. 123-235 (fra Ifigenia e il Coro di iJerodou'lai, schiave greche, ora al suo servizio) e Hel. 167-252 e 330-385 (fra Elena e il Coro costituito da schiave greche).

70 Sul significato del coro secondario di prigioniere nell'Agamemnon cfr. in particolare LEFÈVRE 1973,pp.

64 ss. e ARICÒ 1996, pp. 135 ss. TARRANT 1976, p. 285 rileva il modello di Euripide (Hippolytus,

rappresenta una cellula a se stante, che non intrattiene rapporti funzionali con il resto della tragedia. Per questo motivo Rozelaar71 ha avanzato l'ipotesi che Seneca avesse inizialmente abbozzato due drammi distinti, uno relativo alla gelosia di Deianira (comprendente la sezione di Iole), l'altro all'apoteosi di Ercole, e li avesse poi saldati, aggiungendo il prologo recitato da Ercole, senza terminare la revisione dell'opera. Tale ricostruzione è molto accattivante, in quanto permette di spiegare le evidenti incoerenze drammaturgiche relative alla collocazione spaziale del prologo e del primo coro (a questo proposito cfr. infra, la nota al v. 102 e il § 2.2), ma si scontra con la constatazione che nelle tematiche affrontate dal Coro di prigioniere si intravedono precisi rimandi al tema principale della tragedia: l'evoluzione del personaggio di Ercole verso l'ideale del sapiens stoico e la divinizzazione finale. Li esamino ora brevemente. 1. Nella parte iniziale di contenuto gnomico-riflessivo il Coro il coro affronta due tematiche (cfr. infra la nota ai vv. 104-106). La prima – il motivo della felicità di quanti sono morti prima di vedere la distruzione della patria (vv. 104-110) – è del tutto pertinente nel lamento delle prigioniere (ed è infatti topica in questi contesti). Non altrettanto si può dire del tema sviluppato ai vv. 111-118, l'esaltazione della fermezza nell'affrontare la morte, aspetto che non riguarda direttamente le prigioniere. L'incongruenza era evidenziata da Edert72, che individuava in questo una delle prove della non autenticità dell'HO: l'Autore avrebbe infatti orecchiato un tema tipicamente senecano, ma lo avrebbe impiegato a sproposito. In realtà, anche se forse non armonizzato al meglio nel contesto, il tema è funzionale al significato complessivo del dramma: rimanda infatti al comportamento di Ercole di fronte alla morte, grazie al quale l'eroe otterrà la divinizzazione.

2. Ai vv. 151 ss. il Coro si sofferma sull'invulnerabilità del corpo di Ercole. Anche in questo caso il tema non sembra a prima vista collimare con l'immagine tradizionale di Ercole, il quale, com'è del resto dimostrato dagli eventi successivi, non è affatto invulnerabile. In realtà, l'argomento è pertinente con lo sviluppo del dramma per almeno due ragioni: la prima è che ha la funzione di far risaltare con maggiore efficacia la futura sofferenza fisica di Ercole (come osserva WALDE 1992, p. 114); la seconda, più

significativa, è che l'accento posto sull'invulnerabilità del corpo di Ercole porta avanti il tema, già delineato nel prologo, dell'inadeguatezza del protagonista rispetto al modello del sapiens stoico, in piena sintonia con lo sviluppo drammatico dell'azione principale. È frequente nelle opere filosofiche di Seneca l'immagine dell'invulnerabilità dell'animus del sapiens73: in Ep. 9, 2 Seneca esplicita che con il termine inuulnerabilis intende

con un singolo personaggio e con un'azione limitata a un solo stasimo e all'episodio successivo. Per il valore del doppio coro in Euripide cfr. LAMMERS 1931 e LANZA 1962.

71 ROZELAAR 1985, pp. 1348 ss. (si rammenti che secondo lo studioso l'HO è una tragedia incompiuta di

Seneca: cfr. Introduzione § 1.1).

72 EDERT 1909,pp. 94-96.

73 Questo tema è portato a confronto con il passo dell'HO da TIETZE-LARSON 1991, pp. 40-41 e da DI

FIORE 2000, p. 28; nessuna delle due studiose però conduce l'analisi che qui di seguito propongo. La Tietze-Larson, nel riconoscere in questi versi il concetto stoico dell'invulnerabilità dell'animo del sapiens, dà al canto corale un'interpretazione alquanto improbabile: sarebbero qui in conflitto due diversi punti di vista su Ercole, quello negativo del Coro e quello positivo dell'autore (cfr. p. 45). La studiosa ritiene infatti che l'invulnerabilità del corpo di Ercole sia una metafora per indicare l'imperturbabilità del suo animo.

