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Tra Hercules Oetaeus e Hercules Furens si riscontra una serie molto nutrita di rimandi e allusioni, che sono segnalati nelle note ai singoli versi. Per lo più si tratta di riprese di tematiche affini, rifunzionalizzate nel contesto dell'HO. Si confronti, a titolo di esempio, la parte finale della sezione filosofica del II coro dell'HO (vv. 692-699) con la sezione conclusiva del I coro dell'HF (vv. 175 ss., in part. 192-201); entrambi i canti corali sono in anapesti e sviluppano un tema molto caro a Seneca e frequente nei cori tragici: re e potenti sono esposti al tradimento e ai rovesci della sorte, meglio una vita umile e sicura (per un'analisi dettagliata cfr. le note di commento ai vv. 675 ss.). Riprese di questo tipo sono però tratte da ciascuna delle tragedie di Seneca. Più interessante è invece il fatto che nei confronti dell'HF si instaura un particolare rapporto di 'dialogo' che va oltre la semplice ripresa testuale e/o tematica.

In primo luogo si riscontra nell'HO l'intento di sceneggiare gli eventi mitici predefiniti in modo da creare situazioni drammatiche simili a quelle dell'HF:

(a) nella prima parte della tragedia Ercole è rappresentato in veste eroica come vincitore: nell'HF ha appena concluso felicemente l'ardita impresa negli Inferi e sconfigge l'usurpatore Lico nel corso del dramma; nell'HO è di ritorno dalla conquista di Ecalia. In entrambe le tragedie Ercole pronuncia inizialmente discorsi di carattere trionfalistico: HF 592-615 e 895-918 (rispettivamente al primo ingresso in scena e dopo l'uccisione di Lico); HO 1-103. Alla fine dell'intervento Ercole dà ai servi le indicazioni per il sacrificio di ringraziamento a Giove per la vittoria riportata: cfr. in part. HF 908- 909 huc appellite / greges opimos con HO 101 uos pecus rapite ocius.

(b) l'attacco del male avviene in circostanze identiche, mentre Ercole sta officiando il sacrificio e sta pronunciando una preghiera a Giove. In entrambi i casi la manifestazione del dolore interrompe un verso della preghiera (HF 939; HO 796), anche se la resa drammatica è differente: nell'HF è rappresentata in scena, nell'HO è raccontata in una

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Si noti che le tre preghiere si collocano nei punti chiave della tragedia che riguarda Ercole: all'inizio, per definire i presupposti della vicenda, nel momento in cui Ercole è colto dal malum, e nella fase del riscatto finale, che corona i desideri espressi nel principio del dramma.

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Ci sono evidenti echi verbali tra questi versi e il prologo: i vv. 1698-1700 si meas laudes canit /

utrumque Phoebi litus et Scythhiae genus / et omnis ardens ora quam torret dies richiamano strettamente

i vv. 38-41 in tutum meas / laudes redegi, nulla me tellus silet: / me sensit ursae frigidum Scythicae genus

/ Indusque Phoebo subditus, cancro Libys; si confronti anche il v. 1701 si pace tellus plena con i vv. 3-4 protuli pacem tibi, / quacumque Nereus porrigi terras uetat, e si scelera desunt (v. 1703) con si negat mundus feras (v. 30).

rhesis da Illo. Comune è anche il tema della preghiera, la pace universale di terra, cielo

e mare. La corrispondenza della situazione è esplicitamente dichiarata nell'HO in riferimento alla paura dei servi presenti alla scena, che credono che Ercole sia nuovamente colpito dalla pazzia (vv. 806-807; su questo punto cfr. infra § 2.3.2). In effetti, la prima reazione dell'eroe è anche questa volta quella di uccidere un innocente, Lica.

(c) Nell'HO è inserito un personaggio assente nelle Trachinie di Sofocle, la madre Alcmena, che svolge la stessa funzione drammatica di Anfitrione nel Furens, confortare il figlio nel suo dolore.

(d) Una sequenza dell'HF che è riprodotta nell'HO è quella del sonno di Ercole sulla scena (HF 1042 ss.; HO 1402 ss.). Questo elemento, già presente nelle Trachinie di Sofocle (vv. 974 ss.), nell'HO è rielaborato in modo da costituire un perfetto parallelismo con il passo del Furens: in entrambi i casi il genitore (il padre Anfitrione nell'HF, la madre Alcmena nell'HO) ordina ai servi di portare via le armi all'eroe (anche su questo punto cfr. infra § 2.3.2).

