• Non ci sono risultati.

Capitolo terzo: Kilissa.

3.1. Kilissa, non una balia qualunque.

I personaggi che si occupano di riferire le informazioni nel corso della tragedia sono, di solito, i messaggeri e gli araldi, ma questo compito non è riservato esclusivamente a questi. Anche servi, ancelle, vecchi sono destinati ad assolvere il suddetto incarico e per questo motivo la loro connotazione assume delle caratteristiche nuove.

Kilissa, la nutrice di Oreste, rientra in questa categoria di personaggi ed il suo ruolo è appunto andare a riferire un messaggio ad Egisto: non uno qualsiasi, ma un messaggio falso. La corifea, infatti, intercetta Kilissa mentre sta andando da Egisto a riferirgli che Clitemestra gli ordina di recarsi al cospetto degli stranieri con le guardie del corpo. Lo scopo dell'intercettazione è quello di cambiare il contenuto del messaggio che la nutrice deve riportare affinché Egisto si presenti al cospetto di Oreste e Pilade senza protezione alcuna.

Il Coro non fa altro che obbedire agli ordini di Oreste160 e l'intervento della balia

nella trama è, secondo Garvie, un modo audace per usare il Coro come se fosse un attore che insieme a Kilissa contribuisce alla riuscita del piano di vendetta di Oreste. Egisto, infatti, apparirà in scena161 non accompagnato dalle guardie e sarà destinato a

morire.

La discussione sulla funzione della balia nell'intreccio della vicenda deve partire da un quesito fondamentale: il ruolo della nutrice è quello di riportare semplicemente una notizia falsa, ma fondamentale ai fini dello svolgimento della trama, o riveste un particolare significato, al di là della mera funzionalità scenica?

Si può iniziare a rispondere a questa domanda notando che, in genere, le nutrici o i pedagoghi non hanno una propria identità all'interno delle opere, ma sono subordinati ai personaggi maggiori ai quali sono legati. Sembra, infatti, che questi personaggi nell'assolvere i loro compiti annullino la loro identità in rapporto all’eroe a cui sono

160 Cfr. vv. 581-2. 161 Cfr. v. 838.

affiancati. Questo aspetto è riscontrabile anche nel fatto che dei suddetti personaggi minori non ne viene citato, quasi mai, un nome personale, come fa giustamente notare Capomacchia162.

Questo non è il caso della balia di Oreste, che, dato che è presentata da Eschilo con un suo nome proprio, si distingue dalle altre figure di nutrici. Per questo motivo ho scelto di non indicare le sue battute con il semplice τροφός, come fa per esempio Garvie, ma di usare il nome proprio per mettere in risalto che la figura presenta un'individualità ben definita. Inoltre è anche l'unica dei tre personaggi minori dell'Orestea ad avere un suo nome personale163 ed è l'unica nutrice ad essere accostata

ad un personaggio maschile in tragedia164.

Questi aspetti, sebbene siano dei dati importanti, non sono gli unici in grado di far capire che la figura di questa nutrice è costruita da Eschilo in maniera scrupolosa.

È possibile dire che la balia di Oreste presenta delle caratteristiche proprie per diversi motivi. In primis perché la parte a lei affidata è molto lunga rispetto a quelle riservate agli altri personaggi secondari ed in secondo luogo perché nel suo discorso compaiono elementi molti forti che mettono in evidenza un legame profondo con Oreste.

Prima di compiere l'incarico affidatole che quasi passa in secondo piano, la nutrice si lascia andare ad una performance toccante in cui esprime sia il suo profondo affetto nei confronti di Oreste sia un dolore struggente per la sua presunta morte165. Kilissa è

talmente colpita dalla notizia della morte di Oreste da arrivare in lacrime sulla scena166.

La sua sofferenza è espressa tramite il ricordo di Oreste in fasce di cui essa si occupava come se fosse figlio suo.

La descrizione dettagliata dell'infanzia dell'eroe e del ruolo che la τροφός ha svolto in passato non è casuale, dato che ricopre una lunga sezione all'interno del dialogo con

162 Capomacchia 1999 p. 41.

163 La vedetta non lo possiede e quello della Pizia non è strettamente personale, tutte le sacerdotesse

delfiche sono indicate con questo nominativo.

164 Infatti sia Deianira nelle Trachinie di Sofocle sia Ermione nell'Andromaca, Medea nella Medea e Fedra

nell'Ippolito di Euripide sono personaggi femminili accompagnati da una nutrice.

165 Dico presunta morte perché le uniche persone a non sapere che Oreste, in realtà è vivo sono Kilissa,

Clitemestra ed Egisto. Il Coro ed Elettra sono a conoscenza del piano di vendetta del figlio di Agamennone.