rendere il concetto dell' ajpavqeia stoica74. Si tratta di uno sviluppo della metafora del saggio-soldato, per il quale le avversità della sorte e le iniuriae sono dardi che lo colpiscono ma non lo feriscono75. In particolare, questa metafora è impiegata da Seneca per illustrare come l'animo del sapiens sia immune dal sentimento dell'ira (mentre in questa sezione dell'HO il Coro descrive proprio l'agire di Ercole in preda all'ira: cfr. v. 172): cfr. Dial. 5 (Ira III), 5, 8 at ille ingens animus et uerus aestimator sui non uindicat

iniuriam, quia non sentit. Vt tela a duro resiliunt (cfr. HO 154) et cum dolore caedentis solida feriuntur, ita nulla magnum animum iniuria ad sensum sui adducit, fragilior eo quod petit. Quanto pulchrius uelut nulli penetrabilem telo (cfr. HO 151) omnis iniurias contumeliasque respuere!

Di notevole interesse è inoltre Dial. 2 (= Const.), 3, 5:

Hoc igitur dico, sapientem nulli esse iniuriae obnoxium; itaque non refert quam multa in illum coiciantur tela, cum sit nulli penetrabilis. Quomodo quorundam lapidum inexpugnabilis ferro duritia est nec secari adamas aut caedi uel deteri potest sed incurrentia ultro retundit, quemadmodum quaedam non possunt igne consumi sed flamma circumfusa rigorem suum habitumque conseruant, quemadmodum proiecti quidam in altum scopuli mare frangunt nec ipsi ulla saeuitiae uestigia tot uerberati saeculis ostentant, ita sapientis animus solidus est et id roboris collegit ut tam tutus sit ab iniuria quam illa quae rettuli.

Si noti l'identica struttura argomentativa: il motivo dell'invulnerabilità viene dapprima enunciato (cfr. HO 151 nullis uulneribus peruia membra sunt), quindi illustrato attraverso una serie di exempla. Naturalmente, poiché nel caso del sapiens si tratta di una metafora (e non di un fatto reale, secondo quanto il Coro afferma del corpo di Ercole), anche gli esempi devono essere introdotti attraverso una similitudine. È interessante che per vari aspetti questi coincidano:

- il sapiens è paragonato a una pietra inattaccabile dal ferro; di Ercole ai vv. 143 ss. si dice che è stato generato da pietre e rocce (quae cautes Scythiae, quis genuit lapis? […]) e ai vv. 152-153 si evidenzia che non è penetrabile dal ferro (ferrum sentit

hebes, lentior est chalybs / in nudo gladius corpore frangitur);

- in entrambi i passi c'è l'immagine dell'arma che rimbalza (cfr. retundit con HO 154

resilit); questo elemento ricorre anche nella descrizione della philosophia, condotta

in termini analoghi in Ep. 53, 12 incredibilis philosophiae uis est ad omnem

fortuitam uim retundendam. Nullum telum in corpore eius sedet; munita est, solida; quaedam defetigat et uelut leuia tela laxo sinu eludit, quaedam discutit et in eum usque qui miserat respuit;

- il saggio è paragonato a uno scoglio battuto dal mare: fra i possibili genitori di Ercole c'è il praeruptus Athos (v. 145);

- nell'HO è omesso il riferimento al fuoco, in quanto sarebbe stato in evidente contrasto con lo sviluppo successivo della vicenda.

74 Cfr. in proposito SETAIOLI 1988, pp. 458-459 (per la questione della 'traduzione') e FICCA 1997, pp. 121

ss. (per l'analisi dell'uso dell'aggettivo inuulnerabilis, non attestato nella letteratura latina prima di Seneca). Gli altri passi in cui ricorre inuulnerabilis (sempre impiegato in modo metaforico in riferimento all'animo) sono Dial. 2, 3, 3; Dial. 12, 13, 2; Ben. 5, 1.

75 Per un repertorio completo dei passi in cui ricorre questa metafora cfr. ARMISEN-MARCHETTI 1989,pp.

94-97. L'uso delle immagini militari è particolarmente frequente nel De constantia sapientis: cfr. le pp. 315 ss. del medesimo saggio.

Le prigioniere sottolineano che Ercole sfida la morte indomito corpore (v. 155)76, grazie alla prerogativa di avere un corpo invincibile; nel sapiens, invece, è indomitus l'animo77, che gli consente di affrontare con fermezza la morte. Nel finale della tragedia, invece, Ercole dà prova di essere un vero sapiens stoico: mentre arde sulla pira, il suo corpo si consuma interamente, ma il suo animo rimane imperturbabile (l'analisi di questa sezione è svolta in Introduzione § 2.2).