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4. Il Diritto amministrativo nella società del rischio

1.6 L’evitabilità dell’evento lesivo mediante l’osservanza della regola cautelare

Poiché ogni regola cautelare appare collegata allo scopo di ridurre il più possibile il rischio di eventi lesivi, la sua inosservanza può fondare un rimprovero a titolo di colpa soltanto ed esclusivamente se l’evento accaduto rientri nel genere degli eventi che la norma (che si assume essere violata) mirava a prevenire. Tale connessione, tradizionalmente denominata in dottrina come c.d. causalità della colpa, implica l’instaurazione di un giudizio di relazione, tra la norma cautelare e l’evento accaduto, da effettuare necessariamente ex ante, cioè al momento nel quale la condotta conforme alla regola cautelare avrebbe dovuto essere realizzata. Basti pensare ad una norma cautelare che fissi, in relazione ad una determinata sostanza, un limite di esposizione volto a prevenire l’insorgere di una determinata patologia. Il mancato rispetto del limite non può fondare un addebito colposo, laddove ciò abbia causato patologie più gravi o differenti (caratterizzate da un’eziopatogenesi differente) da quelle che la norma cautelare mirava a prevenire al tempo della sua inosservanza. In questo caso a difettare sarebbe il collegamento forte tra la disposizione prevenzionistica e l’evento offensivo

hic et nunc, lacuna che, ragionando diversamente, finirebbe per essere colmata dal

ricorso al canone del versari in re illicita. La colpa, dunque, deve essere sempre stimata ‹‹alla luce dello scopo di protezione della regola cautelare che ne rappresenta il fondamento››56

.

54 Come analizzato nel Cap. II sez. II par. 3 del presente lavoro, il principio di precauzione mira a

fronteggiare rischi di carattere generico non integralmente dimostrabili o percepibili nella loro portata reale, a causa della contraddittorietà e insufficienza dei dati scientifici. Una condotta espressione di tal principio imporrebbe l’adozione di cautele idonee a scongiurare eventi lesivi non prevedibili integralmente all’epoca della condotta, ma soltanto ipotizzabili e non escludibili.

55 F.Mucciarelli, op. cit. pag. 212. 56 G. De Francesco, op. cit. pag. 448.

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Il rapporto tra colpa ed evento viene in considerazione, infine, nella prospettiva collegata alla capacità della regola cautelare di impedire il verificarsi dell’evento che tale regola mirava ad evitare. Il giudizio di evitabilità, infatti, verifica l’attitudine della condotta descritta dalla norma cautelare, o della condotta doverosa omessa, ad evitare l’evento lesivo occorso. Esso consiste nella valutazione dell’efficacia impeditiva del c.d. comportamento alternativo lecito rispetto all’evento verificatosi, con la conseguenza che non è rimproverabile chi non poteva impedire l’evento nemmeno conformando il proprio agire alle norme cautelari violate nel caso di specie. In quest’ultima ipotesi l’evento verificatosi rappresenta bensì la concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad impedire, ma, tuttavia, esso non era prevenibile mediante l’osservanza della norma stessa, che appare dunque, in concreto, priva di scopo.

Il profilo dell’evitabilità riveste peculiare rilevanza nell’ambito delle malattie professionali, rispetto alle quali all’epoca delle condotte non esisteva una specifica regola cautelare, ovvero quelle esistenti erano intese a fronteggiare malattie meno gravi da quelle in concreto occorse. In via di esemplificazione, nell’ambito della responsabilità per esposizione dei lavoratori ad amianto, la tendenza della giurisprudenza è quella di basare il rimprovero colposo sulla mancata adozione di dispositivi di protezione individuale (in particolare le mascherine). Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha evidenziato, però, che a causare il mesotelioma pleurico (neoplasia letale della membrana polmonare) fossero una tipologia di fibre di amianto, le c.d. fibre ultrafini, la cui inalazione non poteva essere impedita dall’utilizzo delle mascherine disponibili all’epoca dell’esposizione. Dunque, il comportamento alternativo lecito non era idoneo ad impedire il verificarsi dell’evento morte per mesotelioma, di conseguenza nessun rimprovero per colpa potrebbe essere mosso. La prassi giurisprudenziale, come in seguitò si vedrà, giunge, invece, ad un’affermazione di responsabilità ritenendo evitabile l’evento.