166 In realtà è il Coro che afferma di vedere Kilissa in lacrime, dal testo non possiamo desumere se stia o

la corifea. Il flashback sull'infanzia di Oreste mira non solo ad evidenziare che è stata lei a nutrirlo e crescerlo fin dalla nascita, ma contribuisce anche a far dimenticare al pubblico che Oreste sta per diventare un matricida e a guardarlo come una figura positiva.

Ci troviamo così ad essere schierati dalla parte di Oreste anche quando sta per compiere l'omicidio dato che la nostra simpatia per lui è ormai assicurata e supera ogni altra cosa. Il Coro, infatti, dichiarerà con gioia che si è fatta giustizia167 attraverso la

morte di Clitemestra e di Egisto facendo passare in secondo piano che Oreste ha compiuto un crimine.

Kilissa dimostra, attraverso parole piene d'affetto nei confronti di Oreste, di essergli rimasta fedele nonostante la sua assenza. Anche un'altra figura di nutrice è rimasta fedele al suo padrone assente: Euriclea la balia di Odisseo, modello di cui Eschilo si è servito per costruire la figura di Kilissa.

Le due donne hanno molte cose in comune. Prima di tutto il fatto che grazie ad entrambe il racconto dell'infanzia dell'eroe è introdotto nella narrazione168.

In secondo luogo le accomuna l'odio che provano verso chi ha preso il posto dei loro signori nelle rispettive regge: Egisto e Clitemestra per l'una e i proci per l'altra.

Ed infine le rende molto simili una tale fedeltà al padrone che permette loro di essere sempre pronte a prestargli soccorso ed a contribuire alla riconquista dello status che l'eroe aveva in origine nella sua casa169.

Per questo motivo è possibile attribuire al ruolo della balia un valore eroico aggiunto dal momento che agisce come protettrice dell'eroe da bambino e come sua complice consapevole o meno da adulto170.

La maggior parte delle nutrici, infatti, si occupa di un figlio o una figlia di re non

167 La vendetta di Oreste assume anche toni politici. Sofocle nell'Elettra riprenderà questa idea in quanto

le ultime battute della tragedia parlano di libertà ritrovata .

168 Kilissa introduce nella narrazione il racconto dell'infanzia di Oreste tramite un flashback. Nel XIX

libro dell'Odissea Euriclea non racconta direttamente la nascita di Odisseo, l'episodio dell'imposizione del nome da parte del nonno Autolico e la caccia su Parnaso, ma il flashback scaturisce dalla scena del riconoscimento. La nutrice, mentre lava i piedi allo straniero, riconosce la cicatrice e capisce che ha davanti il suo padrone e da questo momento in poi (v. 392ss.) inizia il flashback.

169 Nell'episodio del riconoscimento Euriclea si presta al gioco di Odisseo mostrando tutta la sua felicità

per il ritorno del padrone e con il suo silenzio lo aiuta ad attuare il suo piano. Con modalità diverse Kilissa aiuta Oreste a vendicare il padre ed a riprendere il controllo della casa.

170 Nell'Elettra di Euripide è il vecchio precettore di Agamennone a mettere in salvo Oreste e nell'Elettra

solo quando sono ancora presenti in casa, ma per buona parte della loro vita. L'attività di tutela e protezione della balia si perpetua nel tempo dato che la nutrice rimane nella dimora del re anche quando non ci sono più bambini da accudire o quando l’eroe adulto è ormai lontano.

Anche i semplici servi restano in casa, ma la normale permanenza di un servo anziano presso il suo padrone non è paragonabile a quella di Kilissa che rimane perché sente che il suo compito non è ancora terminato. La nutrice ritiene di dover ancora tutelare il bambino che ha cresciuto se mai dovesse avere ancora bisogno di lei.

Proprio quello che essa auspica che si realizzi è la fine del dominio dei due assassini possibile solo grazie al ritorno nella casa del suo protetto nel pieno dei propri diritti che gli sono stati sottratti.

In realtà, ciò che deve avvenire, e che essa propizia, è il reinserimento di un Oreste emarginato che deve aspettare lo svolgimento del suo percorso. Percorso nel quale Kilissa si intromette e cambia come se volesse accompagnare Oreste fino alla fine, fino al compimento del suo destino, proprio nel suo ruolo di balia protettrice.

Anche nel resto della tradizione traspare l'importanza di questo ruolo protettore della balia di Oreste nonostante gli autori attuino delle piccole variazioni.

