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4. Il Diritto amministrativo nella società del rischio

1.8 La colpa comune e la colpa speciale (o professionale)

Rilevante, da un punto di vista pratico, è la distinzione -compiuta da una parte della dottrina- tra colpa comune e colpa speciale (o professionale)68.

La prima, la c.d. colpa comune, riguarda le attività pericolose non giuridicamente autorizzate, ma vietate di per sé, o in quanto causa di eventi lesivi. In questo caso, la colpa si fonda sull’inosservanza di regole di condotta che impongono all’agente un dovere di astensione dallo svolgimento di dette attività. Tali regole non sono imposte da norme cautelari, qui inconcepibili non essendo ammesso

66 F. Mantovani, op. cit. pag.362. 67 Cfr. T. Padovani, op. cit. pag.216. 68 F. Mantovani, op. cit. pag.362.

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dall’ordinamento alcuna misura di rischio consentito, ma dalle norme incriminatrici stesse che operano in funzione preventiva (ad es. incendio: art. 423 c.p.; commercio di sostanze alimentari adulterare: art. 442 c.p.; ovvero dovere di astensione da ogni attività idonea ad uccidere). In tali casi l’imputazione a titolo di colpa avviene sulla base dei criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento secondo il canone dell’agente modello.

La seconda categoria, la c.d. colpa speciale, attiene allo svolgimento di tutte quelle attività rischiose, ma giuridicamente autorizzate perché socialmente utili. Pertanto, lo svolgimento di dette attività è consentito dall’ordinamento, mediante l’osservanza di norme cautelari che prescrivono, non l’astensione dall’attività, ma l’esercizio della stessa in presenza di determinati presupposti o secondo certe modalità, al fine di prevenire il c.d. superamento del rischio consentito. In tali situazioni, affinché possa configurarsi una responsabilità colposa, è necessario non solo che l’evento lesivo sia prevedibile ed evitabile, ma altresì che l’agente, attraverso l’inosservanza cautelare, abbia superato la soglia del rischio consentito, insito nello svolgimento della stessa attività autorizzata. Invero, se si applicassero alle attività in esame, le categorie della prevedibilità ed evitabilità della colpa comune, si finirebbe per imputare all’agente pressoché ogni evento dannoso, sempre prevedibile, tenendo l’attività rischiosa, ed evitabile astenendosi da tale attività (ad es. esito infausto di un’attività chirurgica, necessaria ma rischiosa). Il rischio di questa contraddizione viene giuridicamente superato attraverso la fissazione di norme cautelari, scritte e non, fissate dalla miglior scienza ed esperienza del settore. Le quali salvaguardando l’utilità sociale dell’attività rischiosa, ne consentono l’esercizio ma ne minimizzano il rischio. L’agente, pertanto, risponderà dell’evento lesivo occorso nello svolgimento delle attività in esame, solo quando tali eventi erano prevedibili dall’agente modello, ma prevenibili mediante l’osservanza delle norme cautelari (leges artis). Non risponderà di quegli eventi prevedibili, ma verificatisi nonostante l’osservanza di tali regole tecniche, trattandosi di rischio consentito e assunto dall’ordinamento nell’autorizzare l’attività rischiosa69

.

118 Sezione II

La flessibilizzazione del coefficiente colposo nella prassi giurisprudenziale

2. La flessibilizzazione delle categorie dogmatiche penalistiche: il ruolo del rischio

Le nuove fenomenologie di danno, attivate dal progresso tecnico-industriale, generano una progressiva crisi del diritto penale d’evento, chiamato alla loro gestione e prevenzione dinanzi alle esigenze di tutela della collettività. I recenti interventi normativi, avvalendosi di paradigmi di incriminazione che segnano un’evidente curvatura preventiva, rivelano un’intrinseca tensione verso una tutela penale anticipata. In particolare, la scelta di reprimere nuove tipologie di condotte pericolose, sebbene risponda ad istanze di sicurezza e rassicurazione collettiva, segna una progressiva modernizzazione dello schema classico del diritto penale d’evento. Da ciò prende le mosse, l’opinione dottrinale secondo la quale alla crisi del diritto penale, e, più in generale, delle tradizionali tecniche di repressione penale, farebbe da contraltare l’emersione di un nuovo modello di diritto penale, definibile come ‹‹diritto penale del rischio››, inteso come evoluzione più recente del sistema punitivo, a fronte della complessità del dato criminologico70.