Nell’accertare la portata impeditiva della condotta doverosa omessa è indispensabile fare ricorso alle leggi scientifiche di copertura, trattandosi, infatti, di valutare comparativamente un decorso causale reale (attivato dall’inosservanza) ed un decorso causale ipotetico (relativo all’osservanza), giacché quest’ultimo deve risultare certo e non semplicemente probabile. La dottrina, in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza maggioritaria, ritiene che il giudizio di evitabilità debba necessariamente

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essere condotto sulla base delle leggi scientifiche di copertura disponibili all’epoca della condotta, ed idonee a spiegare le dinamiche causali esistenti tra la condotta e l’evento lesivo57. L’oggetto dell’evitabilità è individuato nell’evento hic et nunc, colto nei suoi elementi identificativi ma pur sempre caratterizzato da una concretezza spazio- temporale, in quanto realmente verificatosi. Tale evento deve essere anche prevedibile

ex ante: sulla base delle conoscenze scientifiche più aggiornate al tempo della condotta,

l’evento hic et nunc può essere considerato come un probabile sviluppo della situazione contestuale. Dunque, l’evitabilità deve essere misurata rispetto ad eventi concreti riconducibili a generi di eventi a loro volta prevedibili secondo leggi scientifiche o massime di esperienza disponibili ex ante (al momento della condotta)58. Del resto, se si ritenesse che il giudizio di evitabilità ex ante non debba fondarsi sulle leggi scientifiche disponibili all’epoca della condotta, potendosi applicare anche quelle successive, si finirebbe da una parte per estendere l’ambito di tutela di norme intese a fronteggiare eventi prevedibili ma diversi in riferimento al genere, e, dall’altra, per ritenere ex ante prevedibile l’evento concreto verificatosi, la cui connessione causale con la condotta sia stata scoperta in un momento successivo alla stessa59. La conseguenza di tale ricostruzione è che l’evento che costituisce il reato non viene colto come fatto storicamente dato, ma come ‹‹ambito rappresentativo di generici fatti dannosi›› mutando così la descrizione dell’oggetto del giudizio di evitabilità che viene trasfigurato in un orizzonte di ‹‹generica potenziale pericolosità››. In tal modo l’evitabilità non afferisce più all’evento prevedibile, ma, invece, al rischio generico di futuri e possibili eventi offensivi60.

È plausibile che il giudizio di evitabilità debba avere ad oggetto l’evento accaduto individuato attraverso i suoi tratti caratteristici. Tale evento deve essere

57

Su tutti vedi: F. Palazzo, op. cit. pag. 189 richiamato anche in F. Mucciarelli, op. cit. pag. 213.

58 F. Mucciarelli, op. cit. pagg.214-215.

59 F. Mucciarelli, op. cit. pag. 215: in cui l’autore sottolinea come tale ricostruzione argomentativa

finirebbe, in presenza della riconosciuta pericolosità di una sostanza rispetto a determinate malattie, per autorizzare l’ipotesi che quella stessa sostanza possa generare rischi d’insorgenza anche di altre e diverse patologie, pur in assenza di qualunque riscontro scientifico che suggerisce un qualche tipo di rapporto fra le differenti malattie.

60 Per approfondimento vedi: D. Pulitanò, op. cit. pag. 654; F. Mucciarelli, op. cit., pag. 214-217 in cui

l’autore analizza la prassi volta ad affermare l’evitabilità dell’evento non sulla base di una legge di copertura esistente al momento della condotta, bensì sulla base del giudizio prognostico, non fondato su leggi scientifiche di copertura, che l’area di rischio, cui l’evento appartiene, si sarebbe ridotta se l’agente avesse tenuto una condotta maggiormente prudente.

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prevedibile ex ante, perché solo attraverso ciò è possibile valutare se all’epoca in cui fu realizzata la condotta, ovvero avrebbe dovuto essere tenuta la condotta diligente, vi era una regola cautelare intesa a prevenire eventi del genere di quello verificatosi. Inoltre, si tratta di verificare se l’agire diligente da parte del soggetto agente avrebbe impedito con ragionevole certezza l’evento lesivo. D’altronde, il canone della colpevolezza esige che la regola cautelare, da cui si ricava il c.d. comportamento alternativo lecito, debba preesistere alla condotta e all’evento, e non essere ricava a ritroso da quest’ultimo61

.

1.7 La dimensione soggettiva della colpa: l’attribuibilità dell’inosservanza e la costruzione dell’agente modello

Il profilo più delicato del giudizio di colpa risiede nel suo momento conclusivo, quando si tratta di stabilire se l’inosservanza del dovere obiettivo di diligenza o della norma cautelare, il cui rischio si è concretizzato nell’evento, sia personalmente rimproverabile al soggetto agente. L’elemento soggettivo dell’esigibilità dell’osservanza (della norma cautelare o della condotta diligente) consente di riportare il giudizio di colpa nell’ambito della responsabilità personale e, così, di distinguerlo dalla responsabilità oggettiva. D’altronde, per salvaguardare l’autonomia della colpa, quale reale forma di colpevolezza, non basta l’inosservanza cautelare, ma occorre, altresì, che tale inosservanza sia soggettivamente imputabile e rimproverabile all’agente: la c.d. misura soggettiva della colpa, il terzo elemento personalizzante la responsabilità colposa.

