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Tra HO e Octauia esistono vari elementi di corrispondenza – relativamente sia a singoli moduli espressivi che a motivi tematici – già da tempo registrati dalla critica215. Mentre la posizione più diffusa è di dare la priorità all'HO216, Zwierlein217 capovolge il rapporto cronologico, sulla base dell'esame di alcuni paralleli che dimostrerebbero secondo lo studioso la dipendenza dell'autore dell'HO dal testo dell'Octauia.

Prima ancora di affrontare un riesame dei singoli passi, sembra opportuno richiamare, su un piano più propriamente metodologico, il carattere incerto e difficilmente decisivo di simili analisi di cronologia comparata. Stabilire la cronologia relativa di due opere solo sulla base delle riprese intertestuali è possibile solo se nella presunta ripresa si riescono a individuare evidenti incoerenze riconducibili a inconsapevole suggestione del modello, con persistenza di temi che nel nuovo contesto non appaiono più giustificati218: ma questo non è, di fatto, il caso dei passi analizzati da Zwierlein. Per di più, nei passi da lui presi in esame alcuni dei motivi comuni alle due tragedie sono riprese di topoi convenzionali, per cui un rapporto di diretta dipendenza è difficilmente determinabile. Fatte queste premesse, esaminiamo ora i paralleli sui quali Zwierlein costruisce la sua tesi.

(1) HO 339 (Deianira) meo iugales sanguine extinguam faces.

Oct. 262-264 (Ottavia) illo<s> soluta crine, succincta anguibus

ultrix Erinys uenit ad Stygios toros

raptasque thalamis sanguine extinxit faces

215

Cfr. già LADEK 1891, pp. 52 ss. e NORDMEYER 1893, pp. 286 ss.; per un'efficace messa a punto della questione cfr. FERRI 2003, pp. 53-54.

216

Così Ladek, Nordmeyer e Ferri nei lavori sopra citati.

217

ZWIERLEIN 1986,pp. 320 ss.

218

Un esempio di fortunata applicazione di questo criterio è data dalla sicura dimostrazione, compiuta da Wilamowitz, del rapporto cronologico intercorrente fra il XIII idillio di Teocrito e l'episodio di Ila nel II libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio: la priorità di Apollonio Rodio è stata dimostrata sulla base di alcune incoerenze presenti nella fabula teocritea, conservate per suggestione del modello ma di fatto ingiustificate nel nuovo contesto in cui si trovano inserite (si tratta, in particolare, dell'accurata descrizione della preparazione del giaciglio per la notte da parte degli Argonauti, giustificata nel racconto di Apollonio Rodio dove gli eroi effettivamente pernottano, ma ingiustificata nella rielaborazione teocritea, in cui gli eroi ripartono a mezzanotte; cfr. in proposito WILAMOWITZ-MOELLENDORFF 1906, pp. 177 ss.; SERRAO 1971, pp. 109 ss.). La difficoltà di questo genere di indagini è dimostrata, per esempio, dal dibattutissimo problema della cronologia relativa dell'Elettra di Sofocle e dell'Elettra di Euripide: benché uno dei due tragediografi attici abbia avuto sicuramente presente l'altro, non si è ancora riusciti a stabilire a chi vada la priorità, in quanto argomenti antitetici sono stati con pari credibilità sostenuti e confutati. Come osserva BASTA DONZELLI 1978, pp. 19-20, «anche se appare legittimo il procedimento che, dall'analisi di determinati e cronologicamente accertati morfemi strutturali, tenta di ricavare utili indicazioni per ciò che attiene allo sviluppo storico-formale, più rischioso appare il procedimento inverso, di dedurre cioè indicazioni di cronologia relativa da supposte evoluzioni morfologiche: qui il momento subiettivo dell'interpretazione può giocare un ruolo determinante e insconsciamente falsificatorio».

Secondo Zwierlein «nicht nur das Motiv der Erinye, welche die Hochzeitsfackel trägt (oder löscht), hat seinem ursprünglichen Sitz in der Octavia, sondern auch die Junktur

sanguine extinguere»219

.

