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4. Il Diritto amministrativo nella società del rischio

1.2 La dimensione oggettiva e soggettiva della colpa: i requisiti

Il codice penale all’art. 43 definisce come colposo (o contro l’intenzione) il delitto, ‹‹quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline››. La trattazione della tematica dell’imputazione colposa, non può che prendere avvio proprio dalla norma codicistica che ne contiene la definizione, rappresentando l’ineludibile punto di partenza, e di arrivo, di ogni indagine dogmatica.

La “storia della colpa” si caratterizza per l’avvicendarsi di teorie soggettivo- psicologiche e teorie oggettivo-normative, giacché esse costituiscono il risultato dei tentativi dottrinali volti ad una ricostruzione sistematica e ad una collocazione dogmatica dell’istituto.

Tra le teorie soggettive va annoverata la teoria della prevedibilità. Quest’ultima intende la colpa come mancata previsione di un evento prevedibile che, proprio per questo, è imputabile all’agente. Tale formulazione ha avuto il merito di segnalare l’importanza che, nella dogmatica della colpa, riveste la prevedibilità dell’evento. Tuttavia, il mero dato ipotetico della prevedibilità non esprimerebbe l’essenza della colpa senza un collegamento con l’inosservanza delle regole cautelari15

.

Analogamente, non troverebbe accoglimento la teoria, sempre soggettiva, dell’errore evitabile. Tale formulazione ricostruisce la colpa come un errore nella formazione o nell’esecuzione della volontà, senza, però, tenere conto che nel nostro ordinamento vi sono forme di colpa, come la negligenza o l’imprudenza, concettualmente staccate dall’idea dell’errore. E, d’altro canto, è l’errore che è,

14 Per la sentenza completa vedi: http://www.altalex.com/documents/news/2007/12/06/corte-

costituzionale-sentenza-13-12-1988-n-1085.

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Come affermato da Mantovani infatti solo attraverso questo collegamento può spiegarsi perché la colpa possa: a) sussistere nonostante la previsione dell’evento (colpa cosciente); b) non sussistere nonostante l’indubbia prevedibilità dell’evento, come nelle attività rischiose giuridicamente autorizzate svolte nel rispetto delle legis artis.

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viceversa, fonte di responsabilità anche per il nostro codice ( artt. 47 c.p., 49 c.p.), non in sé, ma in quanto determinato da colpa, dall’inosservanza di regole cautelari16

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Altrettanto non esaustive sono le teorie puramente oggettive, poiché, quest’ultime, comprendono l’essenza normativa della colpa, ma non la dimensione soggettiva. Alla tesi oggettiva che intende la colpa come violazione di un dovere di attenzione, la dottrina obietta la sussistenza del reato colposo anche senza alcun difetto di attenzione, come appunto nella colpa per imperizia.

Nell’ambito delle teorie oggettive, anche la teoria della causalità efficiente - secondo la quale per la sussistenza della colpa è necessario che l’agente sia causa efficiente di un evento e che egli si sia servito di mezzi antigiuridici - è parsa tutt’altro che persuasiva. Da un lato, perché la causazione dell’evento da parte dell’agente è un requisito indispensabile in tutti i reati, sia colposi che dolosi. Dall’altro, perché il secondo criterio risulta estremamente vago e, come tale, privo di capacità selettiva.

È evidente, dunque, che le teorie soggettive e oggettive, sebbene partano da premesse opposte, pervengano al medesimo risultato: lo slittamento della colpa verso la responsabilità oggettiva.

Prendendo atto delle obiezioni e, soprattutto, delle carenze palesate dalle teorie soggettive e oggettive sulla colpa, parte della dottrina ha elaborata una teoria mista: la c.d. teoria della duplice dimensione (o misura) dell’imputazione colposa. Tale tesi, sostenuta da Padovani17, riserva alla colpa non soltanto un ruolo all’interno del giudizio di colpevolezza, bensì, ancora prima, una funzione sistematica nell’ambito della tipicità del reato.

La colpa richiederebbe, in primo luogo, che la condotta dell’agente violi una regola obiettiva di diligenza, intendo per tale una regola ispirata a dei criteri di valutazione che prescindono dalle capacità personali del singolo, e che si fondano, invece, sullo standard della miglior scienza ed esperienza. In tale prospettiva, l’individuazione della regola obiettiva di diligenza, in grado di prevenire in assoluto

16 F. Mantovani, op. cit. pag. 345: l’autore espone l’esemplificazione del guardabarriera che provoca un

disastro non avendo abbassato le sbarre perché appisolatosi o per dimenticanza, e, non certo, per errore della volontà.

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Tra gli altri autori che si rifanno alla teoria della doppia misura della colpa vedi: G. Marinucci, La

colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965; F. Mantovani, op. cit. pag. 304; F. Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2013, pag. 322 ss; D. Pulitanò, Diritto Penale, Torino, 2013, pag.

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l’evento lesivo, scaturisce dalla prevedibilità ex ante (dell’evento) effettuata secondo il massimo livello di conoscenza ed esperienza riferibile alla situazione e al momento in cui opera l’agente (criterio della miglior scienza ed esperienza). L’oggettività di tale giudizio non impedisce, peraltro, che le capacità proprie dell’agente vengano esaminate in sede di ‹‹determinazione dei limiti di esigibilità dell’osservanza (ovvero di attribuibilità dell’inosservanza)››18

. Tale successivo giudizio si collocherebbe, dunque, sul piano della colpevolezza, dovendosi verificare se, nella situazione in cui agiva l’agente, era esigibile, secondo il parametro dell’agente modello, l’osservanza della regola pur obiettivamente violata. Il giudizio di colpa verrebbe, dunque, a comporsi di questi due momenti valutativi: il primo, oggettivo, attinente alla tipicità dell’illecito; l’altro, soggettivo-individuale, attinente, invece, al rimprovero di colpevolezza.

