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C'è una stretta correlazione tra il prologo dell'Hercules Oetaeus e il prologo dell'Hercules Furens. Ercole appare sulla scena nell'Oetaeus proprio come l'aveva descritto Giunone nel Furens, orgoglioso e superbo delle sue imprese. Giunone manifesta inoltre la consapevolezza del fatto che Ercole è destinato al cielo (HF 23

pariterque natus astra promissa occupet), anche se spera che a questo sarà d'ostacolo

ciò che Ercole compirà in stato di follia (HF 121-122 scelere perfecto licet / admittat

illas genitor in caelum manus); d'altra parte, è lo stesso eroe, insuperbito dalla sua forza,

ad aspirare al cielo: se nell'HF Giunone afferma che Ercole quaerit ad superos uiam (v. 74), nell'HO egli stesso dichiara che la troverà (v. 33 inueniam uiam). Si riscontrano, inoltre, molteplici punti di contatto, che si possono così schematizzare:

- Giunone stessa, con il suo crudele operato da nouerca, ha fornito la prova che Ercole è figlio di Giove: cfr. HF 35-36 dum nimis saeua impero, / patrem probaui con HO 9-10 teque testata est meum / patrem nouerca.

- Qualunque mostro sia stato generato dalla terra (ostile), dal mare o dal cielo è stato annientato da Ercole: cfr. HF 30-33 Quae bella? quidquid horridum tellus creat /

inimica, quidquid pontus aut aer tulit / terribile dirum pestilens atrox ferum, / fractum atque domitum est con HO 28-29 quodcumque tellus genuit infesta occidit / meaque fusum est dextera e HO 14-15 certe remisit, omne concessit malum / quod terra genuit, pontus aer inferi.

- I mostri, uccisi ormai in gran numero, sono venuti a mancare: HF 40 monstra iam

desunt mihi; HO 30-31 si negat mundus feras, / animum nouerca e HO 52-54 iam uacuus aether non potest odio tuae / sufficere nuptae quasque deuincam feras / tellus timet concipere nec monstra inuenit.

- Ercole è stato negli Inferi, e non solo ne è ritornato, ma ha anche rapito il cane Cerbero: cfr. HF 49 parum est reuerti con HO 22 uidi silentum fata nec tantum redi. - Il Sole, impaurito, ha visto Cerbero: cfr. HF 60 uiso labantem Cerbero uidi diem

con HO 23-24 sed trepidus atrum Cerberum uidit dies / et ille solem.

- Tutto il mondo conosce ed esalta il valore di Ercole: cfr. HF 37-40 qua Sol reducens

quaque deponens diem / binos propinqua tinguit Aethiopas face, / indomita uirtus colitur et toto deus / narratur orbe con il più ampio sviluppo di HO 38-45 in tutum meas / laudes redegi, nulla me tellus silet: / me sensit ursae frigidum Scythicae genus / Indusque Phoebo subditus, cancro Libys; / te, clare Titan, testor: occurri tibi / quacumque fulges, nec meos lux prosequi / potuit triumphos, solis excessi uices / intraque nostras substitit metas dies (si noti, in entrambi i passi, la menzione del

Sole in relazione all'estensione spaziale delle imprese dell'eroe).

- Ercole è lieto di eseguire gli ordini, qualunque fatica è per lui lieve: HF 41-42

minorque labor est Herculi iussa exequi, / quam mihi iubere: laetus imperia excipit; HO 59-60 quidquid est iussum leue est, / nec ulla nobis segnis illuxit dies.

I numerosi punti di contatto inducono a postulare una nitida linea di continuità tra i prologhi delle due tragedie. È significativo, d'altra parte, che le analogie si pongano sul piano del contenuto – con la funzione di rappresentare il personaggio in modo coerente – e non tanto a livello verbale. Non si può certo parlare, a questo proposito, di tecnica centonatoria: gli spunti sono ripresi in modo coerente, vengono ben armonizzati al nuovo contesto e non si riscontra una ripresa verbale goffamente pedissequa, bensì un tentativo di rielaborare in forma nuova concetti analoghi.