Come rilevato in dottrina, un aspetto di crisi del diritto penale d’evento è rappresentato dal difetto di funzionalità che questo rivela, in riferimento alla complessità delle nuove tipologie di danno, emblematiche della società del rischio, collegate ad attività a base lecita ma rischiosa. Giacché, partendo dal profilo della tipicità, evidenti difficoltà scaturiscono dalla ricostruzione del paradigma causale, a seguito dello sviluppo di nuove fenomenologie dannose ‹‹connotate da ampia diffusività e da genesi causale complessa o ignota››71

. Le difficoltà incontrate in sede di accertamento del nesso eziologico, a causa dell’indeterminatezza delle leggi scientifiche

70 A. Gargani, La “flessibilizzazione” giurisprudenziale delle categorie classiche del reato di fronte alle esigenze di controllo penale delle nuove fenomenologie di rischio, in Legislazione penale, 2011, pag. 398. 71 Ivi, pag.400.

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di copertura, rischiano di condurre pertanto al fallimento della ricostruzione causale in sede processuale.

In questa sede assumono rilievo le notevoli problematicità emerse in sede di accertamento dell’imputazione colposa. Tra i molteplici elementi che rendono critica la verifica della responsabilità colposa nell’ambito di contesti produttivi altamente tecnologici, si evidenziano: la rapida evoluzione delle conoscenze scientifiche e dei connessi standard di prevenzione, la frequente successione di persone fisiche nella titolarità delle posizioni di garanzia e di controllo, il contesto collettivo e organizzato in cui si radica la condotta inosservante.

Non vi è dubbio, però, che l’accertamento della responsabilità individuale incontri maggiori complessità di fronte all’attuale, e delicato tema dei c.d. danni a distanza. Tale espressione indica quelle situazioni connotate da una sfasatura temporale tra causa ed effetto, nelle quali l’insorgere di patologie, correlate ad esposizioni a sostanza tossiche, è caratterizzato da un lungo periodo di latenza, che ne impedisce la preventiva riconoscibilità. Emblematiche sono le vicende legate alle esposizioni al cloruro di vinile monomero e alle polveri di amianto, nelle quali il profilo della prevedibilità ed evitabilità delle patologie tumorali, ha interessato da vicino la ricostruzione processuale dell’imputazione per omicidio e lesioni colpose.

La giurisprudenza è chiamata, così, a confrontarsi con ‹‹l’incertezza epistemologica e con il deficit di dominabilità e misurabilità dei rischi che caratterizza questa materia››, misurandosi, peraltro, con la precarietà delle conoscenze scientifiche e dell’accertamento colposo, che, trasposti sul piano del processo penale, pongono ulteriormente in crisi i tradizionali moduli repressivi del diritto penale d’evento72

. Proprio la ricostruzione del nesso eziologico, nei casi di esposizioni professionali a polveri di amianto, evidenzia come le incertezze sul piano penalistico siano il riflesso di più ampie incertezze che si manifestano sul piano tecnico-scientifico. In particolare, preso atto che l’esposizione a polveri di amianto causi con ragionevole certezza il

72 In questo senso vedi A. Gargani, La “flessibilizzazione” , op. cit. pag. 401 : l’autore sottolinea come in

ordine alla funzione patogena dell’amianto si pongono oggi due problemi di carattere tecnico-scientifico: il primo relativo al nesso causale, dovuto all’incapacità esplicativa delle leggi scientifiche; il secondo inerente la colpa e legato alla precarietà dell’accertamento della prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Tali problemi sono destinati, in sede giudiziale, a porre ulteriormente in crisi i moduli repressivi incentrati sulla produzione dell’evento.

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mesotelioma pleurico, rimane controverso se tale patologia sia dose-dipendente o, invece, dose-indipendente.

Le situazioni di rischio che manifestano la loro potenzialità lesiva a distanza di tempo, presentano aspetti problematici anche sul versante dell’imputazione colposa. Difatti, il divario di conoscenze e tecniche preventive tra il momento della condotta e quello del giudizio, espone il giudizio di colpa e, in particolare il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo, al rischio di ‹‹surrettizie applicazioni retroattive di standard preventivi›› consolidatosi medio tempore, la cui osservanza non era esigibile all’epoca della condotta73

. Il pericolo è che in sede giudiziale, si manifesti quella tensione tra “saperi del presente” e “saperi del passato”, che finisce inevitabilmente per costruire il profilo dell’agente modello di riferimento, facendo leva su parametri valutativi che ‹‹prescindono dalla posizione dell’agente al momento della condotta››, e risultano incentrati, piuttosto, ‹‹sulla base degli elementi conoscitivi venuti ad emersione nel momento del giudizio››74. Il tema dei danni a distanza, nel peculiare ambito dell’esposizione a sostanze tossiche, espone, dunque, al pericolo di una ricostruzione della colpa secondo un giudizio retrospettivo, attraverso il fenomeno della c.d. cripto retroattività della conoscenza cautelare: i comportamenti virtuosi di oggi vengono riferiti al passato, ma quello che si sa oggi non si sapeva all’epoca in cui si è tenuta la condotta.