Sulla base di queste analogie strutturali manifeste, non si può dubitare che l'HO sia stato concepito come consapevole ed esplicita riscrittura dell'HF. Una riscrittura che però, partendo da una situazione iniziale e da una metabolé tragica affine, porta a un esito finale – e di conseguenza a un messaggio dell'autore – del tutto opposto. Esaminiamo la questione più nel dettaglio.

Un'analogia concettuale di fondo tra le due tragedie è costituita dal fatto che il male che assale Ercole è concepito come un'ulteriore prova che egli deve affrontare, in aggiunta alle precedenti, dalle quali si differenzia in modo netto. In entrambi i casi, secondo il procedimento dell'ironia tragica, è l'eroe stesso che sollecita una nuova impresa per affermare il proprio valore. Nell'HF Ercole dichiara spavaldamente che, dopo l'esperienza negli Inferi da cui è tornato vivo, non resta altra impresa superiore da compiere ed esorta Giunone a sottoporlo a nuove prove (vv. 612-615 morte contempta

redi: / quid restat aliud? uidi et ostendi inferos: / da si quid ultra est, iam diu pateris manus / cessare nostras, Iuno: quae uinci iubes?). L'eroe non sa che Giunone ha già

pensato a questo e l'ha dichiarato nel prologo: vv. 84-85 sed uicit ista. quaeris Alcidae

parem? / nemo est nisi ipse: bella iam secum gerat. Per colmo di ironia Ercole è colto

dalla pazzia proprio mentre si sta offrendo di uccidere nuovi mostri (vv. 937-939 si

quod etiamnum est scelus / latura tellus, properet, et si quod parat / monstrum, meum sit), ma, ripresa coscienza dopo l'attacco di follia, deve riconoscere di essere lui stesso

un mostro (vv. 1279-1281 iamdudum mihi / monstrum impium saeuumque et immite ac

ferum / oberrat). Nell'HO il motivo è sviluppato in modo più articolato: Ercole nella

preghiera a Giove del prologo chiede esplicitamente di affrontare nuove imprese per dimostrare di essere degno di diventare un dio e la sua richiesta viene effettivamente esaudita, anche se non nel modo da lui atteso. Il procedimento dell'ironia tragica, inoltre, è applicato a frasi pronunciate sia da Ercole che da Deianira: cfr. Introduzione § 1.6 e le note ai vv. 55-56 e 258-262.

Il nuovo mostro che Ercole deve affrontare è se stesso in preda a un morbo che in una prima fase lo domina talmente da renderlo incapace di controllarsi e da indurlo quindi a compiere azioni indegne di lui (l'omicidio di moglie e figli nell'HF, di Lica nell'HO). Successivamente però riacquista il dominio di sé: nell'HF quando riprende coscienza, nell'HO quando riconosce negli eventi occorsigli la sua fine predestinata, secondo quanto gli aveva predetto un oracolo (vv. 1472 ss.). È a questo punto che si

colloca una netta cesura nei fondamenti concettuali tra Furens e Oetaeus. Nel primo caso l'eroe deve subire passivamente i colpi della sorte avversa. Nonostante il messaggio complessivo dell'HF sia oggetto di costante dibattito tra gli studiosi, credo che il significato del finale dell'HF sia fondamentalmente pessimistico e di disperata rassegnazione261. Non esiste alcuna Provvidenza: nessuno, nemmeno un semidio benefattore dell'umanità, è immune da sventura e dolore (anzi la grandezza è più facilmente esposta alla caduta e ai colpi del destino, come argomenta il primo coro); il

summus labor di un eroe come Ercole coincide alla fine con quello di ogni uomo

comune: è l'affrontare la vita con i suoi dolori, portandosi dentro il rimorso e il senso di colpa per le azioni compiute. Viene affermato il principio della uirtus, necessaria per sopportare la vita, ma non viene lasciato spazio ad alcun trionfalismo. Nell'HO accade l'esatto opposto: il riconoscimento di un disegno divino in quanto gli è accaduto consente a Ercole di accettare il proprio destino di morte e di affrontare in modo grandioso e trionfale il momento del trapasso. Esiste una Provvidenza divina che premia i meritevoli e dunque Ercole è ricompensato con la divinizzazione. Al contrario di quello dell'HF, il finale dell'HO appare assolutamente positivo e aproblematico262.

Oltre alle strutture generali, l'HO stabilisce una relazione di dialogo con l'HF per quanto riguarda sezioni ben definite della tragedia: cfr. in part. l'analisi del rapporto tra il prologo dell'HO e il prologo dell'HF, che rivela l'intento di stabilire una continuità con il modello per quanto riguarda la caratterizzazione di Ercole, svolta in Commento § 1.2. Un altro esempio interessante è il seguente.

