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Capitolo primo: Proverbi, sentenze, colloquialismi in Eschilo

1.2. Il colloquialismo secondo i critici.

Come si è accennato nella prima parte del lavoro, all'interno dei discorsi dei tre personaggi minori sono presenti delle caratteristiche ascrivibili al linguaggio cosiddetto colloquiale. Prima di studiare nel particolare queste espressioni cerchiamo si chiarire cosa si intende per colloquialismo.

Stevens discute ampiamente sulla definizione di questo termine arrivando a darne una definizione precisa. Egli intende per colloquialismi quelle espressioni che potrebbero essere usate in modo naturale nella conversazione quotidiana e che sono evitate nello stile poetico e nella prosa alta e formale202.

Lo studioso indica le fonti da consultare per ricercare queste espressioni: Aristofane e gli altri commediografi arcaici e della commedia di mezzo; i dialoghi platonici nonché gli oratori ed Erodoto soprattutto nelle parti dialogiche. In secondo luogo non si limita a fornire una definizione del termine, ma propone dei criteri per l'individuazione di tali espressioni. Secondo lui i colloquialismi si distinguono nelle seguenti categorie: pronomi e proposizioni interrogative usate in maniera colloquiale, colloquialismi sintattici, avverbi e locuzioni avverbiali e miscellanea di colloquialismi.

Per il rinvenimento delle espressioni di questo tipo non è sufficiente, afferma Stevens, il riferimento alle categorie in cui i colloquialismi possono essere inseriti, ma è necessaria anche l'analisi del contesto203.

Il contesto, infatti, ha una duplice funzione. In primis è essenziale per stabilire se un'espressione è colloquiale e secondariamente è fondamentale per riconoscere l'effetto che l'autore vuole imprimere alla scena tramite l'attribuzione di un linguaggio colloquiale ad un determinato personaggio. Per quanto riguarda la prima funzione del contesto è da notare se in una determinata situazione si ha la compresenza di colloquialismi e di forme auliche che, adoperate in un contesto triviale, possono perdere la loro ricercatezza assumendo tratti marcatamente colloquiali204. Per il secondo valore

del contesto Stevens mette in evidenza che, nel caso euripideo, i colloquialismi piuttosto

202 Stevens 1937 p. 182. Lo sviluppo del suo pensiero è presente nel suo articolo sui colloquialismi in

Euripide del 1976.

203 Stevens rileva il valore del contesto fin da subito. Cfr. Stevens 1937 p. 183. 204 Stevens 1976 p. 4.

che connotare lo status di un personaggio, servono a conferire un tono casuale al dialogo e a sottolineare momenti concitati dell'azione205.

Secondo Rossi206 i tre tragediogradi usano in maniera molto differente il

linguaggio colloquiale. Euripide adotta un livello medio e prosastico nel dialogo, in modo che la differenza risulti meno sensibile quando ricorre al colloquialismo. In Eschilo, invece, il linguaggio colloquiale contribuisce a caratterizzare il personaggio sia dal punto di vista del suo status sociale, sia dal punto di vista della sua personalità e questo influisce con l'atmosfera che si viene a creare sulla scena. Sofocle, invece, usa colloquialismi e volgarismi anche nei discorsi di re e regine dell'epos per ragioni drammatiche e per evidenziare momenti concitati dell'azione facendo un uso più libero dei colloquialismi207.

Un altro studioso che si è occupato del linguaggio colloquiale nella tragedia greca è Waś. Waś discute anche sul significato di lingua naturale208 che distingue dalla lingua

colloquiale ed, infatti, è a proposito di questa distinzione che si chiede come può essere definita la lingua colloquiale. Lo studioso non arriva a stabilire un criterio esplicito per riconoscere i colloquialismi, come fa Stevens, poiché secondo Waś la lingua colloquiale sarebbe il risultato dell'abbandono di una certa correttezza linguistica.

Questa sua definizione di lingua colloquiale, a mio avviso non facilmente condivisibile, è supportata da un'argomentazione ancora meno condivisibile della proposta stessa. Waś, infatti, definisce corretto ciò che è conforme alle regole della prosa della lingua greca e scorretto tutto ciò che non può essere reso adeguatamente con una traduzione letterale. Considero piuttosto debole questa proposta perché si fonda su un criterio del tutto universale che consentirebbe di tradurre parola per parola anche le espressioni non colloquiali.

