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Statistiche relative all’Hercules Oetaeus

TAB. 9a (da FITCH 1987, p. 87): corrisponde alla TAB. 7a

m. 2 DS SA SS AA AS DA DS 10 5 0 1 0 0 SA 47 18 0 8 1 1 SS 20 15 0 4 0 0 AA 17 4 0 1 0 0 m. 1 AS 13 8 0 2 0 0

TAB.9b (da FITCH 1987, p. 87): corrisponde alla TAB.7b

m. 1 % m. 2 % DS 16 9.1 107 61.1 SA 75 42.9 50 28.6 SS 39 22.3 0 0.0 AA 22 12.6 16 9.1 AS 23 13.1 1 0.6 DA 0 0.0 1 0.6 tot. versi 175 175

TAB.10a (da FITCH 1987, p. 89): corrisponde alla TAB. 8a

m. 2 DS SA SS AA AS DA DS 10 7 0 1 0 0 SA 62 22 0 10 1 1 SS 29 20 0 5 0 0 AA 30 6 0 1 0 0 m. 1 AS 18 11 0 2 0 0

TAB.10b (da FITCH 1987, p. 89): corrisponde alla TAB. 8b

m. 1 % m. 2 %

DS 18 7.6 149 63.1

SA 96 40.7 66 28.0

AA 37 15.7 19 8.1 AS 31 13.1 1 0.4 DA 0 0.0 1 0.4

tot. versi 236 236

Si nota che nel complesso gli schemi metrici dell’HO sono simili a quelli delle tragedie autentiche. Sono mantenute le tendenze di fondo rilevate sopra:

- DS è relativamente poco frequente nel primo metro, ma molto diffuso nel secondo; - SS è abbastanza comune nel primo metro, ma è evitato nel secondo.

Gli schemi metrici preferiti e quelli evitati sono, in definitiva, gli stessi. Tuttavia, un aspetto interessante è che si nota anche per gli anapesti la tendenza già rilevata per i trimetri giambici: il fatto che l’autore dell’HO tenda a ‘esagerare’ le propensioni di Seneca:

1. riduce ulteriormente l’uso di DS nel primo metro;

2. aumenta ancora di più l’uso di SA nel primo metro e di DS nel secondo metro (che erano già le combinazioni più frequenti);

3. SS nel secondo metro è assolutamente evitato;

4. l’uso di AS nel secondo metro è quasi completamente evitato, mentre costituisce circa l’8% nelle altre tragedie di Seneca.

Un avvertimento: l'impressione che il nostro autore 'esageri' le propensioni di Seneca, anche se resa plausibile dal confronto con i risultati dell'analisi compiuta sui trimetri giambici, potrebbe anche dipendere dal metodo utilizzato da Fitch, che non permette di confrontare i valori dell'HO con la forbice dei valori delle tragedie senecane (cfr. quanto osservato in Introduzione § 1.3).

Una peculiarità dell'HO individuata da Fitch107 è costituita dal fatto che la proporzione tra monometri e dimetri nell'HO è significativamente più bassa che nelle tragedie autentiche: nell'HO è 1:6.4, mentre nelle tragedie autentiche è in media 1:3.0 (si va da 1:1,9 nell'Ag. a 1:4,2 nell'HF). Di conseguenza, l'HO ha sezioni di dimetri anapestici più lunghe di quelle che si trovano normalmente nelle tragedie di Seneca108.

Il metro anapestico |lkk|kkl|

Un'anomalia dell'HO, individuata già da Richter109, è costituita dalla composizione di tre metra anapestici110, che presentano la successione di dattilo+anapesto. Tale composizione è di norma evitata, poiché dà una successione di 4 brevi (lkk|kkl). I casi in questione sono: HO 185 fingite, superi 107 FITCH 1987, p. 91. 108

L'HO presenta, su 280 dimetri totali, 8 sezioni di 12 o più dimetri consecutivi, mentre nelle tragedie di Seneca, su 858 dimetri totali, presentano solo 5 sezioni così lunghe di dimetri (cfr. FITCH 1987, p. 91 n. 30).

109

RICHTER 1862, p. 23.

110

Richter ne indica quattro, ma il quarto (v. 1887 poscite gemitu) non va conteggiato: è infatti preferibile la lezione di E magno Alcidae poscit gemitum, metricamente regolare.