§ 2.3.1. RAPPORTO DI PARALLELISMO/CONTRAPPOSIZIONE TRA IL IV CORO DELL'HERCULES OETAEUS E IL III CORO DELL'HERCULES FURENS

Il IV coro dell'HO è in endecasillabi saffici con adonio finale263, ed è costituito dal canto funebre per Ercole. Le maggiori analogie contenutistiche si riscontrano con il IV coro dell'HF, collocato dopo la strage della moglie e dei figli compiuta da Ercole e costituito dal lamento funebre per i figli di Ercole. Sono propri del lamento funebre i riferimenti alle manifestazioni esteriori del lutto, a partire dall'iniziale lugeat (v. 1054), sviluppati più diffusamente ai vv. 1100 ss.: si confrontino HO 1545-1547 planctus

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Giustamente FITCH 1979, p. 241, confutando la teoria di chi vede nel finale dell'HF una svolta positiva e nel comportamento di Ercole l'idealizzazione del sapiens stoico, osserva: «One must point out at once that any such strongly positive ending would be most untypical of Senecan tragedy; in none of the genuine Senecan dramas is there any sense of healing or resolution of the tragedy. On the contrary, all the other plays end on a note of unremitting conflict and bitterniess». Per quanto riguarda il significato complessivo dell'HF, però, mi trovo in accordo con l'interpretazione di TIMPANARO 1981, pp. 122-124, che intende anch'egli il finale in chiave pessimistica, ma non condivide le posizioni colpevoliste in relazione alla follia di Ercole.

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Il modo in cui l'HO è stato concepito in rapporto all'HF, il fatto cioè che sia costruito sulla falsariga dell'HF, con evidenti – e volutamente riconoscibili – corrispondenze, ma sia portatore di un messaggio opposto su un piano fondamentale quale quello della Provvidenza divina, mi sembra che parli nettamente in favore dell'attribuzione di quest'opera a un imitatore di Seneca.

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Nella forma metrica corrisponde al III coro del Thyestes. Nei cori senecani in endecasillabi saffici l'adonio è impiegato in modi differenti: il III coro della Medea presenta strofe di varia lunghezza terminanti con l'adonio; il III e il IV coro delle Troades e il I dell'Oedipus hanno adonii disposti irregolarmente all'interno, ma non alla fine; il I e il IV coro della Phaedra e il III dell'HF non hanno affatto adonii.

immensas resonet per urbes / et comas nullo cohibente nodo / femina exertos feriat lacertos. Il canto è inoltre formulato come una pomphv del defunto (o morituro)

nell'Oltretomba; nell'HF la pomphv è rivolta ai figli di Ercole, nell'HO all'eroe stesso. In entrambi i casi si fa riferimento alla loro discesa negli Inferi: HF 1131-1137 ite ad

Stygios, umbrae, portus, / ite, innocuae, / quas in primo limine uitae / scelus oppressit patriusque furor: / ite, iratos uisite reges; HO 1525-1527 dic ad aeternos properare manes / Herculem et regnum canis inquieti, / unde non umquam remeabit ille; 1550 ss. uadis ad Lethen Stygiumque litus, / unde te nullae referent carinae; / uadis ad manes miserandus, eqs. In comune c'è inoltre l'invocazione iniziale al Sole, con l'invito a

partecipare al lutto e con il riferimento ai viaggi di Ercole, estesi quanto lo spaziare del Sole: cfr. HF 1057-1062 tuque … feruide Titan: / obitus pariter tecum Alcides / uidit et

ortus / nouitque tuas utrasque domos con HO 1519 o decus mundi, radiate Titan e 531-

532 quando, pro Titan, ubi, quo sub axe / Herculem in terris alium sequeris?; l'invito a partecipare al lutto nell'HO è espresso ai vv. 1528-1530.

I due canti corali si differenziano però per la scelta del metro. Il IV coro dell'HF è infatti in anapesti, il metro più consono al lamento funebre264. Si possono formulare ipotesi sul perché l'Autore dell'HO abbia evitato qui l'anapesto: la risposta più semplice è per variazione rispetto alla successiva monodia in anapesti di Alcmena, anch'essa costituita da un lamento funebre per Ercole265. Ma perché proprio gli endecasillabi saffici266? Una mia ipotesi è che l'Autore dell'HO abbia scelto questo metro per creare una sorta di parallelismo/contrapposizione con il III canto corale dell'HF (del quale i vv. 830-874 sono endecasillabi saffici, i vv. 875-894 gliconei). In questo stasimo il coro esalta l'impresa di Ercole negli Inferi. La parte veramente 'festosa' è solo quella finale in gliconei (a partire dal v. 875 Thebis laeta dies adest). Il corpo centrale del canticum è