Il contesto del passo dell'HO è il seguente: Deianira non intende sopportare un ripudio, piuttosto preferisce morire (vv. 332-335 moriar Herculis nempe incluti /

coniunx nec ullus nocte discussa dies / uiduam notabit nec meos paelex toros / captiua capiet), ma prima vuole vendicarsi uccidendo la rivale. Si propone quindi di assalire la paelex nel giorno delle sue nozze con Ercole, e immagina di essere uccisa da lui sul

corpo esanime di Iole: vv. 345-350 ire, ire ad umbras Herculis nuptam libet, / sed non

inultam: si quid ex nostro Hercule / concepit Iole, manibus euellam meis / ante et per ipsas paelicem inuadam faces. / me nuptiali uictimam feriat die / infestus, Iolen dum supra exanimem ruam: / felix iacet quicumque quos odit premit. Con l'espressione del v.

339 Deianira intende dire che "spegnerà le fiaccole nuziali" in quanto impedirà lo svolgersi del matrimonio, e lo farà con il proprio sangue, in quanto, dopo la vendetta, sarà anche lei uccisa. Si noti una particolarità di questo passo: Deianira, pur rappresentando se stessa secondo la topica immagine dell'Erinni pronuba alle nozze funeste, non esplicita mai il paragone: non compare infatti il termine Erinys (o simili), come invece di norma avviene in tutti i passi che contengono questo tema (cfr. infra). Probabilmente per la topicità del motivo l'Autore non ha sentito l'esigenza di chiarire l'immagine sottesa.

Il tema dell'Erinni presente alle nozze costituisce un Leitmotiv dell'Octauia, in quanto la vicenda, con i suoi antefatti, presenta una serie di matrimoni funesti: ai vv. 262-264 Ottavia si riferisce alle nozze della madre Messalina, già sposata con Claudio, con Silio, in seguito alle quali fu uccisa; ai vv. 23-24 illa, illa meis tristis Erinys /

thalamis Stygios praetulit ignes Ottavia si riferisce alle proprie nozze con Nerone

(nell'immagine dell'Erinni si cela Agrippina); ai vv. 593-595 tellure rupta Tartaro

gressum extuli, / Stygiam cruenta praeferens dextra facem / thalamis scelestis: nubat his flammis meo / Poppaea nato iuncta lo spettro di Agrippina si presenta come Erinni

pronuba alle nozze di Poppea e Nerone; ai vv. 722-723 sparsam cruore coniugis

genetrix mei / uultu minaci saeua quatiebat facem Poppea riferisce di aver visto in

sogno Agrippina in veste di Erinni. Ma nessuno di questi passi presenta una situazione paragonabile a quella dell'HO.

L'immagine dell'Erinni che porta le fiaccole al rito nuziale220, come presagio funesto per l'unione che viene celebrata, è topica già nella letteratura greca221 ed è ripresa dai poeti latini. Il motivo ricorre ripetutamente in Ovidio, sia nelle Metamorfosi222 che nelle

219

ZWIERLEIN 1986, p.321.

220

L'Erinni porta le fiaccole al posto di Imeneo e di Giunone pronuba, gli dei protettori del matrimonio.

221

L'immagine deriva dall'analogia rito nuziale/rito funebre: cfr. per es. Eur. Tro. 319 ss. dove la fiaccola nuziale di Imeneo che Cassandra regge in mano finisce per confondersi con la face funebre di Ecate: ejgw; d ' ejpi; gavmoi" ejmoi'" ajnaflevgw puro;" fw'" ej" aujgavn, ej" ai[glan, didou's ' , w\ JYmevnaie, soiv, didou's ' , w\ JEkavta, favo" (cfr. in proposito lo scolio ad loc.: th;n JEkavthn parevmixe dia; to; met' ojlivgon ajpoqnhv/skein: cqoniva ga;r hJ qeov", e la nota di Lee 1976, p. 130). Il motivo è diffuso anche negli epigrammi funerari relativi a morti premature di donne: cfr. Anth. Pal. 7, 712, 5-8 (Erinna) wJ" ta;n pai'sd ' , uJmevnaio" ejf ' ai|" ajeivdeto peuvkai", / tai'sd ' ejpi; kadesta;" e[flege purkaia'/: / kai; su; mevn, w\ JYmevnaie, gavmwn molpai'on ajoida;n / ej" qrhvnwn goerovn fqevgma meqarmovsao, con la nota di Gow-Page ad loc. Per considerazioni generali sulla tematica, cfr. ANDÒ 1987, pp. 57-65.

222

Cfr. per es. Met. 6, 428 ss. non pronuba Iuno, / non Hymenaeus adest, non illi Gratia lecto; /

Eumenides tenuere faces de funere raptas, in riferimento al matrimonio di Tereo e Procne; 10, 313-314 stipite te Stygio tumidisque adflauit echidnis / e tribus una soror, in riferimento a Mirra.