HO 196 Cypria lacrimas Myrrha tuetur111

HO 1883 flete Herculeos, Arcades, obitus

Nel corpus senecano questa composizione del metro anapestico si trova solo in HF 1064 soluite superi112; Oct. 646 parcite lacrimis; 904 inuidet etiam. Il passo dell'HF è probabilmente riecheggiato nel fingite superi di HO 185.

Nella tragedia greca gli anapesti lirici ammettono la successione di quattro brevi (cfr. WEST 1982, p. 121)113:

(a) metro anapestico di forma |lkk|kkl| in Aesch. Pers. 939-940 ~ 948-849 pevmyw pevmyw poluvdakrun ~ klavgxw d''' au\ govon ajrivdakrun114

; Eur. IA 1322 w[felen ejlavtan; Eur. fr. 114, 4 K. (dall'Andromeda) aijqevro" iJera'";

(b) dimetri anapestici catalettici di forma |ytlkk|kkll|| in Eur. Hec. 97 pevmyate, daivmone", iJketeuvw; IT 215 yamavqwn Aujlivdo" ejpevbasan.

(c) metro anapestico di forma kkkkyt in Eur. Hipp. 1372 mevqetev me tavlana; Hec. 62-63 lavbete fevrete pevmpet' ajeivretev mou; IT 183 nevkusi melomevnan115; Ion. 883 kevrasin ejn ajyuvcoi" ajcei'116.

(d) metro anapestico di forma ytkkkk in Eur. IT 231 suvggonon, o}n e[lipon ejpimastivdion.

111

In realtà anche questo caso è dubbio: la successione di dattilo+anapesto si ha solo se si accoglie la lezione di E Cypria lacrimas Myrrha tuetur, come fanno gli editori più recenti; la lezione di A Cyprias

lacrimas Myrrha tuetur presenta invece una regolare successione di due anapesti (per la discussione del

problema testuale cfr. la nota di commento ad loc.).

112

Il passo dell'HF è stato oggetto di emendamenti volti a eliminare l'anomalia. LEO 1876,nella nota a p. 440, prendendo spunto dall'ametrico soluite o superi di E, aveva proposto una trasposizione di parole: vv. 1063-1064 soluite tantis animum, o superi, / soluite monstris. L'emendamento di Leo era stato accolto da Fitch nel suo commento all'HF (FITCH 1987,pp. 393-394), ma nella recente edizione Loeb lo studioso torna al testo tradito. La giustificazione della sua scelta è in FITCH 2004a, p. 29.

113

Negli anapesti non lirici la successione di quattro brevi di norma non è ammessa, ma ci sono alcuni casi controversi in cui la tradizione riporta un testo con tale anomalia e gli editori intervengono con emendamenti o espunzioni per ripristinare schemi anapestici regolari: tali casi sono raccolti da BARRETT 1964, p. 404, nella nota di commento a Eur. Hypp. 1365, e da DIGGLE 1981, pp. 45-46, a proposito di Eur.

El. 1319-1320. Nei due passi citati il testo tradito presenta l'anomalia in questione: Eur. Hipp. 1365 o{d' oJ

swfrosuvnhi pavnta" uJperevcwn (Barrett accoglie l'emendamento uJperscwvn di Valckenaer); El. 319- 320 qavrsei, Pallavdo" oJsivan h{xei" / povlin (Diggle accoglie la trasposizione di Weil: oJsivan, qavrsei, Pallavdo" h{xei" / povlin).

114 Questo verso presuppone la scansione lllykkll secondo il testo adottato da West, che con Snell

espunge ijacavn nella strofe e conserva l'anadiplosi di pevmyw (pevmyw semel in Ya: bis rell.; dal punto di vista ritmico-prosodico la soluzione testuale di West è equivalente a quella di Page: pevmyw poluvdakrun ijacavn ~ klavgxw d''' au\ govon ajrivdakrun). Altri editori (come ad es. Murray2

, Broadhead, Belloni) leggono invece pevmyw pevmyw poluvdakrun ijacavn ~ klavgxw <klavgxw> de; govon ajrivdakrun (<klavgxw> suppl. Hermann, dev govon Ya: llllkkkkkkk): a parte il problema della duplicazione dello spondeo iniziale, che ha la funzione di ripristinare la corresponsione metrica con l'anadiplosi di pevmyw nella strofe, la correzione del tràdito au\ in dev suggerita da Blaydes restituisce una sequenza anapestica tribraco + proceleusmatico che presenta comunque la successione di più sillabe brevi.

