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Capitolo quarto: La Pizia.

4.1. Due prologhi a confronto.

Il prologo delle Eumenidi si apre con un'atmosfera serena che mette in risalto il contrasto con la chiusa della tragedia precedente. Nell'ultima scena delle Coefore assistiamo alla fuga di Oreste che scappa da Argo terrorizzato e inseguito dalle Erinni e arriva a Delfi nel tempio di Apollo.

Cambio di scena, cambio di situazione. Se nelle Coefore il Coro ha paura che questa storia di sangue e di vendetta non finisca mai e rassicura Oreste che non è più tanto sicuro della protezione promessagli da Apollo183, sembra che nelle Eumenidi tutto

ritorni alla normalità attraverso la preghiera della profetessa. Le invocazioni della Pizia alle divinità si svolgono nella maniera più tranquilla possibile tanto da farci dimenticare il finale burrascoso della tragedia precedente.

A Delfi tutto appare composto ed ordinato come traspare dall'atteggiamento e soprattutto dal discorso della Pizia. La profetessa invoca le divinità protettrici del tempio di Apollo dando una versione della loro successione totalmente pacifica e questo permette che l'atmosfera in scena sia tranquilla.

Il racconto della successione delle divinità delfiche così come lo espone la Pizia, non è concorde con il resto della tradizione e credo che questo non sia un caso.

L'innovazione proposta da Eschilo trova diverse spiegazioni da parte degli studiosi. Per esempio coloro che si sono dedicati allo studio della misoginia nella letteratura greca propongono una chiave di lettura interessante di questa innovazione. Zeitlin scrive che questa versione del mito mette in evidenza il trasferimento di potere dalla femmina al maschio: è un mito che si distingue da quello tradizionale solo perché Eschilo ha voluto anticipare in questo modo la conclusione della tragedia, ma che conserva un significato inalterato184.

Rose afferma, invece, che questa innovazione di Eschilo potrebbe indurre a pensare che l'autore avesse l'intento di sconfessare la tradizione misogina che ammette

183 Cfr. Cho. v.1061. 184 Zeitlin 1996 p.102.

sempre il trionfo del genere maschile su quello femminile185. La sconfitta di questa

tradizione è, infatti, visibile dal rilievo dato alle figure femminili all'interno dell'elenco delle divinità. É da notare che alle dee sono attribuite numerose caratteristiche positive. Esse non hanno solo conquistato il santuario di Delfi in maniera pacifica, ma lo hanno anche ceduto dimostrando grande generosità. Febe, infatti, cede la sovranità del santuario a suo nipote Apollo ed il ringraziamento da parte del dio, tramite l'adozione del nome Febo in onore della nonna, è prova di un cambiamento nel rapporto fra i sessi. Infatti, nonostante in fin dei conti il padrone assoluto del santuario sia un maschio, il nuovo modo escogitato da Eschilo per far sì che Apollo sia il padrone indiscusso offre una visione positiva del contributo delle donne al mondo che è appena sorto. Le donne non sono più viste come una minaccia.

Questa linea di pensiero si sposa bene con la conclusione della trilogia: Oreste verrà assolto e le Erinni saranno trasformate in Eumenidi. Infatti, nonostante abbia vinto la discendenza patrilineare, le Erinni hanno ottenuto una rivincita. Non solo sono trasformate in Eumenidi, ma Atena promette loro che saranno venerate dal popolo ateniese e le scorta verso la loro nuova sede.

Ancora una volta Eschilo dimostra di fare le sue scelte con grande attenzione dato che affida un messaggio importante ad un personaggio particolare. La figura che espone questa innovazione è, infatti, una donna che interpreta una parte minore della tragedia, ma che, allo stesso tempo, essendo un profetessa delfica, è anche un personaggio autorevole.

Il fatto che Eschilo affida alla sacerdotessa di Apollo il compito di rivelare un messaggio che si potrebbe definire anticipatore accomuna il personaggio della Pizia a quello della vedetta. Entrambi, infatti, in maniera implicita, anticipano all'inizio della tragedia un qualcosa che accadrà alla fine.