Le conclusioni alle quali arriva Waś sono molto precise e, se vogliamo, selettive.

205 Stevens 1976 p. 64-68.

206 Rossi 1989 in De Finis p. 64 ss.

207 La differenza fra i due è resa chiara da Stevens 1945 p. 95 tramite delle statistiche che si possono

tradurre in questi termini: in Eschilo la caratterizzazione dei personaggi inferiori è rappresentata dal 60% del totale dei suoi fatti colloquiali, in Sofocle la percentuale corrispondente è del 22%.

208 Waś 1983 p. 2 non fornisce una definizione precisa di lingua naturale che può essere ricavata dal

contesto. Secondo lo studioso il linguaggio naturale potrebbe essere altamente formale in base a chi parla e la maggior parte del nostro linguaggio quotidiano è naturale anche se si potrebbe esitare a chiamarlo colloquiale.

Egli, dando molta importanza al contesto, ritiene che i colloquialismi, per essere definiti tali, debbano essere inseriti in una sticomitia, in caso contrario non si può essere sicuri della loro natura di colloquialismi. Inoltre, secondo Waś, lo status di colloquialismo può essere attribuito con sicurezza a certe espressioni se in un determinato contesto si concentra un elevato numero di colloquialismi. Si vedrà nei capitoli successivi che anche all'interno di sezioni monologiche (non per forza sticomitie), come quelle della vedetta e della Pizia209, sono presenti degli elementi di lingua colloquiale e che non per

forza il criterio della densità dei colloquialismi è indispensabile per definirli tali.

Per quanto riguarda lo scopo con il quale gli autori utilizzano i colloquialismi, Waś rileva una tendenza spiccata secondo la quale le espressioni quotidiane sono impiegate dai personaggi principali per rivolgersi alle figure secondarie oppure per esprime un unico stato d'animo: la rabbia.

A mio avviso questo ragionamento è riduttivo. L'analisi condotta sui personaggi minori dell'Orestea potrebbe fornirne una dimostrazione.

Nel caso della vedetta i modi di dire più notevoli, ossia la metafora con il gioco dei dadi ed il silenzio imposto da un bue che calpesta la sua lingua, sono inseriti in un contesto in cui lo stato d'animo del personaggio può essere definito nel primo caso gioioso e nel secondo preoccupato, non arrabbiato.

In quello della nutrice i colloquialismi sono riscontrabili soprattutto nel racconto dell'infanzia di Oreste durante il quale Kilissa prova un profondo dolore.

Infine nel caso della Pizia, i diversi modi di dire di sapore colloquiale appaiono in una scena in cui la paura fa da padrona.

Un altro studioso che prova a dare una definizione di lingua colloquiale e che fa delle considerazioni sul linguaggio colloquiale in Eschilo è West210. Lo studioso propone

una definizione di colloquialismo molto chiara. Egli definisce colloquiale un linguaggio in parte costituito da espressioni quotidiane, in parte da tocchi di ingenuità, loquacità e sentenziosità211 che qualcuno vorrebbe evitare per non mancare di dignità.

Per quanto riguarda Eschilo, secondo West, non si può parlare propriamente di

209 Del resto anche la scena di Kilissa è in parte una sticomitia e in parte un monologo ed anche all'interno

di questa sezione monologica sono presenti elementi di lingua colloquiale.

210 West 1990 in Craik p.3.

lingua colloquiale se non per uno scopo preciso, ossia per caratterizzare i personaggi di rango inferiore. West, infatti, ritiene che tutte le attestazioni di espressioni quotidiane rilevate da Stevens nelle opere di Eschilo non possono essere considerate colloquiali. Lo studioso, infatti, si trova d'accordo con Stevens nell'affermare che queste caratteristiche sono individuabili nell'Orestea e non nelle altre opere eschilee, in cui i personaggi parlano con una rigida formalità.

In conclusione, quindi, è possibile affermare, sulla scia dei lavori di Stevens, che si può considerare colloquiale quel linguaggio che ricorre nella conversazione quotidiana e che usato all'interno di un contesto tragico si differenzia dal resto delle espressioni proprie della tragedia, che appartengono ad un registro piuttosto aulico e formale, proprio per il suo tono comune.