Le difficoltà nella ricostruzione del nesso eziologico, accompagnata alla caducità della valutazione del coefficiente soggettivo di imputazione colposa, sono l’espressione della complessità che le nuove forme di offesa riflettono sul piano giuridico, ogni qual volta si renda necessario applicare le categorie basilari del diritto penale d’evento. Le complessità evidenziate sono tali da comportare, stante il difetto di certezze cognitive, il rischio di una paralisi decisionale. In particolare, la rigidità dei principi e dei criteri di imputazione del diritto penale tradizionale, si pone in contrasto con l’esigenza ‹‹di un costante adattamento dei parametri ermeneutici alle istanze poste da nuovi scenari empirico criminologici››75

. Nel tentativo di offrire, comunque, una risposta efficace alle aspettative di tutela emergenti sul piano sociale, la giurisprudenza

73

Ivi, pag. 403.

74 G. De Francesco, Diritto penale. I fondamenti, Torino, 2011, pag. 349 citato in A. Gargani, La “flessibilizzazione”, op. cit. pag. 403.

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riduce le difficoltà preventive e repressive poste dalle fenomenologie dannose della post-modernità, assicurando, altresì, la sopravvivenza applicativa delle fattispecie di evento. In chiave di semplificazione dei canoni di ascrizione della responsabilità penale, i giudici, pertanto, ricorrono alla flessibilizzazione delle categorie dogmatiche penalistiche, in modo tale da estendere l’incriminazione, ben oltre i confini segnati dalla causalità e dalla colpevolezza76. L’effetto di ciò è che le incertezze epistemologiche caratterizzanti le nuove fenomenologie dannose, si riflettono inevitabilmente sul giudizio relativo ai reati di evento, favorendo l’ingresso di saperi non corroborati, e, in particolare, del concetto di rischio. In dottrina si ritiene che il rischio incorpori una nozione in sé intrinsecamente elastica ed inafferrabile, e diviene ‹‹il luogo argomentativo sul quale si convergono, e tra loro interagiscono, linee di pensiero e percorsi di azione differenti››77. L’utilizzo del concetto di rischio, nell’ambito del diritto penale d’evento, risulterebbe in grado ‹‹di colmare il deficit di esplicatività palesato dal sapere nomologico e di forzare retrospettivamente i margini di esigibilità di condotte conformi a standard iper-cautelativi››78. L’ingresso di una valutazione in chiave di rischio dei criteri di ascrizione della responsabilità penale, trova conferma in quella giurisprudenza, di merito e di legittimità, che nell’accertamento della causalità si rifà alla teoria dell’aumento (o mancata minimizzazione) del rischio79

.

Nell’ambito della colpa, invece, il concetto di rischio assume un valore fisiologico. Il rimprovero colposo richiede, infatti, che l’evento lesivo occorso sia la concretizzazione del rischio previsto nello spettro preventivo del precetto cautelare violato. Si tratta, pertanto, di tracciare dei confini più chiari, tra il rischio inteso quale parametro valutativo dell’accertamento colposo, e le pericolose derive ermeneutiche che tendono a sovrapporre l’imputazione colposa alla responsabilità oggettiva. La tendenza giurisprudenziale a flessibilizzare i parametri di accertamento dell’imputazione colposa, secondo una logica di mero rischio, si registra in contesti caratterizzati da incertezza scientifica. È su questo problematico terreno che la giurisprudenza utilizza tecniche di espansione del potenziale preventivo di regole di condotta formulate in modo “aperto”, al pari di clausole generali, il cui spettro preventivo, originariamente circoscritto ad

76

Ibidem.

77 A. Alessandri, op.cit. pag.75.

78 A. Gargani, La “flessibilizzazione”, op. cit. pag. 405. 79 Vedi meglio, supra, Cap. I, par. 2.2-2.4.

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alcuni eventi, subisce un allargamento ex post a seguito della scoperta di ulteriori conseguenze lesive disvelate dal progresso scientifico. In tal modo, si sradica alla radice il valore della certezza, ovvero l’esigenza, sottesa al principio della prevedibilità ex

ante, della preesistenza e conoscibilità della regola cautelare da parte dell’agente al

momento del fatto. Forzature del modello “classico” di colpa vengono intraviste nel tentativo della giurisprudenza di fronteggiare le fenomenologie dei danni a distanza, caratterizzate dal progressivo accrescimento delle cognizioni scientifiche. In questo ambito, si assiste all’implementazione applicativa di norme cautelari aperte, a fronte dell’esigenza di ‹‹rendere più elastica ed impermeabile al fattore temporale, la determinazione della concretizzazione del rischio››80.