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Ne sono esempi il canto commatico intonato da Ecuba e dal coro in Tro. 67 ss. In genere nelle tragedie di Seneca sono in anapesti i cori collocati dopo la katastrophé che commentano le sciagure luttuose avvenute ai personaggi: cfr. il IV coro del Thyestes; il V dell'Oedipus (dopo la rivelazione dell'incesto). In molte tragedie di Seneca (Medea, Phaedra, Agamemnon, lo stesso Oedipus) l'evento luttuoso avviene nell'ultimo atto e non c'è pertanto un canto corale che lo commenti.

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Nel Thyestes in verità sono in anapesti sia il IV stasimo (vv. 789-884), in cui il coro, informato dal Nunzio, esprime l'orrore per il delitto, sia la di poco successiva monodia di Tieste (vv. 920-969); ma in questo caso le tematiche e lo spirito dei due canti sono del tutto opposti: sgomento il primo, lieto il secondo (Tieste mentre si sta cibando, ignaro, dei suoi figli intona un allegro canto conviviale). L'accostamento di due canti così diversi nello stesso metro è senza dubbio frutto di una scelta stilistica.

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È difficile stabilire una correlazione tra la scelta di questo metro e il contenuto del canto corale nelle tragedie di Seneca, nonostante il tentativo di BISHOP 1968, p. 204, che osserva: «the underlying unity seems to be the idea of an external power, a power outside men and their own wills, which brings pressure, events, changes of one kind or another to bear on man, the dramatis personae, the situation». Ma quale canto corale di Seneca non presenta, più o meno esplicito, questo elemento? Ecco alcuni esempi dell'impiego dei metri saffici nelle tragedie di Seneca: nella Phaedra sono utilizzati nell'inno ad Amore (vv. 274-324), nell'esaltazione della bellezza di Ippolito (vv. 736-752) e nella disperata invocazione a Pallade (vv. 1149-1153); in Thy. 546-622 il coro esulta per la riconciliazione tra i due fratelli; in Med. 579-669 il coro passa in rassegna i destini sventurati degli Argonauti; il III e il IV coro delle Troades hanno un contenuto mesto ma rassegnato. Fra i cori senecani in questo metro il più vicino al nostro come tematica è il I coro dell'Oedipus, che, trattando gli effetti della peste, è tutto dominato dal tema della morte: cfr. i vv. 110 ss. occidis, Cadmi generosa proles, / urbe cum tota; uiduas colonis / respicis terras,

miseranda Thebe. / carpitur leto, eqs.; vv. 124-130 stirpis inuictae genus interimus, / labimur saeuo rapiente fato; / ducitur semper noua pompa Morti: / longus ad manes properatur ordo / agminis maesti, seriesque tristis / haeret et turbae tumulos petenti / non satis septem patuere portae. Ma non è un caso

che il canto corale sia parte in metri saffici (vv. 110-153) parte in anapesti (vv. 154-201). Per un'analisi della composizione e delle tematiche del primo coro dell'Oedipus cfr. LEFÈVRE 1980, pp. 293-304.

costituito da una riflessione sulla morte: tutti gli uomini dovranno scendere nell'Oltretomba, ma non ne faranno più ritorno (vv. 865-866 nemo ad id sero uenit,

unde numquam, / cum semel uenit, poterit reuerti). Al contrario Ercole transuectus uada Tartari / pacatis redit inferis (vv. 889-890). Il cambiamento di metro segna un brusco

passaggio di tema e di atmosfera: la sezione in endecasillabi saffici, infatti, parla della condizione dell'uomo comune, mentre quella in gliconei celebra l'eccezionalità di Ercole. Il coro dell'HO invece constata che anche Ercole deve soggiacere, come ogni altro essere umano, al destino di morte: vv. 1543-1544 iacet omnibus par, / quem parem

tellus genuit Tonanti. Pertanto anch'egli questa volta non farà più ritorno: vv. 1525-1527 dic ad aeternos properare manes / Herculem et regnum canis inquieti, / unde non umquam remeabit ille; vv. 1550 ss. uadis ad Lethen Stygiumque litus, / unde te nullae referent carinae; / uadis ad manes miserandus, eqs. Un'altra ripresa per

contrapposizione: il coro dell'HF esulta perché Ercole ha pacificato e reso sicuro tutto il mondo (HF 882-888 pax est Herculea manu / Auroram inter et Hesperum, / et qua sol

medium tenens / umbras corporibus negat; / quodcumque alluitur solum / longo Tethyos ambitu, / Alcidae domuit labor); il coro dell'HO è invece preoccupato perché è venuto a

mancare il difensore del genere umano (cfr. in part. il v. 1541 quis dabit pacem populo

timenti, eqs.?; il tema è sviluppato ampiamente ai vv. 1533-1543 e 1587-1594).

