Nelle relazioni raccolte non mancano esempi di ufficiali che decidono di non subire passivamente la prigionia e anche se il reparto è stato circondato oppure si è arreso, tentano comunque la carta disperata della fuga, solitaria o in gruppo, per cercare di ricongiungersi alle truppe italiane; questo accadde nei reparti rimasti circondati fra Tagliamento e Piave, che erano relativamente a pochi chilometri dalle linee italiane, anche se si frapponeva l’ostacolo del fiume. Approfittando del caos e della confusione generata anche dai civili profughi che venivano allontanati progressivamente dal fronte per alcune settimane vi furono comunque delle possibilità di movimento. Molti tentativi furono velleitari, altri più arditi e ben programmati, di quelli esaminati in definitiva soltanto due ebbero esito positivo di cui uno con risvolti decisamente eroici.
9.1 Una fuga ben riuscita e alcune di pochi giorni
Approfittando della perfetta conoscenza dei luoghi e della sorveglianza ancora approssimativa un ufficiale riesce effettivamente a scampare alla prigionia. Alle prese di Fadalto, a nord di Vittorio Veneto, il 10 novembre 1917 venne catturato un ufficiale degli alpini che le montagne sovrastanti probabilmente le avrebbe potute vedere dal cortile di casa, poiché originario di Conegliano, situata pochi chilometri più a sud. La consapevolezza di essere a breve distanza da casa stimola la fuga, riesce poi a raggiungere i “suoi” contadini che lo aiutano a nascondersi:
Dopo aver fatto resistenza bastante perché tutto il reparto si potesse ritirare…fummo completamente circondati. Mancando i viveri le munizioni, non potendo giungere rinforzi ed essendo stati completamente circondati e sopraffatti da forze superiori alle nostre fummo catturati. Fummo quindi inviati a Vittorio da dove io fuggii. Venni ospitato da una famiglia di Revine, quindi a S. Pietro di Feletto, e poi in una famiglia di miei contadini nei pressi di Conegliano. Il 20 ottobre ultimo scorso venni nuovamente preso dai gendarmi austriaci a Conegliano e inviato a San Fior e quindi a Vittorio. Il 28 ottobre dovendo venire tradotto all’interno nei pressi di Caneva fuggii nelle montagne dei luoghi dove venni ospitato da quei montanari. Il 30 ottobre giunsero le truppe liberatrici, quindi mi affrettai a presentarmi al primo comando di tappa di Conegliano. Fui mandato a Montebelluna e il giorno 6 arrivai a Gossolengo (Sottotenente Giulio Delgiudice n. 5.530)
Il primo giorno della Battaglia di Caporetto, il comandante del battaglione alpini Belluno, capitano Masini, dopo aver condotto il suo reparto dal Monte Nero in fondo valle Isonzo era riuscito anche a condurlo oltre il fiume appena prima della distruzione del ponte di
Ternova. Inviato subito dopo a combattere sul Monte Stol il battaglione subì fortissime perdite. I resti evacuarono a Belluno per poi essere inviati ai primi di novembre sul Bosco del Cansiglio in azione di copertura. Tagliati fuori e circondati ancora una volta Il Capitano ordinò ai suoi ufficiali di disperdersi e di cercare di rientrare nelle linee italiane a piccoli gruppi. Egli stesso con l’aiutante maggiore attraversò in barca il lago di Santa Croce, poi valicando le montagne fra la provincia di Treviso e quella di Belluno arrivò alle falde nord del massiccio del Grappa. Travestiti da borghesi, i due furono reclutati dai tedeschi per seppellire alcuni caduti della Brigata di fanteria Como (che fra il Monte Cornella e la stretta di Quero ebbe oltre 3.000 fra morti e dispersi in 4 giorni di combattimenti). Superata la linea delle sentinelle nemiche infine riescono a ricongiungersi alle truppe italiane. I due furono i soli ufficiali del battaglione che riuscirono in tale impresa.45 vedi Gli Ultimi di Caporetto di Cesco Tomaselli Capitolo Gli alpini del Belluno
Almeno altri 4 ufficiali del battaglione si avviarono per la stessa strada, riuscendo solamente a prolungare la libertà di qualche giorno.