Eroidi, come lamento delle donne abbandonate223

. L'immagine ricorre anche nelle tragedie di Seneca: in Oed. 644 et mecum Erinyn pronubam thalami traham (parla lo sprettro di Laio, all'interno del racconto di Creonte, in riferimento alle nozze tra Edipo e Giocasta) e nelle parole di Medea nel prologo dell'omonima tragedia. È proprio la situazione della Medea quella più simile al contesto del passo dell'HO. Medea, così come Deianira, moglie ripudiata, medita di attuare la vendetta contro la rivale, che il marito sta per sposare, proprio nel giorno delle nozze. Ai vv. 13 ss. chiama in aiuto le Erinni, ricordando che esse furono presenti al suo funesto matrimonio, e le esorta a recarsi anche alle nuove nozze di Giasone, a portar morte alla sposa: nunc, nunc adeste

sceleris ultrices deae … adeste, thalamis horridae quondam meis / quales stetistis: coniugi letum nouae / letumque socero et regiae stirpi date (vv. 13-18).

Successivamente, alcuni versi dopo, identifica se stessa con l'Erinni pronuba che si reca alle nozze per uccidere: vv. 37-39 hoc restat unum, pronubam thalamo feram / ut ipsa

pinum postque sacrificas preces / caedam dicatis uictimas altaribus. La situazione è del

tutto identica a quella prospettata da Deianira. L'Autore dell'HO ha dunque la Medea di Seneca come modello per l'applicazione contestuale del motivo topico; per la formulazione dello stesso, dato il gran numero di precedenti, non è affatto necessario postulare l'intermediario dell'Octauia.

Per quanto riguarda la corrispondenza verbale tra i passi dell'HO e dell'Oct., Zwierlein afferma che l'espressione sanguine extinguere «avrebbe il suo posto originario nell'Octauia» per il fatto che ricorre ancora al v. 608 sanguine extinxi meo; 822-823 non cruor ciuilis accensam faces / extinguit in nos; 830 iramque nostram

sanguine extinguat suo. Ma il criterio per cui la priorità andrebbe al testo in cui un dato

motivo ricorre ripetuto rispetto all'altro testo in cui l'attestazione del motivo è isolata non appare di per sé probante. E comunque il nesso sanguine extinguere ha attestazioni anteriori: Ov. Met. 1, 201 sanguine Caesareo Romanum exstinguere nomen; Sen. Thy. 742 aras sanguine extinguens suo; in prosa in Petr. 139, 4 numquam finies hoc ignem,

nisi sanguine extinxeris; Sen. Rhet. Controu. 2, 5, 6 extincti sanguine refouebantur

ignes. L'Autore dell'HO lo trovava nei suoi modelli più cari, Seneca e Ovidio. È inoltre

interessante notare, senza postulare rapporti cronologici, che l'immagine del sanguine

extinguere il fuoco (nel passo di Petronio è metaforica) ricorre in Sil. Pun. 4, 411 Vestalis focos extingui sanguine cerno.

(2) L'argomento a cui Zwierlein224 dedica maggior spazio per la dimostrazione della priorità dell'Octauia è rappresentato dal confronto fra il lamento di Iole in HO 185 ss. e il lamento di Ottavia in Oct. 914 ss. Un argomento che lo studioso adduce è il fatto che, mentre nell'Oct. c'è un solo exemplum, quello dell'usignolo, nell'HO ce ne sono molti (fra cui anche quello dell'usignolo). Ciò significa che l'Autore ha utilizzato tutti i suoi predecessori (Ovidio, Seneca Agam. 667 ss. e l'Oct.) per poter organizzare una serie il più possibile ricca di exempla. Con tale constatazione non mi sembra che si possa

223

Cfr. Her. 2, 117-120 pronuba Tisiphone thalamis ululauit in illis, / et cecinit maestum deuia carmen

auis; / adfuit Allecto breuibus torquata colubris, / suntque sepulcrali lumina mota face! (cfr. la nota di

BARCHIESI 1992, ad loc.); 7, 96 Eumenides fati signa dedere mei (Didone). Particolarmente vicina alla formulazione di Oct. 23 ss. appare Her. 6, 45-46 at mihi nec Iuno, nec Hymen, sed tristis Erinys /

praetulit infaustas sanguinolenta faces. 224

dimostrare nulla: nel catalogo dell'HO tutte le figure mitiche citate sono paradigmi topici dei contesti trenodici e consolatori, già presenti nella tragedia greca (cfr. i paralleli riportati nelle note ai singoli versi); l'Autore dell'Octauia (che in generale scrive con maggior concisione rispetto a quello dell'HO) sceglie solo l'exemplum dell'usignolo, presente già Aesch. Agam. 1146 ss. nonché in Sen. Agam. 667 ss. L'Autore dell'HO non aveva alcun bisogno dell'Octauia per elaborare questa immagine225.