In questo senso, il problema centrale della colpa è individuato nella ricerca di un punto di equilibrio tra il non soggettivizzarla, fino a renderla inattuabile, e non oggettivizzarla fino a svuotarla come criterio di imputazione soggettiva62.

Occorre distinguere a questo proposito tra ipotesi di colpa generica e ipotesi di colpa specifica. Nel caso di colpa generica anche l’accertamento della misura soggettiva della colpa è ricondotta al criterio della prevedibilità, in concreto ed ex ante dell’evento, e dell’evitabilità del medesimo, sul presupposto secondo cui nessun rimprovero può muoversi all’agente se il risultato non poteva essere previsto oppure impedito. Cruciale,

61 Cfr. F. Mucciarelli, op. cit. pag. 218. 62 F. Mantovani, op. cit. 357.

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ai fini della rimproverabilità per colpa, diventa l’individuazione del parametro di riferimento attraverso il quale valutare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo occorso. In dottrina si registra una sostanziale concordia nel rifiuto del parametro dell’agente concreto. Tale criterio risulta troppo soggettivizzante, perché, dovendo tenere conto di tutte le caratteristiche, le qualità e le mutevoli condizioni personali dell’agente concreto, e per il solo fatto che egli in quella specifica situazione non abbia previsto l’evento, porterebbe sempre ad escludere il rimprovero per colpa, non essendo dall’agente esigibile una diversa condotta. Inoltre, dovendo indagare le sole conoscenze possedute dall’agente concreto, e non anche quelle che era tenuto ad avere in rapporto al tipo di attività svolta, tale il criterio incentiverebbe l’ignoranza, poiché colui che più ignora più è scusato. Neppure si potrebbe ipotizzare che il parametro di riferimento, per valutare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, sia un criterio unico e indifferenziato per tutte le situazioni concrete: una sorta di “buon padre di famiglia” o di “uomo medio”. In questo caso, non sarebbe considerata la circostanza che nella società attuale i consociati possono disporre di un livello di competenze e conoscenze differenziato e specialistico, finendo per privilegiare i soggetti più esperti a scapito dei meno esperti.

Al fine di contemperare la duplice esigenza di personalizzazione della colpa e imprescindibilità di un certo grado di normativizzazione e, quindi di generalizzazione, della stessa, si tratta di individuare un parametro, non già unico e indifferenziato, ma plurimo e differenziato a seconda del tipo di attività svolta e, quindi, della natura del pericolo affrontata nella situazione concreta. In questo senso, il parametro più adeguato per valutare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento: è il criterio normativo dell’agente modello o homo eiusdem professionis et condicionis. Il criterio dell’agente modello è imposto dalla moderna divisione e specializzazione del lavoro e dai molteplici patrimoni cognitivi esistenti, nonché dall’esigenza di tenere conto delle qualità personali e conoscenze che si presumono esistenti nel soggetto concreto. L’agente modello non coincide con l’esponente medio della cerchia di persone che svolgono una determinata attività, né con l’esponente fornito della miglior scienza ed esperienza di quel settore.

Tale figura implica un livello di conoscenze ed esperienze da considerarsi proprio di un “gruppo ideale” di individui, nel quale sia possibile includere anche l’agente concreto. Il procedimento di costruzione della figura dell’agente modello prende le mosse dalla persona reale dell’imputato. Benché per i motivi suddetti il punto

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di vista mediante il quale valutare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento non potrà mai essere quello dell’imputato, il rispetto del principio di colpevolezza impone la costruzione dell’agente modello tenendo sempre conto della persona reale di costui. Ciò consente di garantire alla responsabilità per colpa un’aderenza alla persona dell’agente concreto, tipica di un criterio di imputazione personale63. Si tratta, dunque, di individuare le c.d. note distintive, cioè i tratti caratteristici e le qualità salienti della persona dell’imputato, che consentono di ricondurlo in gruppo di persone a lui omologhe, altrimenti detto in un circolo di rapporti, dal quale poi estrapolare mentalmente l’esponente coscienzioso ed avveduto (agente modello) dal cui punto di vista andranno valutate prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Tali note distintive possono di volta in volta essere costituite, a seconda del caso concreto: dalla professione svolta dall’agente concerto, dall’attività svolta nel caso di specie, dall’età e dalle più significative e marcate caratteristiche della struttura fisica dell’agente concreto, comprese eventuali menomazioni fisiche (forza fisica, età, altezza e cosi via). Non tutte le note devono, sempre e comunque, essere utilizzate per individuare la cerchia dei soggetti rilevante; verranno, invece, utilizzate quelle che presentano una connessione con la condotta della cui colposità si tratta.

