L’offensiva del 24 ottobre 1917 segnò il punto culminante della prima guerra mondiale per l’Italia. Fatto storico di enorme rilevanza, segnò profondamente l’animo della nazione; fu argomento accantonato durante il fascismo, che portava avanti “l’ Italia di Vittorio Veneto” come disse Mussolini. La relazione ufficiale della prima guerra mondiale sugli avvenimenti dell’autunno 1917 fu pubblicata solo negli anni sessanta. Molto famosa all’estero attraverso il romanzo di Ernst Hemingway “Addio alle armi”, la Battagli di Caporetto è ancora oggetto di studi e di nuove analisi, alcune delle quali utilizzano proprio le relazioni degli ufficiali prigionieri quale fonte primaria di informazioni.
Alcune delle testimonianze raccolte riecheggiano i momenti di confusione, disperazione e disperata ricerca della salvezza, negli stessi luoghi e negli stessi momenti già descritti da Carlo Emilio Gadda nel suo Taccuino di Caporetto.
Le truppe che difendevano il Monte Nero ebbero l’ordine di ritirata quando il ponte di Caporetto era già stato fatto saltare in aria; per le truppe rimaste bloccate iniziò la disperata ricerca di un passaggio sulle vorticose acque dell’ Isonzo in piena:
Il nostro spirito ribelle a tutto ciò che è sconforto ed abbandono ci consigliava alla lotta; conservando le nostre armi cominciammo i tentativi di passaggio sempre insieme al tenente Falco e a un aspirante della mia compagnia (credo fosse Forcellini), sconsigliati da molti degli astanti ma secondati da altri, tentammo di passare su una barca trattenuta da una fune ma dopo inutili sforzi la barca fu sbattuta dalla corrente sulla sponda e si riempi d’acque. A nulla valsero i coraggiosi che si gettarono a nuoto perché furono travolti; inutile gettare materiali nelle acque turbinose che tutto trasportavano. Risalimmo un poco il fiume e trovammo che in un punto più stretto legando insieme due lunghe tavole erano riusciti a gettare una fragile passerella, bisognava passare adagio uno alla volta.
Centinaia di militari di ogni grado si affollavano verso quella che si credeva la salvezza. Il ten Falco che mi precedeva di poco era riuscito a passare quando sulla strada cha passa alta sul fiume apparirono alcune teste e cominciarono a sparare delle fucilate; il nemico aveva scoperto il passaggio e dominando dall’alto la passerella e la folla avrebbe potuto massacrarci, ma si accontentarono di impedire il passaggio. Voler sparare su quelle truppe invisibili che ci dominavano dall’alto essendo allo scoperto e così ammassati non poteva certo mutare la situazione, tanto più che vedemmo lungo la via più a sinistra i nostri compagni che passati erano stati presi ad uno ad uno e incolonnati verso Caporetto.
Non so come non sono impazzito dalla disperazione , quasi incosciente tornai allo spazio piano predetto e mi avvidi che ormai molti avevano cominciato ad avviarsi verso Tolmino scortati dalle truppe nemiche che giravano tranquillamente a cavallo fra noi. Non potevo credere che si lasciasse stare fra noi dei soldati nemici mentre avevamo ancora un’ arma in mano. (Sottotenente Mario Ballarin n. 10.706)
Un sottonente medico del 7° alpini era distaccato però al 3° alpini Battaglione Monte Albergian schierato sul Monte Pleca, in seconda linea a est di Caporetto. Nel suo posto di medicazione vicino al comando di battaglione affluivano i feriti e insieme a loro notizie sempre più preoccupanti:
Le colonne nemiche che secondo notizie giunteci avevano già preso il M. Rosso, Il Mrzli e lo Sleme cominciarono ad attaccare le nostre posizioni col favore della fitta nebbia. L’Artiglieria italiana pochissimo rispose, nè fece tiri di sbarramento. Il nemico fu sempre respinto dalle nostre mitragliatrici… affluivano al posto di medicazione numerosi feriti. Il Colonnello Magliano aveva dato ordine di resistere a qualunque costo sebben si dicesse completamente isolato dai comandi superiori… la notte passò senza incidenti, benchè la posizione fosse già accerchiata, essendo il nemico a Caporetto. La mattina del 25 furono fatti in un contrattacco dai nostri circa 80 prigionieri austriaci con un capitano e due subalterni… Gli attacchi si fecero sempre più accaniti nel pomeriggio finché alle 17 circa il nemico balzava nella nostra trincea e il comandante del battaglione ordinava la resa. Il sottoscritto afferma di aver udito il comandante delle forze austroungariche chiedere del comandante della posizione ed essendogli stato presentato il Magg. Soliman elogiarlo per la brillante difesa fatta, asserendo inoltre che altrettanto non poteva dire della Brigata 223 e 224 che s’era arresa senza alcuna resistenza allo Sleme e al Mrzli. (Sottotenente Emilio Sartorelli n. 9.224,, Caporetto 25 ottobre 1917)
La brigata 223 e 224, dai numeri dei reggimenti, è la Brigata Etna, mentre il valore del battaglione Monte Albergian fu riconosciuto nel 1922 con l’assegnazione di una medaglia d’argento alla bandiera.