La vedetta e la Pizia grazie ai molti aspetti che hanno in comune, come quello che ho appena descritto ed anche il fatto che svolgono entrambi il ruolo di προλογίζων, rendono i prologhi dei quali sono protagonisti molto simili fra loro. Anche il prologo della Pizia, come quello della vedetta, può essere suddiviso in due sezioni ben distinte all'interno delle quali la figura della sacerdotessa subisce un grande cambiamento.

Infatti la sentinella nella prima sezione del suo prologo, è turbata ed angosciata, nella seconda invece felice ed emozionata. La Pizia, al contrario, nella prima parte del prologo è tranquilla, recita la sua preghiera in modo sereno, mentre nella seconda parte è terrorizzata e resta quasi tramortita da quello che ha visto. Il cambiamento dello stato d'animo delle due figure in questione può essere paragonato anche perché è suscitato in entrambi i casi da una visione: l'oggetto che provoca il cambiamento del φύλαξ è la vista della fiaccola, quello della profetessa è la visione di altri due personaggi della tragedia che essa ha il compito di introdurre.

I due monologhi presentano anche delle differenze dovute a due principali aspetti186. Il primo consiste nel fatto che le prime parole della sacerdotessa sono

totalmente prive di ambiguità, cosa che stride con il consueto linguaggio sibillino proprio delle profetesse delfiche. La Pizia, infatti, elenca la genealogia delfica senza utilizzare un linguaggio oscuro risultando comprensibile al pubblico che non ha bisogno di interpretare le sue parole. Le parole della vedetta risultano, invece, ambigue soprattutto per il ricorso ad alcune espressioni proverbiali di non facile interpretazione. Il secondo aspetto che differenzia i due discorsi consiste, invece, nel rovesciamento dell'atmosfera presente in scena, nell'Agamennone il clima cambia tre volte e la vedetta termina la sua parte lasciando in scena un sentimento di ambiguità, mentre nelle Eumenidi la spaccatura è netta: la serenità che prima è sovrana lascia spazio al terrore.

Dopo una parte dedicata alle divinità delfiche e alla preghiera a loro rivolta, in base al grado di importanza che la profetessa riserva loro, la Pizia deve entrare nel tempio di Apollo perché è il giorno delle consultazioni dell'oracolo. I cittadini sono giunti a Delfi da tutta la Grecia per questo motivo, ma qualcosa impedisce che la consultazione avvenga. Dalla visione di Oreste con la spada insanguinata e con le mani gocciolanti di sangue187 e da quella delle Erinni presso l'ὀμφαλός scaturisce un cambio 186 Maurizio in McClure-Lardinois 2001 pp. 52-53, mette a confronto i discorsi pronunciati da tre

personaggi ben diversi della trilogia, la vedetta, la Pizia e Cassandra. La studiosa mette in evidenza che due discorsi su tre, quello della vedetta e di Cassandra hanno svariati punti in comune, sono entrambi ambigui e lasciano una scelta agli interlocutori e al pubblico: cogliere il loro significato anche se non detto esplicitamente, leggere fra le righe insomma. L'unica differenza fra le battute dei due personaggi consiste nel fatto che la sentinella non ha davanti a se un interlocutore con il quale interagire direttamente, mentre la prigioniera troiana sì, si rivolge al Coro.

187 Secondo alcuni studiosi, come per esempio West e Rose, la Pizia racconterebbe più di quanto ha

realmente visto. Rose nel suo commento ai vv. 41-42 afferma che non è d'accordo con il fatto che il sangue con il quale Oreste si è macchiato sia quello di una vittima sacrificale che è servita per la sua

totale di scena.

All'improvviso quel tono pacifico e privo di qualsiasi ambiguità non domina più il quadro inziale all'interno del quale sembra che adesso agisca un'altra Pizia, proprio come succede nell'Agamennone alla guardia. La profetessa esce fuori dal tempio188 quasi

strisciando per terra, non ha più forza nelle gambe e si paragona ad un bambino che ancora non ha imparato a camminare. A questo punto non si dimostra più sicura di se stessa e capace di farsi capire dal pubblico poiché subisce un calo psicologico e fisico notevole.