115

melomevnan è correzione quasi certa di Markland in luogo del tràdito mevleon, testualmente inaccettabile: cfr. la nota ad loc. di M. Platnauer, Euripides. Iphigenia in Tauris, Oxford 1938, p. 75, che istituisce un confronto con Phoen. 1301 stenakta;n ijaca;n melomevnan nekroi'".

116

La correzione di Madvig (accolta a testo da Diggle) del tràdito kevrasin in keravessin, a scopo di regolarizzazione metrica, è metodologicamente insoddisfacente: cfr. la nota di Murray in apparato.

Colpisce il fatto che tutti i passi citati si trovano in contesti di lamento, quasi sempre in sezioni liriche cantate da un personaggio, proprio come avviene nell'HO:

- Aesch. Pers. 949 è nelle parole del coro in un canto commatico di lamento con Serse.

- Eur. IT 183, 215 e 231 sono nella parodo commatica, il primo nelle parole del coro, gli altri due in quelle di Ifigenia. Al lamento di Ifigenia il coro risponde intonando un canto funebre, come dichiara programmaticamente ai vv. 179-185: Co. ajntiyavlmou" wjida;" u{mnwn t' / jAsihta'n soi bavrbaron ajcavn, / devspoin', ejxaudavsw, ta;n ejn / qrhvnoi" mou'san nevkusin mevleon, / ta;n ejn molpai'" {Aida" uJmnei' / divca paiavnwn.

- Eur. Ion 883 si trova nella monodia di Creusa, nella quale la donna chiama Apollo a testimone dell'ingiustizia che deve subire.

- Eur. Hec. 62 e 97 si trovano nella monodia di Ecuba, in cui la donna esprime profonda angoscia per la situazione presente e oscuri presentimenti di mali futuri. - Eur. Hipp. 1365 e 1372 sono nel lamento di Ippolito in fin di vita. Eur. IA 1322 è

nella lunga monodia di lamento di Ifigenia (vv. 1281-1333).

- Eur. fr. 114, 4 proviene dalla monodia anapestica di Andromeda nel prologo dell'omonima tragedia (cfr. l'ampia nota di Kannicht in TrGF 5.1, pp. 238-239). Anche se nell'HO, come nelle tragedie di Seneca, non c'è distinzione tra anapesti recitativi e anapesti lirici, non è improbabile che l'Autore possa aver trovato nei modelli greci una giustificazione per l'uso di questa soluzione metrica, di norma evitata, nelle monodie di lamento.

§ 1.3.4. CONSIDERAZIONI SULLE STRUTTURE METRICHE (DIVERSE DAL TRIMETRO

GIAMBICO)

I quattro canti corali dell'HO hanno ciascuno una forma metrica diversa: il primo è in asclepiadei minori, il secondo in anapesti, il terzo in gliconei, il quarto in endecasillabi saffici con adonio finale; ognuno è formato interamente da un solo tipo di verso, utilizzato stichicamente; sono cioè assenti odi polischematiche117, come nelle Troades e nel Thyestes. Quest'ultima è la tragedia a cui l'HO più si avvicina in quanto a scelta dei metri nei canti corali; anche in questo dramma, infatti, ogni coro è in un metro diverso118: il primo è in asclepiadei minori, il secondo in gliconei, il terzo in endecasillabi saffici con adonio finale, il quarto in anapesti (inoltre nel quinto atto c'è la monodia in anapesti di Tieste, analoga, quanto a collocazione e metro, a quella di Alcmena nell'HO). Si nota inoltre che, eccettuato lo spostamento del coro in anapesti dal quarto posto al secondo, l'HO mantiene, rispetto al Thyestes, un'analoga successione dei metri negli stasimi corali. Per quanto riguarda i canti corali si riscontra dunque un'assoluta continuità rispetto alle tragedie di Seneca. Non trovano invece paralleli nelle

117

A meno che non si voglia considerare un'unica ode polischematica la prima sezione in metri lirici, formata da parte corale in asclepiadei minori, monodia di Iole in anapesti e, infine, risposta del coro in anapesti. Questo non mi sembra corretto, in quanto nelle cosiddette odi polischematiche di Seneca non c'è alcuna soluzione di continuità (spesso nemmeno tematica) nel canto del coro. Inoltre nessun canto corale di Seneca è formato da asclepiadei seguiti da anapesti: o il canto corale è formato unicamente da asclepiadei (per es. il secondo coro dell'HF) o gli asclepiadei formano con altri metri una più complessa ode polischematica (per es. il primo coro della Medea).