Ulteriori corrispondenze fra i due drammi sono segnalate nel corso del commento: cfr. in particolare la nota al v. 11 (a proposito del motivo del timore degli dèi nei confronti di Ercole, che nell'Oetaeus si presenta, nelle sue ricorrenze, come uno sviluppo consapevole e meditato dell'analogo tema diffusamente presente nel Furens) e la nota ai vv. 65-66 (a proposito della rifunzionalizzazione in bocca ad Ercole del disappunto espresso da Giunone per il fatto che il cielo è stato popolato dai propri avversari, che per la dea sono le concubine di Giove, per l'eroe i mostri da lui uccisi).

C'è infine un'altra analogia tra le due tragedie: in entrambe la sventura di Ercole deriva dalla gelosia e dall'ira di una sposa tradita dal marito; anche Giunone, così come Deianira, assume il ruolo di domina gelosa della paelex (anzi, delle paelices) del marito. Nelle sue prime parole Giunone dichiara di essere nella stessa situazione in cui si troverà poi Deianira: abbandonata dal marito e costretta a lasciare il suo posto alle cuncubine: soror Tonantis (hoc enim solum mihi / nomen relictum est) semper alienum

Iouem / ac templa summi uidua deserui aetheris / locumque caelo pulsa paelicibus dedi

meis captiua germanos dabit / natis Iouisque fiet ex famula nurus?; 282 non ibo inulta;

287 capta praeripiet toros?)3. 1 ss.

La preghiera a Giove è strutturata nella forma canonica: invocazione, attribuiti del dio (con esaltazione della sua potenza), riferimento ai propri meriti nei confronti del dio, richiesta4. L'aspetto anomalo è dato dal fatto che i meriti di Ercole non sono di tipo cultuale5 e la loro rivendicazione è esposta con parole arroganti: l'eroe, in un certo senso, dichiara di essersi sostituito al dio, di aver assolto alla sua funzione di garante dell'ordine universale.

1 Sator deorum: l'invocazione a Giove come "padre degli dei" è tradizionale: cfr. Verg.

Aen. 1, 254 = 11, 725 hominum sator atque deorum; Cic. Tusc. 2, 21 caelestum sator;

Sen. Phae. 157 sator deorum; Phaedr. Fab. 3, 17, 10 deorum genitor atque hominum

sator; Stat. Theb. 1, 178-79 summe deorum / terrarumque sator. Come si evince dai

passi citati, Giove è più frequentemente invocato come "padre degli dei e degli uomini"; non è un caso che venga qui omesso il riferimento agli uomini: se Giove è padre di dei ed è padre di Ercole, allora Ercole deve essere un dio (cfr. WALDE 1992, p. 91). La

menzione dei soli dei è funzionale all'argomentazione dell'eroe.

1-2 cuius excussum manu | utraeque Phoebi sentiunt fulmen domus: anche il riferimento al fulmine e/o al tuono è tradizionale nelle invocazioni a Giove: cfr. in Seneca HF 516-18 pro numinum uis summa, pro caelestium / rector parensque, cuius

excussis tremunt / humana telis; Phae. 155 ss. quid ille, qui mundum quatit / uibrans corusca fulmen Aetnaeum manu, / sator deorum?; Ag. 382 ss. tuque ante omnis, pater ac rector / fulmine pollens, / cuius nutu simul extremi / tremuere poli, / generis nostri, Iuppiter, auctor; nella tragedia greca cfr. Aesch. Prom. 582 ss.; Eur. Med. 144 ss.; nella

tragedia latina arcaica cfr. Enn. Trag. 3-4 Jocelyn. In tutti i passi citati gli attributi del dio sono espressi per mezzo di una relativa, secondo uno degli usi più frequenti delle preghiere (cfr. NORDEN 1913, pp. 168 ss.).

2 utraeque Phoebi … domus: l'espressione indica il mondo intero: le "due case" di Febo sono l'Oriente e l'Occidente (come è chiarito in Stat. Theb. 1, 200 primaeque

occiduaeque domus; Silu. 1, 4, 73 occiduas primasque domos). Il nesso richiama HF

1060-62 feruide Titan: obitus pariter / tecum Alcides uidit et ortus / nouitque tuas

3 Per le corrispondenze tra il personaggio di Giunone nell'HF e il personaggio di Deianira nell'HO cfr. le

note di commento ai vv. 256 ss. e 267-268.