La descrizione di Oreste, che essa paragana ad un supplice, non è comprensibile. Non si capisce fino in fondo l'immagine del ramo d'ulivo definito altissimo: forse che cresce in alto? Anche il doppio riferimento al fatto che questo ramo sia incoronato con una fascia di lana amplissima (μεγίστῳ), come indica il termine λήνει, è problematico per il fatto che alla descrizione dell'ulivo è aggiunta un'ulteriore spiegazione (ἀργῆτι μαλλῷ) volta a specificare ciò che risulta già chiaro.

Anche le espressioni che la Pizia usa per descrivere la folla degli esseri dormienti di fronte a lei sono contraddittorie. La Pizia non riconosce le Erinni: le chiama donne, Gorgoni e infine Arpie, dimostrando di aver perso la lucidità che l'ha contraddistinta nei primi versi del prologo. Ritengo, infatti, che non è necessario postulare una lacuna dopo il v. 49 motivata, secondo alcuni studiosi, dalla mancanza di congruenza all'interno della scena. Mi sembra che il passaggio brusco fra la menzione delle Gorgoni e delle Arpie non è giustificabile con la perdita di un verso, ma è ricercato dal poeta per rendere al meglio lo stato confusionale che caratterizza la figura della sacerdotessa in questo

purificazione e che la spada sia stata appena estratta dal corpo colpito. Rose pensa, sulla base del fatto che la Pizia non vede le Erinni, che la profetessa, in quanto tale, sia suscettibile di ispirazione mantica in ogni momento, nonostante in questo preciso istante non sia in estasi. Inoltre lo studioso ritiene che la sacerdotessa non abbia visto Oreste nella posizione in cui è realmente adagiato, ma che lo immagini subito dopo aver ucciso la madre.

188 I problemi riguardanti la messa in scena delle Eumenidi hanno creato grande dibattito fra gli studiosi.

Infatti lo sfondo cambia fra le due tragedie e l'ultima e si discute sullo spazio scenico delle Eumenidi. Sembra infatti che la sacerdotessa parli fuori dal tempio di Apollo. Infatti i vv. 34-63 in questione sono detti dopo la sua uscita dal tempio. Probabilmente, come fa notare Di Benedetto 1995, la Pizia pronuncia il suo discorso sul bordo anteriore dello spazio scenico per far capire che si trova al di fuori del tempio, e il suo ingresso nel tempio altro non era se non spostarsi nella parte più profonda della parte circolare del palco. Quindi o forse gli spettatori vedevano fin dall'inizio le Erinni ed Oreste oppure si deve immaginare a qualcosa che coprisse l'interno del tempio tolto solo dopo la fine del prologo. Per una discussione più approfondita a riguardo rimando a Di Benedetto 1995; Di Benedetto 1987; West 1990 e Di Benedetto- Medda 1997.

momento. Infatti l'unica cosa che la profetessa afferma con certezza è che le donne sono vestite di nero e che sono scure di carnagione.

Le sue descrizioni sono importanti non solo per i termini che usa, ma anche perché fa in modo che cresca la suspense prima dell'ingresso delle Erinni in scena. Inoltre il racconto della sacerdotessa funge da shock drammatico per il fatto che la Pizia ha augurato a se stessa di avere un ingresso migliore degli altri un attimo prima di entrare nel tempio189.

Per la terza volta, dunque, Eschilo si serve della labilità psicologica e dei sentimenti di un personaggio secondario per dare rilevanza all'intera scena. In questo caso, infatti, nella figura della Pizia si possono riassumere molte tematiche di tutta la tragedia. Attraverso questa figura il tragediografo anticipa la conclusione della trilogia, introduce il tema del rapporto fra i due sessi, costruisce la sensazione di orrore con la quale vuole impressionare il pubblico nel momento in cui le Erinni entreranno in scena e offre anche spunti di riflessione politica che saranno analizzati nel dettaglio nel seguente paragrafo.