• Non ci sono risultati.

6.4 Il momento della cattura

6.4.8 Comandanti valorosi, in fuga e caduti in battaglia

Anche i comandanti di reggimento possono tenere un comportamento eroico e combattere in mezzo ai propri uomini, ecco cosa racconta il comandante del 48° Fanteria:

Disposi per la difesa di casa Moretto dove dopo una lotta accanitissima di bombe a mano e fucileria – durata oltre due ore – fummo completamente accerchiati e sopraffatti. Il sottoscritto durante lo svolgimento dell’azione sparò tutte le cartucce della propria pistola e in qualche momento fece pure uso della pistola del tenente Laudati. (Colonnello Alessandro Pedemonti n. 10.350, Piave giugno 1918)

In questo caso il Tenente Laudati era ferito alla spalla destra come racconta egli stesso (n. 2.364), tuttavia Laudati non cita il “prestito” della pistola al colonnello.

Ma è molto più frequente che siano i capitani ad esporsi insieme ai loro uomini e subalterni:

Alle ore 17 seguitiamo la marcia verso il 2° argine… sostandovi sino il mattino dopo alle ore 8 che attacchiamo il nemico. Qui sono lieto di far testimonio del comportamento eroico del mio Capitano, il quale nel furore del combattimento sempre stette in piede dando le disposizioni necessarie al caso e durante l’attacco alla baionetta era intesta a tutti.

Il racconto si conclude due giorni dopo sempre insieme al “mio capitano”

Sentii raffiche di mitragliatrice alle spalle e il grido di guerra austriaco. Tra due fuochi abbiamo resistito… finché rimasti in pochi e senza cartucce il mio Capitano decise ritirarsi verso Casa Ninni, ma non fatti 200 metri troviamo il nemico al quale, dopo sparati gli ultimi colpi, dovemmo cedere (Sottotenente Julio César Ginocchio n. 9.952, Piave 17 giugno 1918)

La mancanza di munizioni ricorre molte volte fra le concause della cattura dei reparti, nel prossimo esempio la ricerca disperata di rifornimenti e munizioni fa scoprire che mancano ormai anche i comandanti, anche se è una realtà dura da comprendere :

Siccome si è accennato difettando di munizioni e per fare in modo che anche i complementi ultimi giunti avessero la loro parte mi vidi nella necessità di ritirare tutte le munizioni rimaste e ripartirle egualmente fra tutti i soldati risultando così che a ciascuno di essi spettava una parte molto esigua date le condizioni del momento… spedii immediatamente una corvè al Castello pel prelevamento di altre munizioni ma questa volta il caporale comandante la corvè di ritorno mi ebbe a riferire le seguenti precise parole << Sig. Tenente al Castello hanno appiccato il fuoco, non vi è nessuno, munizioni non ve n’è più, il Comando di Brigata e di Reggimento sono già scappati>> A queste stupide parole dette piuttosto ad alta voce e con fare allarmato investivo il detto Caporale malmenandolo e ammonendolo… (Tenente Antonio Ciampa n. 14.385)

In parecchi casi accade che gli “alti gradi” pensino soprattutto a “mantenere efficiente il comando” ecco come descrive il suo punto di vista un cappellano dei bersaglieri, che, ecclesiasticamente, lascia l’appellativo signor in minuscolo

Il sottoscritto ha il dovere di far notare una circostanza, a suo parere, molto importante. La sera tardi dopo il fallito tentativo di sfondamento il signor Maggior generale Nassi e il signor Maggiore Cagnolati del battaglione alpini Fenestrelle e comandante immediato della colonna formatasi a Longarone, partirono dicendo che sarebbero andati su un monte di destra per piazzare un cannone e vincere la resistenza nemica. Invece accompagnati da una guida del paese andarono via ponendosi in salvo, lasciando la colonna sopra una strada per tutta la notte, senza misure di sicurezza e senza ordini. (Tenente cappellano Emanuele Caronti n. 4.975)

Anche un ragioniere diciannovenne di Verona, giovanissimo ufficiale dei bersaglieri, lamenta il comportamento del generale:

Del Generale che comandava l’azione non si seppe notizia. Quello che è certo è che verso le 2 del mattino con altri ufficiali prendeva la via dei monti lasciandoci in balia di noi stessi (Aspirante Armando Fasoli n.4.188, Longarone novembre 1917). Annotazione sottolineata dall’ufficiale interrogatore.

