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4. Il Diritto amministrativo nella società del rischio

1.4 L’inosservanza della regola cautelare o del dovere di diligenza

1.4.2 La conoscenza/conoscibilità della situazione di fatto e della regola cautelare

Il tema della conoscibilità merita di essere indagato con riferimento a due diversi profili: da un lato, la conoscibilità della situazione concreta, cioè del contesto che costituisce il presupposto fattuale nel quale si fonda e dal quale promana l’obbligo di agire diligentemente; dall’altro, la conoscibilità della norma cautelare a cui l’agente deve conformarsi. Si è accennato al fatto che la conoscenza della situazione contestuale costituisce il presupposto imprescindibile per la configurazione della colpa nella sua forma aggravata dalla previsione dell’evento, giacché non è pensabile la previsione di un evento futuro, senza la conoscenza della situazione presente coeva alla condotta.

35 Ivi, pag. 196. 36 Ivi, pag. 197.

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La conoscibilità della situazione contestuale è costituita non solo dalla componente empirica, cioè dalla corretta rappresentabilità della situazione di fatto al momento nel quale la condotta diligente avrebbe dovuto essere realizzata, ma anche da un profilo assiologico, costituito dalla riconoscibilità della valenza segnaletica di detta situazione in ordine al dovere di adeguare alla regola cautelare il comportamento del soggetto agente. Cruciale diventa l’individuazione di un parametro fisso e oggettivo, che possa essere assunto come termine di raffronto per decidere se quella determinata situazione di fatto avrebbe potuto o dovuto essere rilevata. In proposito, il richiamo al canone ermenutico dell’agente modello, costituisce, senz’altro, un solido punto d’avvio e insieme fornisce un’attendibile base sul versante logico e giuridico. Come sottolineato da Mucciarelli, però, il criterio normativo dell’agente modello presenta contorni incerti, qualora si rapporti con i contesti produttivi moderni, suscettibili di generare processi industriali intrinsecamente rischiosi e, dunque, potenzialmente produttivi di fatti lesivi colposi. Proprio nell’ambito del diritto penale del lavoro, evocare la formula del “datore di lavoro modello” (ovvero il modello di altre figure previste) soddisfa solo formalmente, non contribuendo a riempire di contenuti la nozione che deve costituire il parametro di riferimento. La soluzione proposta in dottrina passa attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c.. Tale disposizione nel richiamare l’esigenza che il datore di lavoro adotti le misure necessarie, secondo l’esperienza e la tecnica, per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, fornisce ‹‹un’indicazione programmatico-metodologica›› che, letta alla luce della giurisprudenza costituzionale, della sentenza n. 364/1988, stabilisce un punto fermo per l’individuazione del parametro in esame37

. Nella sentenza anzidetta il Giudice delle leggi fissa un principio valevole erga omnes, secondo il quale: il doveroso rispetto dei diritti altrui e dei beni giuridici tutelati, richiede che i singoli si informino prima di agire, si informino sulle leggi e si attivino per conoscerle. Inoltre, tale esigenza di informarsi prima di agire deve apprezzarsi alla luce dell’attività svolta dal soggetto, nel senso che tanto maggiore dovrà essere la diligenza della previa informazione, quanto maggiori sono le competenze richieste per l’esercizio dell’attività svolta.

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Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c. suggerisce, allora, l’individuazione del parametro di riferimento per la conoscibilità della situazione contestuale, nell’ ‹‹appropriata valutazione della situazione di fatto, condotta razionalmente sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili››38. L’aggettivo “necessario” che compare all’art. 2087 c.c., pur se riferito alle misure da adottare, ‹‹innalza lo standard di diligenza, richiesto al datore di lavoro, fissandone il limite al compimento di una completa e analitica disamina della situazione stessa, secondo le procedure e tecniche adeguate››39

. Si tratterà di capire se la situazione concreta ed effettiva avrebbe potuto essere conosciuta qualora il soggetto qualificato avesse adottato la diligenza dovuta.

Passando alla conoscibilità della regola cautelare, viene in prima considerazione il rilievo che siffatto profilo è fortemente condizionato dalle caratteristiche estrinseche delle stesse regole cautelari, costituendo queste, il modello al quale deve adeguarsi la condotta del soggetto agente per definirsi diligente.