Le corrispondenze testuali più puntuali si trovano nei seguenti passi: HO 201-206

cur mea nondum capiunt uolucres bracchia plumas? felix, felix, cum silua domus nostra feretur

patrioque sedens ales in agro

referam querulo murmure casus 205 uolucremque Iolen fama loquetur.

Oct. 914 ss.

Quis mea digne deflere potest mala? quae lacrimis nostris questus reddere aedon?

cuius pennas utinam miserae mihi fata darent! fugerem luctus ablata meos penna uolucri procul et coetus

hominum tristes caedemque feram. 920 sola in uacuo nemore et tenui

ramo pendens querulo possem gutture maestum fundere murmur.

Secondo Zwierlein nell'Oct. il riferimento alla penna uolucri è coerente e motivato, in quanto si parla contestualmente del suo desiderio di volare via dalla sue sciagure e dalla trista società umana, mentre nell'HO il motivo delle uolucres plumas non è giustificato e dunque ha perso di senso: «Das Attribut ist also eine pure Reminiszenz an die Octavia- Stelle, hat im neuen Zusammenhang seinen Sinn verloren und erweist so seinen sekundären Charakter»226. Ma tale obiezione è infondata: il motivo dello spostamento è presupposto dalle parole di Iole fin dall'inizio del catalogo di exempla mitici (v. 187 in

Eridani ponite siluis; v. 189 Siculis addite saxis; v. 191 in Edonas tollite siluas), e ai vv.

201 ss. Iole esprime il desiderio di essere trasformata specificamente in uccello e di ritornare sotto questa forma nella terra patria.

(3) HO 224-227 (Iole) Sed iam dominae tecta petantur.

Coro: Quid regna tui clara parentis 225

casusque tuos respicis amens? fugiat uultus fortuna prior.

Oct. 665-668 (Ottavia) Sed quid patrios saepe penates 665

respicis udis confusa genis? propera tectis efferre gradus, linque cruentam principis aulam.

225

Già WALDE 1992,pp. 29 ss. faceva riferimento alla topicità degli exempla mitici per negare il valore dell'argomentazione di Zwierlein.

226

Per sostenere la dipendenza di questo passo dell'HO da quello dell'Oct., Zwierlein si fonda su un elemento fortemente incerto: al v. 226 accoglie la lezione di A proauosque contro la lezione di E casusque, mentre quest'ultima è senza dubbio più adatta al contesto ed è pertanto preferibile (cfr. la discussione del problema nella nota di commento ad loc.). In ogni caso, non essendo il testo con sicurezza ricostruibile, non sembra metodico utilizzare questo termine come base di partenza per ulteriori ricostruzioni congetturali. L'esistenza di un contatto diretto fra il passo dell'HO e il passo dell' Octauia è molto probabile, alla luce di alcune riprese lessicali piuttosto puntuali, ma è difficile stabilire quale delle due formulazioni presupponga l'altra. Anche in questo caso si tratta infatti di moduli espressivi tradizionali, che l'autore dell'HO poteva facilmente trovare nella poesia drammatica anteriore, greca e latina. L'esortazione a lasciare la patria natale distrutta e/o a dirigersi verso la nuova meta, è un tema ricorrente negli Sklaverei-Dramen in corrispondenza dell'uscita di scena delle prigioniere227; anche il motivo del contrasto tra i fasti passati e l'attuale stato di rovina è topico nei lamenti delle prigioniere228 e, più in generale, tutto il primo coro e la monodia di Iole sono intessuti di moduli espressivi tradizionali che una fertile tradizione letteraria attribuiva alle captiuae229. L'autore dell'HO, dunque, così come dimostra di avere perfettamente familiari gli altri topoi degli Sklaverei-Dramen, avrà conosciuto anche quelli presupposti dai vv. 225-228, e non aveva certo bisogno dell'Octauia per queste formulazioni. Anzi, per varie ragioni che cercherò di illustrare sembrerebbe più probabile il contrario.