Ai massimi gradi dei generali catturati nella battaglia di Caporetto ci sono alcuni comandanti di divisione: di questi il Gen. Farisoglio fu il primo della sua divisione ad essere

catturato, al ponte di Caporetto.Il Generale Rocca, invece, restò da solo con l’attendente e fu l’ultimo della sua divisione ad essere preso; un ufficiale del suo stato maggiore racconta l’ estremo tentativo di fuga:

Al mattino (8 novembre) ci rifocillammo assieme alla truppa uccidendo 3 muli che avevamo al nostro seguito e riprendemmo la marcia. Camminammo tutto il giorno ed attraversammo nella notte Forcella Dodesmala per raggiungere l’alta valle Meduna e di qui la forcella Caserata e portarci in conca di Claut. Nella ascesa e discesa della forcella soffrimmo torture inenarrabili, sia per la difficoltà del terreno, rese maggiori dalle tenebre della notte, sia per la tormenta che imperversava agghiacciante. Nelle prime ore del mattino (9 novembre)… non era ormai possibile un’ulteriore resistenza, avendo esaurito tutte le munizioni ed essendo da più giorni sprovvisti di viveri… si chiudevano così tutte le vie per sfuggire alla stretta nemica, ed il generale comandante la divisione… ci riunì presso un gruppo di case poco discoste, ove, dopo di aver proclamato che tutti avevano compiuto il proprio dovere dichiarò che ognuno di noi era in libertà. Risposi subito al nostro Generale, a nome anche degli altri ufficiali del comando che eravamo decisi a seguirlo sino alla morte, ma egli ci ringraziò facendoci comprendere che preferiva rimaner solo col capo di S.M. allo scopo di fare un ultimo tentativo di fuga per un sentiero, l’ultimo che presentava ancora qualche speranza di salvezza: ma a noi si veniva in tal modo vietato di approfittarne… il Generale e il Capo di S.M. ebbero appena il tempo di allontanarsi verso il sentiero suindicato, ma il nostro gruppo richiamò l’attenzione dei nemici, che fortunatamente non si accorsero del Generale e piombarono con alte grida e minacce su di noi intimandoci la resa. (Maggiore Ennio Zadotti n.4.352, Tramonti di Sopra novembre 1917)

Il Generale Rocca, con l’attendente, fu poi catturato il 18 dicembre sull’argine del Tagliamento nei pressi di Latisana, il suo capo di Stato maggiore, anche lui con l’attendente, era stato preso quattro giorni prima a Susegana presso il Piave.

In un altro caso però il comandante della brigata, la Ferrara, si salva perché è comunque più sveglio dei sottoposti:

Quando la truppa fu a posto, trovammo ricovero in una casa vicina. Immolato d’acqua, stando della veglia e dalle lunghe e faticose marce mi distesi su un mucchio di fieno nella camera attigua a quella occupata dal brigadiere e mi addormentai. Ad un tratto fui destato dal crepitare della fucileria e della mitraglia. Sotto la finestra si udiva la caratteristica detonazione dei Mauser. L’orologio segnava le 5.30. Entrai nella camera del Colonnello: non v’era più nessuno. Una vecchietta che era sola in casa mi disse che il Col. Brig. era andato

via col Capitano pochi minuti prima… uscii sulla strada. Sbucare dalla porta e trovarmi in mezzo ad una pattuglia tedesca fu un attimo solo. (Sottotenente Giuseppe Giudicepietro n. 11.846, Beivars 28 ottobre 1917)

Anche per un comandante di battaglione può essere utile saltare dalla finestra e mantenere libertà d’azione anche se solo per posticipare la cattura di poche ore:

Percorremmo insieme la via di Ipplis passammo il Natisone finché… oltre il torrente Molina trovammo sulla nostra destra un cascinale… Salii per una scala esterna ad un primo piano ove trovai in una camera una sedia per riposarmi. Non passò molto tempo finché verso le ore 1 ½ fummo scossi da forti colpi che ritengo di granate a mano… corsi alla finestra e sentii alte grida ed intimazioni in tedesco… non esitai pensai di tentare la fuga. Visitata la casa dalle parte opposta del cortile, giudicai di poter saltare dalla finestra e guadagnare la campagna. In sette io compreso e il mio A.M. saltammo e ci trovammo liberi. (Maggiore Pietro Penaglia n. 10.679, Faedis 28 ottobre 1917)

In questo caso l’ufficiale interrogatore, nel 1919, segnalò nella riga relativa: Condotta biasimevole: ha pensato al suo riposo e non a riunire il suo battaglione

Un altro comandante di battaglione invece rimane in testa alla colonna delle sue truppe e ne subisce le conseguenze:

Un ufficiale siciliano da Castrogiovanni, il precedente nome dell’ attuale Enna, dopo aver vissuto negli Stati Uniti per 10 anni era rientrato in Italia per la guerra, adesso a 34 anni si ritrovava in un reparto di bersaglieri:

Il 10 Nov. Alle ore 6 il Maggiore chiamò a rapporto i Comandanti di Reparti dicendo di esortare la truppa alla calma e trincerarsi alla meglio dove saremmo andati… dopo circa 15 minuti arrivò di corsa l’ufficiale addetto al carreggio del Regg. Tenente Schenone Carlo con un ciclista del Comando di Regg.to stesso con l’ordine di ritirarsi subito perché tagliati fuori. Intanto si seppe che il Colonnello aveva inviato quest’ordine fin dalle ore 2 e che il ciclista non era riuscito a trovare il battaglione… non appena il Batt si trovò in piano, incolonnato… il nemico che ci attendeva al varco sulle collinette circostanti aprì un fuoco di Mitrag e fucileria. Il maggiore che trovavasi subito dopo la compagnia di avanguardia ordinò a questa di passare il ponte a qualunque posto e rispondere al fuoco. I nemici sono da ogni parte bersagliano sempre e non si vedono. In quel momento venne ferito mortalmente il maggiore… Verso le ore 10 il Battaglione era tutto prigioniero… La salma del maggiore fu

lasciata in una casa di contadini. (Sottotenente Salvatore Maddalena n. 3.309, Ponte nelle Alpi novembre 1917)

Il maggiore Ercole Pecoraro, che era al comando del battaglione, era già stato decorato con medaglia d’argento e di bronzo.

Un comandante di compagnia alpina trova morte gloriosa, vicino a lui combatte colui che sarà il cantore delle sue gesta:

Non potendo tenere quella posizione il nostro capitano ci fece retrocedere a sbalzi e per gruppi verso Castel Gomberto. In uno di questi sbalzi mentre si cercava di vedere le direzioni d’attacco nemiche , cadde al mio fianco colpito in fronte il Capno Busa Sig. Enrico, splendida figura di capitano alpino. (Sottotenente Emanuele Isola n. 2.594, Monte Castelgomberto dicembre 1917)

Il Cap. Busa è immortalato dalle struggenti pagine di "Le scarpe al sole" scritto dal suo collega Capitano Paolo Monelli (n. 15.520).

Un altro capitano, che nell’ Albo d’oro dei caduti risulta disperso, viene indicato come caduto sul campo da uno dei suoi subalterni:

Il giorno 14 giugno alle ore 19 circa fui chiamato dal suddetto Capitano Martini Sig. Alfonso e avvertito che nella veniente notte il nemico avrebbe sferrato un attacco contro le nostre posizioni. A tal uopo mi ordinò di prendere tutte le misure ritenute necessarie facendomi presente che bisognava resistere, a qualunque costo…Alle ore 3 precise del mattino seguente artiglierie nemiche aprivano il fuoco … tre mitragliatrici furono colpite e distrutte e quaranta uomini messi fuori combattimento ( in linea 97 uomini)… presi contatto con il nemico e iniziai un violento combattimento… si sacrificò sul posto la prima sezione della compagnia… sopraffatto a colpi di bomba per deficienza di munizioni fui catturato con le armi alla mano con circa 20 uomini…. Il capitano Martini sig. Alfonso, ferito gravemente, rimase sul campo. (Tenente Livio Nanni, n. 3.122, Piave giugno 1918)