4 AVERNA 2002,p. 138 afferma che «è presente una sorta di ajprosdovkhton: di solito chi invoca un dio ne

chiede l'intervento; qui invece Ercole dice a Giove di regnare securus». In realtà, anche Ercole chiede un intervento di Giove, quello di accoglierlo in cielo (richiesta espressa a partire dal v. 7b); ai vv. 3-7a la richiesta non è stata ancora formulata e vengono esposti i meriti dell'orante nei confronti della divinità, secondo un modulo diffuso nelle preghiere.

5 Cfr., come esempio archetipico, la celebre preghiera di Crise ad Apollo in Il. I 37-42: jApovllwni

a[nakti, to;n hju?komo" tevke Lhtwv· / klu'qiv meu ajrgurovtox', o}" Cruvshn ajmfibevbhka" / Kivllavn te zaqevhn Tenevdoiov te i\fi ajnavssei", / Sminqeu' ei[ potev toi carivent' ejpi; nho;n e[reya, / h] eij dhv potev toi kata; pivona mhriv' e[kha / tauvrwn hjd' aijgw'n, to; dev moi krhvhnon ejevldwr· / tivseian Danaoi; ejma; davkrua soi'si bevlessin. Si trovano qui in successione le fasi della preghiera che si sono dette, e la parte relativa ai meriti concerne la sfera del culto.

utrasque domus, da cui è ripresa la particolarità dell'uso di uterque al plurale. Per tale

impiego di uterque in riferimento a due oggetti singolari cfr. OLD s.u. § 3; L.-H.-S., II, pp. 200-01; in questi contesti è dovuto all'uso del plurale poetico domus. Il precedente per entrambe le formulazioni è costituito da Ov. Her. 9, 16 Solis utramque domum (qui l'espressione è al singolare). Il 'modulo dell'utrum' in riferimento al Sole per indicare tutta la terra è comunque frequente: cfr. Verg. Aen. 7, 100-01 qua sol utrumque

recurrens / aspicit Oceanum; Ov. Fast. 2, 136 hoc duce Romanum est solis utrumque

latus (per altri esempi cfr. CASALI 1995, p. 57, n. ad Her. 9, 16).

2 sentiunt fulmen: cfr. v. 1804 si fulminantem et ipsa sensissem Iouem!

3 secure regna: come ha chiarito AXELSON 1967, p. 45, securĕ è vocativo, concordato

con sator deorum, in luogo del nominativo securus, in funzione predicativa del verbo

regna. In poesia è ben attestata l'attrazione del nominativo predicativo nel caso

vocativo: perfetto confronto è dato da Luc. 5, 584 medias perrumpe procellas / tutela

secure mea; cfr. anche Verg. Aen. 2, 283 quibus, Hector, ab oris / exspectate uenis;

Stat. Theb. 7, 777 uade…, non perpessure Creontis / imperia aut uetito nudus iaciture

sepulcro6. Quanti in precedenza lo intendevano come l'avverbio securē7, dal momento

che la thesis del secondo piede deve essere breve, erano costretti a postulare un abbreviamento della vocale, originariamente lunga (a questo proposito veniva portato a confronto il caso, in realtà non equiparabile, di Tro. 264 uincendŏ didici)8.

3 protuli pacem tibi: Ercole riprenderà lo stesso argomento nella seconda invocazione al padre Giove, mentre compie il sacrificio (all'interno del racconto di Illo, ai vv. 794 ss.

'pacata tellus' inquit 'et caelum et freta, / feris subactis omnibus uictor redi: / depone fulmen'), e nella terza preghiera, quando è sul rogo, anche qui in connessione alla

richiesta di essere accolto in cielo (nel resoconto di Filottete: vv. 1701 ss. si pace tellus

plena … spiritum admitte hunc, precor, / in astra). Il tema della pace, procurata da