In Pindaro171,per esempio, essa avrebbe portato in salvo Oreste sottraendolo alla

madre proprio nel momento dell'uccisione di Agamennone tornato da Troia, e una volta

171 Pind. Pyth. XI 17 ss. É necessario sottolineare il problema della datazione della Pitica in questione. Il

dibattito sulla datazione è reso problematica dal fatto che gli scolii menzionano, in modo non poco confuso, due vittorie riconducibili al dedicatario dell'ode. Secondo uno scolio l'ode sarebbe stata scritta per Trasideo vincitore nella Pitiade 28 del 474 a.C. nella categoria dei ragazzi e nella Pitiade 33 del 454 a.C. nella corsa doppia (il diaulo) o in quella semplice (lo stadio) nella categoria degli adulti. Secondo un altro scolio l'ode è per Trasideo vincitore nello stadio, e fu scritta per il vincitore nel diaulo nella Pitiade 33, salvo poi aggiungere che non fu composta per il diaulo, ma per lo stadio. Le contraddizioni sono tali che diversi studiosi hanno ritenuto di poter preferire egualmente l'una o l'altra data, o che, comunque, tali dati non siano sufficienti a determinare la data effettiva dell'ode. Da una lettura attenta del testo, tuttavia, sembra di poter concludere che i commentatori antichi avessero notizia di due vittorie di un Trasideo Tebano, una nel 454 a.C., nel diaulo, tra gli adulti, e un'altra nel 474 a.C., verosimilmente nello stadio semplice e nella categoria dei ragazzi. La scelta tra le due date per il nostro epinicio era evidentemente oggetto di disputa, ma il dettato di entrambi gli scolii, per quanto frutto di possibili corruttele e di sovrapposizioni suggerisce che la data preferita fosse la più antica. Dunque la maggioranza degli studiosi opta per una datazione nel 474 a.C., mentre una nutrita minoranza preferisce il 454 a.C. La questione resta ancora aperta e per quel che ci interessa è sufficiente dire che nel caso in cui la Pitica XI sia databile al 474 a.C. allora è possibile che Eschilo avesse presente la versione del mito trasformata da Pindaro. Nel caso in cui la Pitica XI sia del 454 a.C. allora questo non sarebbe possibile dato che siamo certi che la prima rappresentazione dell'Orestea è del 458 a.C.

salvato il giovane avrebbe trovato rifugio presso il padre di Pilade in Focide172.

In Eschilo la situazione è diversa rispetto al racconto di Pindaro. Innanzitutto la nutrice prende il nome di Kilissa, in quanto schiava proveniente dalla Cilicia ed Oreste compare sulla scena nel momento in cui torna ad Argo dopo aver trascorso l’infanzia con Pilade poiché è stato allontanato dalla reggia degli Atridi da sua madre.

L'unica caratteristica del mito che risulta essere costante consiste nel fatto che tocca sempre alla nutrice salvare Oreste da un pericolo. Nel caso di Eschilo il contributo della balia alla salvezza non solo di Oreste, ma di tutta la casata è notevole per il fatto che Kilissa modifica l'andamento degli eventi senza saperlo. Infatti nell'ultimo scambio di battute con il Coro rimane basita di fronte alla richiesta della corifea di disobbedire alla padrona e incredula perché non riesce a capire come il Coro possa prendere alla leggera una notizia così terribile. Ancora una volta Kilissa dimostra che il suo interesse volge in prima istanza ad Oreste e poi al resto.

Per questo si può a buon diritto affermare che, in una trilogia in cui l'ansia ed il brutto presentimento fanno da padroni, il vivido e naturale ritratto della vecchia nutrice e dei suoi sentimenti così umani, trasforma il clima austero della tragedia in un'atmosfera più serena e familiare.

La scena di Kilissa, infatti, assume una posizione intermedia all'interno del contrasto di vicende che si succedono nella tragedia: il ritorno di Oreste, il riconoscimento, il piano di vendetta, il sogno di Clitemestra, la vendetta. L'intensità che questa scena offre lascia spazio a tanti sentimenti quali la lealtà, l'affetto sincero, la sofferenza e la fiducia che stridono con la violenza, la macchinazione e la paura delle scene precedenti.

Nelle sue ultime battute, nonostante non sia a conoscenza del piano di vendetta di Oreste, la nutrice fa trasparire la sua positività riponendo tutta la sua fiducia nelle parole della corifea. Nonostante la nutrice non sappia ancora che riuscirà a rendere se stessa strumento di ciò che si augura che avvenga col beneficio degli dei173, sarà proprio lei a

contribuire, non consapevolmente, alla riuscita del piano del suo protetto. Kilissa lascia

172 Ci sono però altri esempi all'interno della tradizione. Si ha notizia, da un passo di Tzetzes Chil. I 456,

della balia che salva la vita ad Agamennone e Menelao nella vendetta di Tieste contro Atreo, della quale non si sa più nulla.

la scena scegliendo di disobbedire alla padrona, non pensando neanche per un momento alle possibili conseguenze, ma segue i consigli del Coro lasciando in scena un sentimento di speranza.

Dopo il magistrale ritratto della sentinella, Eschilo ne propone un altro altrettanto studiato e ben riuscito che non ha niente da invidiare a quelli di Shakespeare o Cervantes come afferma Verrall174:

<<into the sketch of this portrait Aeschylus has put his

utmost mastery; and nowhere perhaps, save in Shakespeare or Cervantes, is there anything equal to it of its kind. It appeals irresistibly to that broad, commonplace, human emotion which does not know whether to laugh or to cry>>.