Il battaglione, che si trovava presso Spert, rimane circondato nella foresta. Per uscire da questa situazione il Comandante Cap.no Masini ordina di tentare nel pomeriggio l’apertura di un varco attraverso Col Visentin e Valdobbiadene per raggiungere la zona del Grappa. Fallito questo primo tentativo, in cui la maggior parte del battaglione cade prigioniera, il Comandante che aveva diretto con energia e slancio la sortita, ordina il ripiegamento nella foresta per rinnovarla, a gruppi, nella notte… Nella notte, in compagnia del Sott.te Todeschini Sig. Edmondo e del Sott.te Passeroni Sig. Federico e di una decina di soldati si attraversa in barca il lago di Santa Croce e nella giornata seguente, 11 nov, sfuggendo alla vigilanza di pattuglie e di accampamenti nemici, attraversa la zona fra Santa Croce e Trichies, con itinerario M. Faverghera, San Quintin, Trichies, ove giunge nella notte. La marcia continua il 12 e il 13 novembre verso Mel già occupata da ingenti forze nemiche, ragion per cui vista l’impossibilità di proseguire per Valdobbiadene e là raggiungere la destra del Piave il gruppo si fraziona per risalire, senza accorgimenti del nemico, sulla sponda sinistra verso Limana in cerca di un sito adatto al guado. Il sottoscritto, coi due suddetti ufficiali, è avvistato verso le 17 da una scosta nemica a una colonna di prigionieri. Fermati da questi si è disarmati, interrogati e quindi condotti al Comando di Presidio Austro Ungarico di Belluno. (Sottotenente Bernardo Jon Tonion n. 15.512)
Un altro tenente del “Belluno” era ricoverato a Milano alla fine di ottobre 1917, ma rientrò al deposito del Battaglione, a Belluno appunto, ai primi di novembre; quindi si riunì ai resti del Battaglione per partecipare all’azione sul Cansiglio.
Il 10 verso le 2 pom. Partimmo dal bosco del Cansiglio alla volta di Farra d’Alpago per poter raggiungere Belluno e di qui Quero. Ma gli austriaci erano già padroni della destra del Piave, per cui dovemmo tentare di salvarci per la strada di S.Croce. Se non che anche questa fin dalla notte era in mano al nemico. Così restammo rinchiusi. Il sig. cap. Marini, riunitici tutti, disse che era cosa impossibile tentare di guadagnare Quero tutti uniti, era perciò opportuno tentare a piccoli gruppi. Alla notte insieme ad altri tre colleghi passai il lago di Santa Croce. Nella notte valicammo il monte Faverghera, e dopo poche ore di riposo, per Quantin e il M. Visentin, arrivammo la sera dell’ 11 a Sossai, paese poco distante da Belluno. Data l amia recente malattia dovetti fermarmi in una casa per ristorarmi mentre i miei colleghi riprendevano il cammino. Gli austriaci erano già passati fino dal mattino del 10, così era impossibile continuare per strade maestre. Sempre dirigendomi verso Quero, la notte dell’11 mi rimisi in cammino… mentre ero intento di varcare un torrentello, fui scorto da una pattuglia di austriaci. Non potei opporre resistenza e dopo avermi malmenato e derubato della pistola, dell’orologio e circa 300 lire, mi condussero al comando del I° Batt. Del 2° regg. Kaiser Schutzen in una villa poco distante. … il 14 a Belluno dove trovai prigionieri pure i miei tre colleghi. (Sottotenente Virginio Dogliani n. 15.375 )
Schierato a pochi chilometri dal battaglione Belluno c’era il Battaglione Val Piave. Non tutti seguirono disciplinatamente il comandante, verso la prigionia, dopo aver distrutti le armi e ogni altro strumento di utilità bellica. In effetti la relazione n. 5.121 del Maggiore Pecchiola manca nella cartella relativa al battaglione; al suo posto c’è un biglietto con questa annotazione INVIATE DALL’UFFICIO SPECIALE INCHIESTE ORDINATE DAL MINISTERO DELLA GUERRA DI TORINO AL MINISTERO GUERRA UFFICIO PERSONALE GENERALE RICHIESTI DETTO UFFICIO CON. N. 665 DI PROT. NON AVUTA RISPOSTA.