Procedendo per schematizzazioni, si può iniziare dalle norme autenticamente cautelari, contenute in testi di legge. Rispetto a tal genere di regole preventive, il tema della conoscibilità è sostanzialmente inesistente, risolvendosi la questione alla previa conoscibilità della situazione di fatto da cui promana l’obbligo di agire diligentemente. Una volta che l’accertamento richiamato abbia dato esito affermativo, non vi è dubbio che la norma cautelare era conoscibile per il soggetto richiamato, e lo stesso avrebbe dovuto adeguare la sua condotta alla medesima40. A conclusione analoga si giunge quando la regola cautelare, sebbene non contenuta in un testo di legge, sia da quest’ultimo richiamata, a condizione però che essa sia contenuta in fonti normative sub-primarie, o in atti redatti da agenzie pubbliche o enti privati, che abbiano un’adeguata diffusione. Una questione più delicata si pone, invece, per le regole cautelari che non abbiano la diffusione sopra ipotizzata, ma che siano confinate all’interno di cerchie tecniche ristrette, ovvero che appartengano ad un bagaglio di conoscenze limitato ad ambiti scientifici o sperimentali. Sotto tale profilo, un’attenta dottrina ha individuato le ‹‹conoscenze rilevanti››, cioè quelle conoscibili secondo la

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Ivi, pag. 200.

39 Ibidem. 40 Ivi, pag. 201.

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diligenza dovuta. Tali conoscenze ‹‹non sono quelle diffuse solo nella cerchia degli specialisti, né tantomeno le conoscenze avanzate da taluni centri di ricerca, bensì quelle costituiscono un patrimonio diffuso a partire da una certa data››41.

In questo senso, laddove la norma cautelare sia confinata all’interno di ambiti tecnici ristretti, coerenti con l’attività svolta dall’agente, la stessa può ritenersi ex ante conoscibile, alla luce dell’onere di informazione esigibile secondo le tecniche e le procedure adeguate42. Rispetto alla conoscibilità di tali norme cautelari, appare immaginabile però, soprattutto in contesti produttivi e altamente specializzati, una valutazione che tenga conto della tipologia dell’obbligato. Si pone, ad esempio, l’opportunità di considerare lo scarto che intercorre tra una multinazionale produttrice in regime di monopolio di un manufatto contenente una sostanza nociva e la piccola impresa che fa uso di quel manufatto. Tale profilo pone, però, alcune problematicità. Da un lato, i motivi connessi all’esigenza di assicurare la funzione conformativa del diritto penale, affiancati alla pretesa di non indebolire la risposta punitiva dell’ordinamento, depongono nel senso di non dare ingresso ad una simile ulteriore frammentazione. Non può però essere, per altro verso, sottaciuto che il disconoscimento delle suddette diversità, finirebbe per equiparare la portata dell’obbligo di informazione, assoggettando alla medesima disciplina situazioni diverse. Tanto più che in casi come quello dinanzi portato ad esempio, l’utilizzatore del prodotto pericoloso disporrebbe di un affidamento, legittimato non soltanto dalla mancanza di specifiche regole cautelari, ma anche dalla circostanza che quel prodotto viene fabbricato e distribuito da un soggetto che, per struttura e dimensioni, dispone delle capacità per svolgere un’attività volta a conseguire informazioni autonome e ulteriori43.

Le norme cautelari elaborate in ambiti scientifici o, addirittura, sperimentali, appaiono in dottrina non riconducibili ad una conoscibilità ex ante. In questo caso verrebbero in considerazione valutazioni di carattere epistemologico legate all’affidabilità della conoscenza scientifica e alla sua diffusione. Tuttavia, in relazione alla conoscibilità di tali regole, valgono le considerazione avanzate da una parte della dottrina, secondo le quali eventuali conoscenze superiori dell’agente debbono essere

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G. Marinucci, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, pag. 29 così citato in F. Mucciarelli, op. cit. pag. 202.

42 F. Mucciarelli, op. cit. pag.202. 43 Ivi, pag. 204.

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valutate in quanto ‹‹matrice di concretizzazione di regole cautelari››44

. Non vi è dubbio, infatti, che laddove il soggetto sia dotato di informazioni superiori, o ha la possibilità di accedervi ( ad esempio perché all’interno dell’impresa dispone di un centro di ricerca avanzato in costante contatto con istituzioni universitarie o scientifiche), tale circostanza innalza il suo standard di diligenza e, dunque, sarà esigibile la conoscibilità di quelle regole cautelari appartenenti ad un bagaglio di conoscenze limitato ad ambiti scientifici o sperimentali.