L'Autore dell'HO ha dunque concepito il IV coro come pendant del III coro dell'HF. Poiché la sorte di Ercole sembra dapprima identica a quella di ogni altro essere umano, sceglie come metro l'endecasillabo saffico, in modo corrispondente alla sezione dei vv. 830-874 dell'HF. Tuttavia, anche nel canticum dell'HO, pur senza cambiamento di metro, è mantenuta la divisione in parte triste/parte lieta: fino al v. 1556 infatti il destino di Ercole è equiparato a quello degli altri uomini; ai vv. 1557-1563 si prospetta una sua distinzione tra le ombre e un suo affiancamento ai giudici infernali (per cui continuerà nell'Oltretomba la sua opera di punizione dei tiranni); ma al v. 1564 (sed locum uirtus

habet inter astra) c'è un brusco salto logico: il coro è ora convinto che Ercole verrà

assunto in cielo e passa direttamente a interrogarsi su quale posto occuperà. Senza essere mai gioioso (e non a caso continua il metro saffico), anche il canto dell'HO presenta una virata verso una maggiore positività, come accade, in modo più marcato, nel coro dell'HF.

§ 2.3.2. L'HERCULES FURENS COSTITUISCE IL 'PASSATO LETTERARIO' DELL'HERCULES OETAEUS

Come è naturale, nell'HO si allude più volte agli eventi che appartengono al segmento mitico narrato nell'HF: vari personaggi fanno riferimento all'uccisione di Megara e dei figli da parte di Ercole in stato di follia (Deianira ai vv. 428-434, la Nutrice ai vv. 903- 908, lo stesso Ercole ai vv. 1452-1455). Ma in alcuni passi dell'HO si riscontra un procedimento allusivo particolare: non solo si presuppongono fatti narrati nell'HF, ma li si presuppone nei termini con cui lì sono trattati. È cioè necessario richiamare alla mente uno specifico passo dell'HF per capire alcune affermazioni dell'HO. In questo senso si può dire che l'HF costituisce il 'passato letterario' dell'HO. Il concetto sarà più chiaro se illustrato nel concreto tramite alcuni esempi:

- Deianira, nella fase del II atto in cui medita di uccidere Ercole per gelosia, si rapporta a Giunone con un atteggiamento di emulazione (cfr. n. ai vv. 256 ss.).

In particolare ai vv. 267-268 (quid excutis telluris extremae sinus / orbemque

uersas? quid rogas Ditem mala?) Deianira si pone in dialogo con le parole

pronunciate da Giunone in due passi specifici del prologo dell'HF, nei quali la dea pensa dapprima di cercare nuovi mostri sulla terra (vv. 79-83), ma, scartata questa possibilità, decide di evocare le potenze infernali (vv. 86 ss.): cfr. in part. i vv. 95-99 educam et imo Ditis e regno extraham / quidquid relictum est: ueniet

inuisum Scelus / suumque lambens sanguinem Impietas ferox / Errorque et in se semper armatus Furor – / hoc hoc ministro noster utatur dolor. Alla fine la dea

decide di servirsi del Furor (ovvero delle Furie: cfr. v. 100 famulae Ditis), evocato dagli Inferi, per far impazzire Ercole. Deianira afferma che è inutile chiedere questi mala a Dite, in quanto li possiede in se stessa, essendo furens: l'esortazione utere furente di HO 273 si pone dunque in continuità con HF 98- 99.

- La reazione delle persone che assistono al sacrificio a Giove sul capo Ceneo, nel vedere l'accesso di dolore che affligge Ercole, è quella di pensare a una riproposizione della scena del Furens, in cui Ercole era stato colpito da follia omicida proprio mentre stava compiendo un sacrificio a Giove: vv. 805-806

uulgus antiquam putat / rabiem redisse; tunc fugam famuli petunt. Il rapporto

allusivo nei confronti del Furens è ancora più evidente nella battuta di Alcmena ai vv. 1401 ss.: la donna esprime il timore, del tutto immotivato nel contesto, che Ercole, in stato confusionale, la uccida. Anche Alcmena pensa che l'attuale stato di sofferenza del figlio sia dovuto al ripresentarsi dello stesso male che l'aveva