Uno studente della Scuola superiore di Commercio di Venezia era sulle falde del Monte Nero, a est di Caporetto, all’inizio della battaglia. Il disperato tentativo di sfuggire all’accerchiamento non gli riuscì, ecco come descrive gli avvenimenti:
Verso le ore 18 del 24 ottobre lo scrivente che era alla selletta Cosliac presso la propria Compagnia riceveva ordine scritto (che non sa precisare da chi fosse inviato) di guadagnare la riva destra dell’Isonzo a Caporetto. Poiché allo scrivente interessava che il suddetto ordine giungesse anche al Tenente sig. Macchi della 78° a selletta Sonza, incaricava il Sottotenente Del Marco di mettersi in testa alla Compagnia e di seguire il Battaglione, che già aveva incominciato la marcia, mentre aveva cura di indicare al porta ordini la direzione da tenere per giungere alla selletta Donza, cosa non molto facile data l’oscurità e la tormenta. Dopo di che col dottore della Compagnia aspirante Luttichan Sig. Antonio raggiungeva la coda del Battaglione dove erano uomini della 79° Compagnia. Ora avvenne che data la rapida discesa per la mulattiera ripida e sassosa non fu possibile allo scrivente di raggiungere la testa del Battaglione e conferire col Comandante stesso, Capitano Masini, che certamente doveva essere in testa, ma arrivato al termine della discesa si trovò improvvisamente con pochi uomini e con l’Asp. Luttichan distaccato dal resto del battaglione e ciò perché durante
la marcia alcuni nuclei di bersaglieri si erano frammischiati al battaglione, causando distacco. Insieme all’Asp. Luttichan lo scrivente fece di tutto per raggiungere il proprio reparto che sperava trovare a Drezenca, ma li regnava una confusione indescrivibile: il paese bruciava e poco discosto da esso una quantità straordinaria di muli e di carreggio impediva il passaggio sulla strada per Caporetto. Lo scrivente allora suppose che il battaglione fosse diretto al ponte in ferro passando per il bosco; e procedendo alla meglio attraverso il bosco poteva avvicinarsi alla riva sinistra del Fiume. Durante il percorso per il bosco alcuni soldati l’avvertirono che il ponte era saltato già da parecchie ore – però volle accertarsi personalmente…. Tentò di ritrovare il proprio Battaglione cercando per molto tempo attraverso il bosco, mentre l’Asp. Luttichan tentava con tutti i mezzi però invano di passare il fiume. In queste ricerche passò la notte sul 25 ottobre e le prime ore del mattino del 25 stesso senza che fosse possibile allo scrivente di ritrovare gli uomini del proprio reparto; non pratico del luogo, perché là soltanto da troppo breve tempo, cercò di assumere informazioni circa un altro passaggio sul fiume; gli fu risposto, e questo anche fin dalla sera prima, che c’era un altro ponte, assai distante a Ternova, ma anche quello era saltato. Tentò allora di trovare mezzo per passare il fiume ma invano. La mattina del 25 ottobre sulla strada Caporetto Ternova, riva destra del fiume, sfilarono le compagnie tedesche e contemporaneamente pattuglie sulla sinistra. Lo scrivente veniva catturato insieme all’aspirante medico Sig Luttichan sulla riva sinistra dell’ Isonzo, presso Caporetto. Non aveva con se uomini di truppa perché nella celere marcia notturna si erano dispersi.