Nell'Octauia vengono proferiti dallo stesso personaggio femminile due motivi (domanda sul perché del volgersi indietro verso la propria casa unita all'esortazione ad andare) che nell'HO compaiono accostati ma riferiti a interlocutrici differenti (Iole e il Coro), e che negli altri Sklaverei-Dramen comparivano addirittura isolati. Ammesso che sia lecito individuare un rapporto cronologico nell'evoluzione di certi morfemi strutturali, appare più probabile una linea di sviluppo che da drammi quali le

Troiane/Ecuba/Troades (in cui questi motivi sono presenti in modo separato) passa

attraverso l'HO (che li accosta in sequenza attribuendoli a interlocutori differenti) e infine all'Octauia (che li attribuisce allo stesso personaggio). Del resto, se per l'HO la situazione rappresentata era quella consueta, in comune con gli altri drammi che affrontavano lo stesso tema di una guerra di conquista e della conseguente schiavitù dei vinti, nell'Octauia la ripresa del motivo sembra invece configurarsi come un caso di accorta variazione e adattamento di moduli precedenti ad una nuova e meno convenzionale situazione: Ottavia è una prigioniera un po' particolare, non certo alla stregua di Cassandra, Ecuba, Iole, anche se da quelle ella tende a mutuare moduli espressivi.

All'innovazione del doppio motivo si aggiunge, nell'Octauia, la uariatio per cui, anziché la destinazione, è indicata la provenienza (Oct. 667-668): la spiegazione va individuata nel fatto che, mentre le altre prigioniere annunciano la definitiva uscita di scena e dunque si proiettano verso il futuro, Ottavia ha appena fatto il suo ingresso dalla

227

Questo motivo è frequente nelle tragedie di prigioniere di Euripide: cfr. la nota di commento al v. 224.

228

Cfr. i paralleli citati nella nota di commento al v. 227.

229

Cfr. per es. il motivo della città ridotta in cenere (con i paralleli riportati nella n. ai vv. 126-127), il tema delle varie ipotesi di destinazione per le prigioniere (cfr. n. ai vv. 135 ss.), il tema del lavoro servile presso la futura padrona (cfr. n. ai vv. 217-218), la deprecazione della crudeltà del vincitore (HO 143 ss.; cfr. Tro. 282 ss.), la descrizione delle scene di morte e saccheggio a cui le prigioniere hanno assistito.

porta di casa, e, benché si appresti anche a lasciare la scena, non si tratta tuttavia di un'uscita definitiva (Ottavia rientrerà nuovamente al v. 877): dunque, la tradizionale formula di uscita di scena viene trasformata in una formula di ingresso in scena (non è un caso che l'espressione topica "andiamo verso il luogo di destinazione" faccia la sua comparsa più avanti, nel lamento finale di Ottavia ai vv. 958 ss.)230. Anche in questo mi sembra che si debba cogliere un procedimento di consapevole alterazione dei moduli convenzionali, che appare più facilmente spiegabile se lo si considera come successivo e non come anteriore rispetto alla situazione 'canonica' presente nell'HO.

230

Si noti che anche qui compare lo stesso modulo binario dei vv. 665 ss.: prima la domanda (v. 960 quid

iam frustra miseranda moror?) e poi l'esortazione ad andare (v. 961 rapite ad letum), qui espressa come

ordine a "essere portata via" (Ottavia si pone ora come soggetto passivo in balia di altri, e non più soggetto attivo dell'azione del "lasciare" quale era al v. 667, quando la situazione lasciava ancora qualche margine alla speranza). E si noti ancora che a proposito del motivo dell' 'andare' verso la nuova destinazione, l'autore dell'Ottavia adotta la stessa duplicazione del modulo che abbiamo notato per le

Troiane di Euripide: dopo la prima enunciazione del motivo al v. 960, c'è un ritardo nell'esecuzione

dell'ordine in cui si inserisce il modulo espressivo del chiamare a testimoni gli dei; quindi, l'esortazione ad 'andare' viene ripetuta in corrispondenza dell'effettiva uscita di scena: armate ratem, date uela fretis /

uentisque petat puppis rector / tandem Pandatariae (testo tràdito Phariae) litora terrae vv. 970-972 (per

II

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