L’effetto è la rimozione del limite temporale, i cui effetti vengono annullati mediante un giudizio di colpa, e in particolare il giudizio di prevedibilità, non più condotto in una prospettiva ex ante, ma ex post secondo la logica del “senno di poi”. In primo piano si pone l’estensione della portata preventiva di norme cautelari aperte, a seguito dell’evoluzione del sapere scientifico: si ritiene che all’inosservanza di regole cautelari teleologicamente condizionate dal livello di conoscenze esistenti al tempo della condotta, sia connaturata la prevedibilità di eventi più gravi, non prevedibili ex

ante. La lettura giurisprudenziale che individua il fondamento di tali norme cautelari

non necessariamente nella certezza scientifica, ma nella ‹‹mera possibilità di conseguenze lesive, basata su elementi concreti e stimata su ricerche non ancora cristallizzate, si traduce nel riconoscimento di regole cautelari aperte ai progressi del sapere scientifico e strutturate in maniera tale da tenere sempre in considerazione l’evoluzione scientifica e tecnologica››81. Dunque, ‹‹regole cautelari in progress››, che secondo la c.d. default option dovrebbero indurre i destinatari ad astenersi dallo svolgimento di talune attività in presenza del mero sospetto di nocività delle stesse, anche in difetto di conoscenze scientifiche certe. La conseguenza della mancata astensione è che ogni evento di danno eziologicamente collegato alla condotta sarà imputabile all’agente, a prescindere dalla loro specifica prevedibilità, in quanto sempre

80 A. Gargani, La “flessibilizzazione”, op. cit. pag. 419. 81 Ivi, pag. 420.

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riconducibili ad un medesimo spettro preventivo, inerente allo stesso bene ‹‹alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla norma››82

.

Fondare il giudizio di prevedibilità sul concetto di rischio, svincola la ricostruzione della colpa dalla base conoscitiva disponibile al momento della condotta, e fomenta accertamenti retrospettivi che esigono la prevedibilità ex ante di eventi indistinti di danno, e, inoltre, l’evitabilità di ciò che non poteva essere scongiurato mediante le tecniche preventive esistenti al tempo della condotta. La condotta diligente viene individuata dall’agente soltanto al momento del giudizio, tramite l’ipertrofia della colpa specifica e l’impiego di norme cautelari aperte. In questo senso, l’art. 2087 c.c. si presta ad essere utilizzato dalla giurisprudenza come un vero e proprio ‹‹parametro di colpa specifica omnicomprensivo››, soprattutto nelle ipotesi di colpa da esposizioni professionali: ‹‹l’art.2087c.c. consente alla giurisprudenza di pretendere che l’agente realizzi oggi quanto (in termini di prevenzione) verrà conosciuto domani››83

.

Sulla base del rischio tutto diventa prevedibile ed evitabile, la dottrina ha evidenziato che il rischio finisce per ‹‹trasformare la diagnosi in prognosi, il reato consumato in tentativo, l’omissione impropria in colpa, l’evento di danno in pericolo››, valorizzando, pertanto, le istanze general-preventive a scapito della certezza e uniformità di giudizio84. Per effetto si simili trasformazioni, l’omessa adozione di cautele, oggi considerate pioneristiche, potrebbe un domani essere ritenuta rimproverabile, poiché esigibili.

Attraverso la flessibilizzazione delle categorie del diritto penale d’evento, la giurisprudenza tenta di dare una risposta efficace alle istanze di tutela promananti dalle vittime delle fenomenologie dannose della post-modernità, cercando ‹‹di controllare e governare una realtà che, spesso, viene afferrata e decifrata soltanto dopo un lungo periodo di tempo dal verificarsi dell’accadimento lesivo››85.Con il rischio, come è stato

82

Ibidem in cui l’autore analizzando gli esiti del processo del Petrolchimico di Porto Marghera sottolinea come la tesi della S.C. secondo cui la percepibilità della potenziale idoneità del CVM a dar vita a situazioni di danno sarebbe sufficiente a ritenere prevedibile ex ante tutte le conseguenze lesive eziologicamente collegate all’esposizione, finisce per condurre la ricostruzione dell’imputazione colposa verso un paradigma di rischio, espressione del principio di precauzione.

83 Ivi, pag. 423. 84 Ivi, pag. 424. 85 Ibidem.

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sottolineato, che dietro la tardiva stigmatizzazione di condotte remotissime si profili l’ombra della vendetta86

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3. La ricostruzione del coefficiente colposo nella giurisprudenza sul caso del