Ercole agli uomini, è un Leitmotiv del dramma: si trova anche in bocca a Deianira (v. 283 totusque pacem debeat mundus tibi), ad Alcmena (vv. 1820-21 hic pax cruento rege

prostrato data est: / ubi enim negata est?) e al Coro, nel quarto canto corale (v. 1541 quis dabit pacem populo timenti) e nelle parole conclusive della tragedia (vv. 1989-90 sed tu, domitor magne ferarum / orbisque simul pacator, ades). Il motivo della pace è

presente, con formulazione molto simile alla nostra, anche in Ov. Her. 9, 13-15 respice

uindicibus pacatum uiribus orbem, / qua latam Nereus caeruleus ambit humum, passo

che è probabilmente qui riecheggiato, ed è ampiamente valorizzato da Seneca nell'Hercules Furens. Ai vv. 882 ss. il Coro si esprime in termini simili al passo dell'HO, sottolineando l'estensione spaziale della pace procurata da Ercole: pax est

Herculea manu / Auroram inter et Hesperum, / et qua sol medium tenens / umbras corporibus negat; / quodcumque alluitur solum / longo Tethyos ambitu, / Alcidae domuit labor. / Transuectus uada Tartari / pacatis redit inferis. / iam nullus superest timor. Il motivo torna per due volte in bocca ad Anfitrione: vv. 250-51 sensere terrae pacis auctorem suae / abesse terris e vv. 442-43 memoranda facta postque pacatum

6 Meno pertinente è il passo, citato da ZWIERLEIN 1986, p. 344, di Oed. 403 effusam redimite comam nutantem corymbo, apostrofe iniziale del Coro a Bacco, in quanto non si tratta di un nominativo attratto

nel caso vocativo.

7 Così è catalogato nell'Index verborum delle tragedie di Seneca, a cura di Oldfather – Pease – Canter. 8 Inutile e banalizzante è l'emendamento secura regna [scil. sunt] proposto da DAMSTÈ 1918, p. 281.

manu / quodcumque Titan ortus et labens uidet. Particolarmente interessante, poi, è la

preghiera che ai vv. 926 ss. dell'HF Ercole rivolge a Giove; ricorrono qui vari temi presenti nella preghiera del prologo dell'HO, ma formulati come un augurio o una richiesta, non come cose da lui compiute: la pace (HF 929 alta pax gentes alat), il motivo del fulmine scagliato da Giove (HF 932-33 nullus irato Ioue / exiliat ignis; HO 6-7); i tiranni crudeli (HF 936-7 non saeui ac truces / regnent tyranni; HO 5-6); infine, Ercole, dice che, se la Terra dovrà ancora partorire mostri, si affretti, perché lui possa sterminarli: cfr. HF 936-38 si quod etiamnum est scelus / latura tellus, properet, et si

quod parat / monstrum, meum sit con HO 34-36 Vel si times ne terra concipiat feras, / properet malum quodcumque, dum terra Herculem / habet uidetque.

4 quacumque Nereus porrigi terras uetat: corrisponde a Sen. HF 886-887 (cfr.

supra).

5 non est tonandum: l'azione del "tuonare" da parte di Giove è affine a quella del "fulminare": cfr. n. ai vv. 6-7.

5-6 perfidi reges iacent, | saeui tyranni: la caratteristica di 'uccisore di re e tiranni' ritorna più volte nella tragedia: Ercole stesso dice ai vv. 1295-1296 tot feras uici

horridas, / reges, tyrannos; Deianira, dopo aver appreso la sciagura, dichiara che,

avendo eliminato il vendicatore, ha esposto l'umanità a tyrannis regibus monstris feris (v. 878). Alcmena vi fa riferimento tre volte: ai vv. 1783-1784 ipotizza che non siano rimasti re crudeli (si quis tamen / rex est relictus saeuus); ai vv. 1814(?)9 e 1819-1820 lo dice in riferimento a Diomede, definito rex cruentus; ai vv. 1869-1871 invita a piangere Ercole le genti quarum saeuos ille tyrannos / iussit Stygias penetrare domos /

populisque madens ponere ferrum. Il Coro immagina addirittura che l'eroe continui il

suo operato anche nell'Oltretomba, come giudice (vv. 1558-1559 Aeacon iuxta

geminosque Cretas / facta discernes feriens tyrannos).