118

tragedie di Seneca alcune strutture, quali la tipologia di kommos presente nel IV atto, l'uso del tetrametro dattilico acatalettico nella battuta di un personaggio e l'intervento conclusivo del Coro. Anche in questi casi, come già per la particolare tipologia di soluzione del metro anapestico trattata supra, può essere utile un confronto con quanto ci resta della tragedia anteriore a Seneca, greca e latina.

Gli interventi del coro nel IV atto

Il lungo lamento di Ercole in trimetri giambici (vv. 1131-1136) è spezzato in quattro parti da tre interventi del coro in anapesti (vv. 1151-1160; 1207-1217; 1279-1289), che ripetono, confermano e commentano quanto Ercole ha detto, senza però che ci sia dialogo. Il coro cioè mostra di ascoltare le parole di Ercole, ma non viceversa. Una situazione drammatica di questo tipo non ha paralleli nel corpus senecano; infatti le sezioni che alternano battute di un personaggio con battute del coro sono di norma tutte in trimetri giambici oppure si tratta di canti commatici in anapesti (come Tro. 125-203;

Oct. 646-689 e 877-982). Non è paragonabile con la nostra nemmeno la situazione di Agam. 659 ss., in cui Cassandra parla in trimetri giambici (vv. 659-663) e il coro le

risponde in anapesti (664-692); infatti Cassandra aveva interrotto il canto in anapesti del coro, il quale, dopo il suo breve intervento, riprende nello stesso metro. A partire dal v. 693 il coro si rivolge a Cassandra in trimetri e sono in questo metro i suoi interventi che incorniciano il discorso profetico di Cassandra, descrivendone l'invasamento (vv. 710- 719) e la fine della possessione divina (vv. 775-781).

Nella tragedia greca la tipologia di kommos che presenta ampi interventi giambici del personaggio intercalati da brevi sezioni liriche del Coro è tipica dei drammi eschilei119. È il caso ad esempio della grande scena di ajggeliva in Sept. 375-676, in cui gli estesi interventi giambici del Messo e di Eteocle sono seguiti da brevi strofi liriche corali, oppure della prima parte del kommos fra Clitemestra e il Coro di Vecchi argivi in

Agam. 1401-1520, oppure ancora dei vv. 778-891 delle Eumenidi, dove una propositiva

e conciliante Atena cerca di sedare il tremendo rancore delle Erinni. Lo scopo di questa forma espressiva appare manifestamente quello di contrapporre alla dimensione logico- razionale dei personaggi scenici il registro eminentemente emotivo del Coro: nei Sette a

Tebe alla capacità pianificatrice di Eteocle fa da contraltare la scomposta reazione delle

fanciulle tebane, che fin dal loro ingresso in scena nella parodo vengono rappresentate, a causa della paura che le anima, in forte antitesi con il protagonista maschile; nell'Agamennone alla lucida e fredda Clitemnestra, quale appare in scena subito dopo l'uccisione di Agamennone e Cassandra, si contrappone l'angosciosa costernazione dei Vecchi argivi120; nelle Eumenidi agli inviti alla moderazione da parte di Atena

119

Potrebbe trattarsi di uno sviluppo secondario di una tipologia di kommos probabilmente ancora più antica, attestata ad es. in Pers. 256 ss. e Suppl. 736-759, in cui alle strofi liriche del Coro seguono brevi epirremi dell'attore (strofi liriche del Coro ed epirremi dell'attore sono invece complessivamente bilanciati quanto ad estensione in Suppl. 348-417). Con il progressivo accrescersi d'importanza dell'attore nei confronti del Coro, nel corso della prima metà del V secolo, si sarebbe espansa la parte epirrematica a lui affidata. A sua volta tale espansione, dapprima evidente nelle sezioni dialogiche, si sarebbe poi affermata e imposta anche nel registro lirico, soprattutto nei cosiddetti Pathos-Amoibaia (cfr. infra).