Campi di prigionia Lo scrivente fu inviato al Campo dei Russi (Rastatt) dove giungeva il 5 novembre 1917, poi alla fortezza Federico della stessa città che lasciò il 30 novembre per il campo di Celle (Hannover) (2 dicembre 1917). Tenente Alessandro De Nobili ( n. 13.137) Il citato tenente Macchi riuscì invece a passare l’Isonzo perché in quella grande confusione ebbe subito l’indicazione per andare al ponte di Ternova, che era in effetti ancora intatto. Macchi fu comunque preso prigioniero il giorno dopo sul Monte Stol. Macchi e De Nobili passarono poi per gli stessi campi di prigionia in Germania, probabilmente, per quanto fossero grandi quei campi, si saranno anche ritrovati e avranno potuto rievocare quella notte fra il Monte Nero e l’ Isonzo.
Un altro iscritto alla Scuola superiore di Commercio di Venezia si trovava anche lui con il Battaglione alpino Belluno sul Monte Nero, a capo di una sezione mitragliatrici FIAT; quando venne l’ordine di ritirata gli riuscì di passare l’Isonzo con mezzi di fortuna. Fu comunque catturato qualche giorno più tardi non lontano da Belluno:
Il sottoscritto senza perdere tempo raggiunse l’ Isonzo, si fece gettare dei carri d’artiglieria nella speranza stabilire un passaggio, ma invano, la corrente era troppo forte. Allora cercò col dottore Sig. Luttichan, asp. med. della 78° compagnia di passarlo a nuoto ma fu impossibile. Intanto soldati di diversi reparti avendo perduta la speranza di passare il fiume, arrabbiati contro coloro che anzitempo avevano fatto saltare il ponte, si disarmarono aspettando d’essere catturati. Il mattino seguente avendo trovato un punto molto stretto del fiume si riuscì a farvi buttare due tronchi d’albero per mezzo dei quali fu stabilito un passaggio all’altra sponda. Senza altro riunì di nuovo tutti gli sbandati e salì sul Monte Stol. La sera del 25 il nemico ammassandosi in valle si preparava all’assalto dello Stol. Furono richieste munizioni ma il comando rispose di non averne… Intanto venne di rinforzo una compagnia del 9 bers. Verso le ore 1 del mattino del 26 i bersaglieri ebbero l’ordine di ritirarsi e così pure lo dovette avere la compagnia del battaglione Argentera; nel frattempo Il Capitano Masini fu chiamato dal Comandante la Divisione, poco tempo dopo il Battaglione si trovò circondato dal nemico. Cominciò allora una lotta corpo a corpo nella quale venne ferito il Tenente Sig. Polin e con lui e alcuni uomini il sottoscritto si gettò in un canalone arrivando dopo un’ora a Bergogna; vi trovò il comandante il battaglione con altri ufficiali e uomini di truppa circa 100. (Tenente Carlo De Bona n. 9.601).
Dopo la prigionia in Ungheria la fine della guerra la ripresa degli studi, il Tenente De Bona si laureò, fu assunto dalla Banca di Roma ed inviato a Merano, poiché conosceva bene il tedesco; divenne poi un alto dirigente della Cassa di risparmio di Merano, nonché
presidente della locale sezione dell’Associazione Nazionale Alpini. Queste informazioni sono state fornite dall’attuale presidente della sezione di Merano dell’ANA, Alfredo Torneri. La cartina allegata è un pregevole disegno del citato Aspirante Antonio Luttichan n. 13.625,