L'eroe è presentato come uccisore di tiranni anche nell'HF (cfr. le parole di Anfitrione ai vv. 271-272 qui scelera terra quique persequitur mari / ac saeua iusta

sceptra confringit manu); d'altra parte, nell'HF quest'opera di Ercole fa parte dell'azione

drammatica: l'usurpatore Lico è presentato come un crudele tiranno ed è definito da Ercole al v. 924 rex iniquus.

6 saeui: saeuuus in Seneca è l'epiteto caratterizzante del tiranno: cfr. HF 936-937 non

saeui ac truces / regnent tyranni; in Ag. 844-847 è riferito per enallage a stabulis, ma

semanticamente a tyrannus; ricorre ancora in HO 869 e in Oct. 87, 303, 609-610 (saeuit

… tyrannus); nelle opere in prosa di Seneca cfr. Dial. 5, 11, 3 cum sciam tyrannorum quoque tumida et fortuna et licentia ingenia familiarem sibi saeuitiam repressisse; Ep.

104, 27 in libertate bellis ac tyrannis saeuiore. La saeuitia come essenza propria del tiranno è ribadita in Clem. 1, 11, 4 – 12, 1 quid interest inter tyrannum ac regem

(species enim ipsa fortunae ac licentia par est), nisi quod tyranni in uoluptatem saeuiunt, reges non nisi ex causa ac necessitate? 'Quid ergo? non reges quoque occidere solent?' Sed quotiens id fieri publica utilitas persuadet; tyrannis saeuitia cordi est. Tyrannus autem a rege factis distat, non nomine. In questo passo Seneca distingue

tra rex e tyrannus; analoga contrapposizione è espressa efficacemente in Ag. 251 ss.

[scil. Agamemnon] rex Micenarum fuit / ueniet tyrannus: prospera amimos efferunt. Rimane tuttavia incerto se nell'HO si possa individuare una distinzione semantica tra i due termini: in HO 1784 saeuuus è infatti riferito a rex.

6-7 fregimus quidquid fuit | tibi fulminandum: l'eroe qui dichiara di essersi sostituito a Giove, prevenendo l'intervento divino di scagliare fulmini (lo stesso tema ritorna in bocca ad Ercole ai vv. 794-796, 849-851 e 1143-1144, al Coro ai vv. 1912-1914, ed è presente in HF 932-933). È interessante notare che la tragedia si chiude ad anello proprio su questo concetto. Nella preghiera del Coro ad Ercole, che costituisce l'epilogo del dramma, viene, in un certo senso, sancita la 'sostituzione' di Ercole a Giove, come protettore divino degli uomini, in quanto a lui è attribuita la prerogativa di Giove di scagliare i fulmini. Anzi, con il consueto modulo retorico del 'superamento', il Coro chiede all'eroe di scagliare i fulmini con più forza dello stesso genitore (vv. 1992-1996

et si qua nouo belua uultu / quatiet populos terrore graui, / tu fulminibus frange

trisulcis: / fortius ipso genitore tuo / fulmina mitte)10.

6 fregimus: il verbo frango diventa nell'HO quasi termine tecnico per indicare le imprese di Ercole11: cfr. vv. 20, 56, 1240, 1814, 1894, 1948, 1994. In particolare, si noti la rielaborazione del motivo nei versi finali della tragedia (sopra citati), che riprendono programmaticamente questi versi iniziali del prologo: la tragedia si apre e si chiude con l'immagine di Ercole che frangit i monstra in sostituzione del padre Giove.

7-8 sed mihi caelum, parens, | adhuc negatur?: in questa sezione Ercole si rivolge con insistenza a Giove, per chiedere di essere accolto in cielo, appellandolo come 'colui che l'ha generato': cfr., poco dopo, al v. 13 quid astra, genitor, quid negas? e al v. 31

redde nunc nato patrem.

8-9 parui certe Ioue | ubique dignus: parui sta per apparui e significa "sono sembrato ovunque (cioè in ogni mia impresa) degno di Giove" o meglio "mi sono dimostrato degno di Giove". L'uso di pareo al posto di appareo in entrambi questi significati si diffonde nel latino tardo; tuttavia l'impiego del simplex pro composito presenta alcune attestazioni in poesia, anche se in accezioni diverse da quella qui richiesta, ed è testimoniato da Servio: ad Aen 1, 118 APPARENT: aliud est 'parere' et aliud 'apparere'. 'parere' enim est oboedire, ut “paret amor dictis”, 'apparere' autem, uideri, ut “apparet liquido sublimis in aëre Nisus”. et haec obseruatio diligenter custodiri debet, licet eam auctores metri causa plerumque corrumpant. Per la discussione del problema

linguistico cfr. Introduzione § 1.4.5.