La formula tradizionale dell’homo eiusdem professionis et condicionis riassume, così, le note distintive presenti nell’agente concreto, che, a seconda del caso di specie servono ad individuare l’agente modello64. Da ciò discende: la costruzione dell’agente modello in rapporto al tipo di attività svolta in un settore genericamente individuato, con la conseguente pluralità di agenti modello specifici in corrispondenza dei diversi tipi di attività umane (cacciatore-modello, automobilista-modello); e la sussunzione dell’agente concreto sotto uno degli agenti modello specifici in ragione dell’attività svolta nel caso concreto. Una pluralità di agenti modello può essere individuata anche all’interno dello stesso genus di attività. Così nell’attività medico chirurgica i livelli necessari di perizia vanno determinati in rapporto agli agenti modello delle varie specializzazioni ( per esempio diversi sono gli agenti modello del chirurgo trapiantista, del chirurgo di neurochirurgia, del medico generico).

63

F. Basile, Fisionomia e ruolo dell’agente‐modello ai fini dell’accertamento processuale della colpa

generica, in www. penale contemporaneo. it pag. 15.

64 Per un approfondimento sul procedimento di costruzione dell’agente modello vedi:

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La figura normativa dell’agente modello, dunque, finisce col rappresentare il modello normativo dell’agente stesso, corrispondendo a quanto di meglio egli sarebbe stato in grado di dare, a prescindere dalla sua condotta, in quella particolare circostanza65.

Una volta individuato il parametro di riferimento, si dovrà valutare la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento secondo l’agente modello, ma pur sempre in concreto, nel senso cioè di tenere conto di tutte le circostanze presenti nella situazione concreta in cui l’agente si trovava ad operare. Così nell’ambito della circolazione stradale, l’improvvisa insorgenza di una situazione eccezionale fa si che neppure l’agente modello dell’automobilista avrebbe previsto ed evitato l’incidente, provocato dal concreto automobilista. Ma anche, all’opposto, bisognerà considerare l’eventuale conoscenza di situazioni di pericolo da parte dell’agente concreto, perché, in presenza di tali conoscenze, sarà da lui esigibile il rispetto di particolari cautele (per esempio l’automobilista, che abitando nella zona, conosce la pericolosità dell’incrocio in cui si è verificato l’incidente).

Si tratta di tenere conto, inoltre, della relatività del giudizio di colpa, nel senso cioè che l’evento verificatosi poteva essere prevedibile ed evitabile da un agente modello e non da un altro. In questo caso, le suddette note distintive consentono di individuare determinate conoscenze od abilità in capo ad alcuni soggetti esercenti un’attività, all’interno della quale è possibile quindi distinguere diverse figure di agente modello: rispetto ad un medesimo incidente stradale può rispondere per colpa il guidatore esperto e non, invece, il principiante che non riesce ad attuare, per inesperienza, la manovra di emergenza, resasi improvvisamente necessaria.. Alla luce di tali considerazioni, l’agente concreto sarà rimproverabile, quando l’evento poteva essere prevedibile ed evitabile dall’agente modello, a cui egli appartiene, ed era dunque esigibile dallo stesso un agire diligente.

La dimensione soggettiva della colpa merita diverse osservazioni in riferimento alla colpa specifica. La circostanza che nelle ipotesi di colpa specifica la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento lesivo siano incorporate nella stessa norma cautelare violata, rende superfluo il ricorso al parametro dell’agente modello, che condiziona

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l’attribuibilità dell’inosservanza nella colpa generica. Peraltro, essendo rivolte a specifiche categorie di soggetti esercenti determinati tipi di attività, le regole cautelari che fondano il giudizio di colpa, sarebbero già state costruite e concepite dal legislatore ‹‹in rapporto alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da parte dell’agente modello della stessa professione e condizione››66

. In questi casi, si deve riconoscere che la cautela corrisponde ad uno standard normativo a cui è tenuto ad adeguarsi ogni soggetto che eserciti quell’attività. Però, come rilevato da Padovani, non v’è dubbio che quando la norma cautelare violata, sebbene positivizzata, presenti un contenuto del tutto indeterminato, il criterio di attribuibilità dell’inosservanza sia quello della colpa generica. In queste ipotesi, il rischio è, infatti, di fare leva sul carattere virtualmente specifico della colpa, per privare quella che in realtà è una forma di colpa generica del giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento concreto. È necessario, dunque, il ricorso al canone dell’agente modello di riferimento, al fine di valutare l’esigibilità dell’osservanza di quelle regole, il cui contenuto deve essere derivato dall’esperienza, sulla base della prevedibilità ed evitabilità dell’evento lesivo che la norma mirava a prevenire67. Non si può escludere che talune particolari circostanze rendano concretamente inesigibile l’osservanza, della norma cautelare positivizzata, da parte dell’agente concreto: quando senza colpa l’agente abbia ignorato il precetto cautelare; quando l’osservanza della norma comporterebbe il rischio che la stessa mira ad evitare.