Padovani articola, quindi, l’analisi della colpa in tre momenti: l’inosservanza della regola obiettiva di diligenza; l’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola; l’esigibilità dell’osservanza da parte dell’agente.

Una differente ricostruzione dell’imputazione colposa è evidenziata da una parte minoritaria, seppur autorevole, della dottrina19.

De Francesco, in modo più essenziale, ricostruisce la colpa mediante la combinazione di due fondamentali elementi di giudizio: da un lato la prevedibilità dell’evento, dall’altro l’evitabilità di quest’ultimo mediante l’osservanza (della regola cautelare violata). Tale tesi estromette dal giudizio sulla colpa la dimensione oggettiva, e incentra la ricostruzione dell’imputazione colposa soltanto sul piano soggettivo. Secondo questa prospettiva, si tratterebbe di valutare se nel caso concreto era esigibile dall’agente l’osservanza della condotta diligente idonea ad impedire l’evento. Ciò avverrebbe mediante la duplice valutazione della prevedibilità ex ante (dell’evento) e dell’evitabilità, commisurata alla figura normativa dell’agente modello. De Francesco, dunque, ricorre al parametro dell’agente modello per valutare cosa poteva e doveva fare l’agente nella situazione concreta, ritenendo superfluo la preventiva definizione, mediante lo standard della miglior scienza ed esperienza, delle regole cautelari obiettivamente idonee ad impedire l’evento.

18 T. Padovani, op. cit. pag. 212.

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Entrambe le suddette teorie condividono l’assunto di rendere l’imputazione colposa conforme alla colpevolezza, tuttavia all’uniformità dei contenuti si accompagna un modus procedendi differente. Mentre la teoria prospettata da Padovani scandisce meglio il passaggio dallo standard più elevato della miglior scienza ed esperienza a quello dell’agente modello. Viceversa, la teoria proposta da De Francesco ricorre direttamente al parametro dell’agente modello per stabilire se nel caso concreto poteva esigersi il rispetto della regola cautelare, obiettivamente idonea ad evitare l’evento. Tale ricostruzione implica, però, una fiducia incondizionata nella capacità della giurisprudenza di soggettivizzare e personificare il parametro normativo dell’agente modello.

Nella prassi giudiziaria si manifesta, invece, la tendenza a costruire il parametro in questione in termini obiettivi, sulla base delle conoscenze e delle esperienze che bisogna presumere nei soggetti che esercitano determinate attività, prescindendo, quindi, dalla valorizzazione delle condizioni soggettive dell’agente concreto.

Appare preferibile, dunque, la teoria della duplice dimensione della colpa, dal momento che la scansione bifasica sopra prospettata consente meglio di verificare le differenze che si pongono tra lo standard più elevato (la miglior scienza ed esperienza) e il parametro di riferimento per valutare la colpevolezza dell’agente (agente modello). Ove, infatti, si annullasse la dimensione oggettiva, il rischio è di trasferire sull’agente modello la miglior scienza ed esperienza disponibile, annullando, così, il confronto tra i due profili e avvicinando la colpa alla responsabilità oggettiva.

La teoria della duplice dimensione della colpa intende, dunque, il coefficiente colposo secondo una doppia dimensione: la dimensione oggettiva, consistendo questo elemento nella condotta inosservante della regola cautelare volta alla salvaguardia dei beni giuridici; la dimensione soggettiva, consistendo tale secondo elemento essenziale nell’esigibilità dell’osservanza di tale regola da parte dell’agente. In questo senso la definizione del fatto illecito colposo, deve fondarsi su moduli normativi e psicologici insieme. I profili normativi, basati sulla inosservanza cautelare, sono ricostruiti soggettivamente attraverso il ricorso al parametro normativo dell’agente modello. Inoltre, sotto il profilo psicologico, il fatto colposo è qualificato dalla mancanza di volontà di almeno uno degli elementi del fatto tipico. Il successivo giudizio di colpevolezza, quale giudizio individualizzante del rapporto tra l’agente e il fatto

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soggettivamente connotato come colposo, potrà, in aggiunta, tenere conto di fattori della situazione concreta che escludano la colpa20.

L’essenza unitaria della responsabilità colposa può, perciò, ravvisarsi ‹‹nel rimprovero al soggetto (agente) per avere realizzato, involontariamente ma pur sempre attraverso la violazione di regole cautelari di condotta, un fatto di reato, che egli poteva evitare mediante l’osservanza, esigibile, di tali regole››21

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In conclusione, gli elementi costitutivi dell’imputazione colposa sono: l’elemento negativo della mancanza della volontà del fatto materiale tipico; l’elemento oggettivo dell’inosservanza delle regole cautelari, finalizzate a prevenire danni ai beni giuridici; l’elemento oggettivo dell’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola cautelare; l’elemento soggettivo dell’attribuibilità di tale inosservanza all’agente, potendosi esigere da lui l’osservanza.