8-9 Ioue ... dignum: il nesso ricorre in HF 926-927 ipse concipiam preces / Ioue meque

dignas, ma anche, in modo più simile al nostro, in Ov. Her. 9, 22 tener in cunis iam Ioue dignus eras.

9-10 teque testata est meum | patrem nouerca: l'idea che Giunone, con il suo odio e le sue persecuzioni, dimostri che Ercole sia figlio di Giove, ricorre anche in HF 35-36

10 Il fulmine rappresenta l'insegna simbolica del potere: per l'interpretazione del motivo dell'HO nel senso

di trasmissione – pacifica – del comando dal padre al figlio cfr. PADUANO 2000, pp. 425 ss.

11 PARATORE 1955, p. 134 sottolinea l'importanza del verbo frangere come parola tematica nell'HO: «la

tragedia può essere denominata la tragedia del frangere» (ma cfr. in proposito le obiezioni di AXELSON 1967,p. 60).

dum nimis saeua impero / patrem probaui e 446-447 nondum liquet de patre? mentimur Iouem? / Iunonis odio crede.

10 quid tamen nectis moras?: l'espressione nectere moras si troua in Sen. De ira 3, 39, 3 moras nectet; Val. Fl. 3, 374-375 an sibi nectunt / corda moras?; Stat. Theb. 3, 495

hic necte moras; Tac. Ann. 12, 14, 1 nectere moras; Tac. Hist. 3, 52 necterent moras;

Mart. Sp. 29, 2 et uaria lentas necteret arte moras; Apul. Flor. 18 nectendis moris. Sembra che sia Seneca il primo a utilizzare questa iunctura.

11 numquid timemur?: Ercole formula possibili ragioni che potrebbero, a suo parere, ostacolare l'assunzione in cielo. In primo luogo si chiede se è forse temuto. Il motivo secondo cui gli dèi avrebbero paura della forza dell'eroe, qui formulato in modo generico, faceva la sua comparsa in forma più circostanziata nel prologo del Furens: ai vv. 64 ss. Giunone esprime il timore che Ercole aspiri al cielo (v. 64 caelo timendum

est) e avverte il pericolo che egli voglia conquistare il potere supremo, provocando

distruzione (vv. 67-68 iter ruina quaeret et uacuo uolet / regnare mundo). La causa della paura di Giunone è proprio il fatto che Ercole è superbo della sua forza (v. 68

robore experto tumet) e ha motivi per credere di poter conquistare il cielo: ha già vinto

il regno sotterraneo (vv. 64-65 regna ne summa occupet / qui uicit ima) ed è riuscito a sorreggere il firmamento (vv. 69-70 et posse caelum uiribus uinci suis / didicit

ferendo). Si noti, a conferma del legame fra i due drammi, che il tema della paura di

Giunone è a sua volta presente nell'Oetaeus come riflessione del Coro: cfr. HO 1597 an

uox est timidae nouercae / Hercule an uiso fugit astra Iuno? Naturalmente, il fatto che

il motivo del timore degli dèi, che nel Furens compariva in riferimento a Giunone, nel prologo dell'HO venga attribuito allo stesso Eracle rientra nell'intento di valorizzare, in questa fase incipitaria dell'azione drammatica, la componente 'hybristica' del personaggio. Resta tuttavia significativo che la formulazione dell'eroe si mantenga qui generica e assai concisa, quasi che l'Autore non intendesse spingere la rappresentazione dell'arroganza del suo personaggio oltre certi limiti.

Un ulteriore elemento di connessione fra il Furens e l'Oetaeus è da ravvisare, a mio parere, anche nella ripresa di questo motivo da parte di Ercole durante un accesso del suo male in entrambi i drammi. Dopo le catastrofiche previsioni di Giunone nel prologo, ai vv. 965 ss. l'Ercole del Furens minaccia effettivamente di dare la scalata al cielo,