120

Non è un caso che in corrispondenza della ristrutturazione del personaggio di Clitemnestra, che ha inizio precisamente a partire dall'esodo dell'Agamennone per poi completarsi definitivamente nelle

Coefore (cfr. in proposito DI BENEDETTO 1995, pp. 66 ss.) si abbia il passaggio dagli epirremi giambici agli anapesti (v. 1462), che tradiscono un maggior coinvolgimento emotivo.

s'alternano le espressioni di acuto odio delle Erinni, che danno selvaggiamente sfogo a "tutto il loro mevno" e kovto"". Per contro, la drammaturgia successiva (sofoclea e anche euripidea) predilige lo schema epirrematico inverso, il cosiddetto Pathos-Amoibaion, che attribuisce il registro lirico-emotivo all'attore e al Coro la funzione di mediatore del

pathos dell'eroe121

.

Qui l'Autore dell'HO sembra aver voluto prendere le distanze dai vv. 983-1043 delle

Trachinie, dove Eracle, subito dopo il suo risveglio, dà voce al suo dolore in anapesti

trenodici. Optando invece per la soluzione del recitato si consegue lo scopo di rendere più composto e controllato il dolore dell'eroe, sovrapponendo allo schema metrico tradizionale dei Pathos-Amoibaia le soluzioni ritmiche che erano invece caratteristiche delle situazioni sceniche in cui il personaggio esibisce, di contro al Coro, fermezza e capacità di autocontrollo. In comune con il Pathos-Amoibaion c'è tuttavia il fatto che nel dramma latino tra i due interlocutori non si instaura una autentica comunicazione, in quanto gli interventi di Ercole hanno carattere sostanzialmente monologico. Con questa atipica situazione di compromesso l'Autore dell'HO ha inteso conciliare lo schema tradizionale con la valorizzazione del decor e della uirtus del suo personaggio.

Le parti liriche di Alcmena nel V atto

Il lungo lamento funebre di Alcmena (vv. 1758-1938) è in trimetri giambici fino al v. 863 (interrotto da un tentativo di consolatio del coro nello stesso metro, ai vv. 1831- 1836), poi passa agli anapesti nel momento in cui invita a piangere tutti i popoli da lui beneficati (l'introduzione del canto trenodico vero e proprio, con il riferimento ai gesti rituali è ancora in trimetri: vv. 1856-1862)122. Il lamento di Alcmena è interrotto da Ercole, che appare ex machina proclamando l'avvenuta apoteosi123. La donna, sbalordita, gli rivolge una serie di domande su quanto gli è accaduto; solo per questa battuta (vv. 1944-1962) si esprime in tetrametri dattilici acatalettici124. Questo metro in

121

Per la definizione di Pathos-Amoibaion come specifica soprattutto di Sofocle cfr. POPP 1971, pp. 255 ss., che ne ha anche analizzato le componenti caratterizzanti.

122

Per il passaggio dal trimetro a un metro lirico all'interno della stessa battuta di un personaggio e con continuità tematica si confronti la profezia di Cassandra (Agam. 720-758 trimetri giambici; 759-774 dimetri giambici), in cui è evidente come il cambiamento di metro nella parte finale sottolinei un maggiore coinvolgimento emotivo (qui dovuto al culmine dell'invasamento). Il passaggio dal trimetro giambico a un altro metro volto a rappresentare un accrescimento del pathos si trova anche in Tro. 705- 735, nella preghiera di Andromaca ad Ulisse perché risparmi il figlio Astianatte (in anapesti), in Phae. 1201-1212, in cui Teseo impreca contro se stesso per aver causato la morte del figlio innocente (in tetrametri trocaici catalettici), e in Oed. 223-232, in cui Creonte mostra forte agitazione nel dover riferire l'oracolo (in tetrametri trocaici catalettici).

123

Da quanto Alcmena dice successivamente (vv. 1977-1979 mane parumper – cessit ex oculis, abit, / in

astra fertur. fallor an uultus putat / uidisse natum? misera mens incredula est) sembra di capire che

Ercole appaia di nuovo fisicamente sulla scena e non che se ne senta soltanto la voce, come accade nel

Filottete di Sofocle. 124

Gli editori non sono concordi nel considerare i vv. 1944-1946 tetrametri dattilici acatalettici. Nei due rami della tradizione, infatti questi versi sono tràditi con delle differenze testuali che fanno sì che il testo di A sia interpretabile come in tetrametri dattilici acatalettici, mentre il testo di E in dimetri anapestici. Gli editori anteriori a Zwierlein stampavano il testo di E:

Vnde, unde sonus trepidas aures ferit? unde meas inhibet lacrimas

tutto il corpus senecano si trova solo in brevi sezioni all'interno di canti corali polischematici: Phae. 761-763 (II coro)125 e Oed. 449-465 (II coro)126.

In quanto resta del teatro latino arcaico il tetrametro dattilico acatalettico si trova impiegato kata stichon in tre frammenti (uno di Ennio, uno di Accio e uno di Pomponio Secondo). Il frammento di Ennio127 fa parte della profezia di Cassandra nell'Alexander: dagli altri frammenti di questa scena a noi pervenuti si comprende che la profezia iniziava in tetrametri trocaici catalettici (vv. 48-49 Ribbeck3 = 41-42 Jocelyn), in continuità con il precedente dialogo tra Ecuba e Cassandra (vv. 41-47 R.3 = 32-40 J.), e poi proseguiva parte in tetrametri dattilici acatalettici (vv. 50-53 R.3 = 43-46 J.), parte in ottonari trocaici (vv. 54-56 R.3= 47-49 J. e vv. 60-61 R.3 = 72-73 J.), parte in metri lirici (vv. 57-59 R.3 = 69-71 J.)128. Sul frammento di Accio, proveniente dall'Antigona, si possono fare solo ipotesi129. La situazione sembra questa: una guardia si rivolge alle altre guardie dando la sveglia, probabilmente perché ha notato qualcosa di insolito intorno al cadavere di Polinice; da questo frammento sembra di capire che la cattura di Antigone, che in Sofocle è narrata dalla guardia, in Accio fosse rappresentata sulla scena. Se è corretto l'accostamento, proposto da Ribbeck130, di questo frammento con il fr. III vv. 138-139 R.3, in quaternari anapestici, si tratterebbe di un brano lirico, che alterna diversi tipi di metri, in cui la guardia si rivolge ad altre guardie. Dato che una sezione cantata non può essere affidata a un personaggio minore, è probabile che si tratti del corifeo e che le guardie costituiscano il coro. Il frammento di Pomponio Secondo proviene da un canto corale, probabilmente strutturato in modo simile alle odi polischematiche di Seneca131. In conclusione: tutte e tre le attestazioni di questo metro

Zwierlein, seguito dagli editori successivi, stampa invece il testo di A:

Vnde sonus trepidas aures ferit? unde meas inhibet lacrimas fragor? agnosco agnosco uictum est chaos.

Se si considerano questi versi come dimetri anapestici viene a mancare la corrispondenza metro-sintassi, che risulta invece regolare se li si considera tetrametri dattilici; quest'ultima soluzione è dunque preferibile.

125

Il II coro della Phaedra è costituito da un'ode polischematica in lode della bellezza di Ippolito; è in tetrametri dattilici acatalettici una breve sezione, inserita tra asclepiadei minori, contenente una sententia sulla fugacità della bellezza: vv. 761-763 anceps forma bonum mortalibus, / exigui donum breue

temporis, / ut uelox celeri pede laberis! 126

Il II coro dell'Oedipus, un ditirambo dalla struttura metrica molto complessa, contiene varie sezioni in metri dattilici; oltre ai vv. 449-465 in tetrametri dattilici acatalettici, si trovano brevi sezioni in esametri: vv. 403-404, 429-431, 445-448, 467-471, 503-508. Nelle tragedie di Seneca parti in esametri dattilici si trovano solo all'interno di canti corali polischematici: oltre che nel II coro dell'Oedipus, si trovano alla conclusione del I coro della Medea, un epitalamio (vv. 110-115). L'unica sezione in esametri dattilici pronunciata da un personaggio è data da Oed. 233-238 e consiste nel responso dell'oracolo di Delfi (che come di consueto è in esametri) riferito da Creonte.

127

Enn. Trag. 50-53 Ribbeck3 = 43-46 Jocelyn iamque mari magno classis cita / texitur. exitium examen

rapit. / adueniet. fera ueliuolantibus / nauibus compleuit manus litora. 128

L'interpretazione metrica di questo frammento è dibattuta (cfr. in part. MARIOTTI 1951, p. 133; JOCELYN 1969, p. 232). Per una accurata ricostruzione della scena cfr. TIMPANARO 1996,pp. 5 ss.