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3. I Comitati interministeriali e gli organi necessari del Governo, alla luce

3.1. I Comitati interministeriali ed il Consiglio dei Ministri »

Venendo propriamente alle problematiche derivanti dai rapporti tra Comitati in- terministeriali ed organi endogovernativi, è opportuno assumere come primo ter- mine di raffronto il Consiglio dei Ministri.

La esplicita costituzionalizzazione del Consiglio dei Ministri determina, sul pia- no strutturale e funzionale, la creazione di un organo «uno e trino»100, le cui delibe-

97 S. MERLINI,G.TARLI BARBIERI, Il Governo parlamentare in Italia, Giappichelli, Torino, 2011,

94; G. PITRUZZELLA, Art. 92-93, cit., 117, secondo cui «l'equilibrio che si instaura tra gli organi del Governo non pare essere sempre lo stesso, laddove sembrano possibili, nel rispetto della cornice co- stituzionale, delle variazioni nei differenti settori in cui si articola la politica governativa».

98 Cfr. D. CODUTI, I comitati interministeriali, cit., 78 ss. 99 Ivi, 80.

razioni - si è detto - sono il frutto dell'incontro bilaterale fra la volontà del Presi- dente del Consiglio e quella dei Ministri, secondo moduli procedimentali di incer- tissima definizione101.

Al di là delle possibili ricostruzioni teoriche sull’organizzazione strutturale e funzionale del Governo, le quali possono accordare più o meno preminenza al momento collegiale102, rimane il fatto che il Consiglio dei Ministri rappresenta

l’organo di maggior rilievo nella struttura complessa del Governo. Al suo interno, infatti, si consegue quella unità di indirizzo, ispirata a criteri politici ed amministra- tivi e scaturente dal programma governativo approvato dal Parlamento, che poi do- vrà dirigere l’azione dei singoli settori della pubblica amministrazione103. Il Consi- glio è la sede nella quale la linea di demarcazione tra indirizzo politico e azione amministrativa diviene più sfumata, ove questi due momenti si compenetrano, ma «che in un certo senso trascende sia l’attività politica che quella amministrativa, pur costituendo il punto di passaggio dall’una all’altra forma di attività»104.

Tuttavia, se da una parte il Consiglio dei ministri vede riconosciute una gamma assai estesa di competenze da parte della l. n. 400/1988105, dall’altra, nel policentri-

smo governativo, esistono svariate sedi formali ed informali in cui vengono prese le decisioni. Sul piano dell'effettività, il Consiglio dei ministri tende sempre più a non essere il «centro motore» del Governo, a causa sia della sua pletoricità, sia dell’eterogeneità dei membri che vi siedono. Questi elementi non facilitato certo l’instaurazione di una prassi realmente collegiale e rendono necessario ridurre le occasioni di conflitto attraverso meccanismi informali di soluzione dei contrasti po- litici106. A questa progressiva e costante riduzione della concreta capacità decisio- nale del vertice consiliare, inoltre, concorrono anche la mole smisurata di materie che gli sono sottoposte ed il loro tecnicismo crescente, tanto che il Consiglio si po- ne sempre più «quale organo di registrazione»107 di decisioni prese altrove, poiché,

ad esempio, già concertate tra i Ministri e il Presidente del Consiglio, oppure as- sunte in altre sedi, come avviene nella Conferenza Stato-Regioni.

L’organizzazione del Governo, dunque, si è venuta articolando in una pluralità di centri decisionali specializzati, come appunto i Comitati interministeriali, che, istituzionalmente o di fatto, influiscono nella determinazione di singoli grandi set- tori dell’indirizzo politico generale. Proprio per questo, i Comitati interministeriali con funzioni “esterne” pongono seri problemi di interferenza con le prerogative proprie del Consiglio dei Ministri, tanto da far pensare ad organi contra constitu- tionem invece che preater constitutionem108. Occorre, quindi, interrogarsi su quali

100 G. AMATO, F. BRUNO, La forma di governo italiana. Dalle idee dei partiti all'Assemblea Co-

stituente, in Quad. cost., 1981, 84.

101 P.A. CAPOTOSTI, Governo, cit., 3.

102 Si pensi alla centralità assunta dal Consiglio nella ricostruzione di A. RUGGERI, Il Consiglio

dei Ministri nella Costituzione italiana, cit., p. 31 ss.

103 Così F. CUOCOLO, Consiglio dei Ministri, in Enc. dir., IX, 1961, 242. 104 Ivi, 243.

105 Per un'analisi dettagliata, cfr. P. BARILE, Consiglio dei Ministri, in Enc. giur., VIII, 1991, 4

s.; S. LABRIOLA, Il Governo della Repubblica, cit., 55 ss.

106 G. PITRUZZELLA, Art. 92-93, cit., 140 ss.

107 S. GALEOTTI, Alla ricerca della governabilità, Giuffrè, Milano, 1983, 130; A. PREDIERI, Pia-

nificazione e costituzione, Edizioni di Comunità, Milano, 1963, 497.

siano le prerogative del Consiglio dei Ministri, soprattutto in ordine all’indirizzo politico ed alla “politica generale del Governo” ex art. 95 Cost., al variare delle quali potrà ridursi o meno il potere decisionale rimesso ai Comitati. Si evidenzierà come, a seconda della risposta data circa l’ampiezza dei poteri del Consiglio dei Ministri, siano state offerte diverse ricostruzioni teoriche dei Comitati, nel tentativo di renderli compatibili con l’assetto costituzionale.

Facendo rinvio alle considerazioni analitiche svolte in precedenza a proposito dell’attività di determinazione dei fini politici definita “indirizzo politico”109, basti qui ricordare come la dottrina maggioritaria ritenga che, per la parte spettante al Governo, sia il Consiglio dei Ministri l’organo competente a definire principalmen- te, se non in maniera esclusiva110, l’indirizzo politico-amministrativo, salvo ricono- scere alle singole componenti un potere di specificazione degli indirizzi consilia- ri111.

Tra le ragioni che spingono verso questo assetto, potrebbe affermarsi che la competenza del Consiglio sia deducibile a contrario a partire dalla ricostruzione della posizione giuridica del Presidente del Consiglio, il cui potere di “direzione” non potrebbe equivalere a quello di “determinazione”. Oppure, ancora, la compe- tenza consiliare potrebbe ricavarsi dalla struttura pluripartitica del sistema costitu- zionale e dalla ricorrenza con cui si avvicendano governi di coalizione, all’interno dei quali dev’essere ricercata una continua mediazione che non può culminare se non con una delibera del Consiglio o una decisione comunque collegiale112.

A sua volta, la “politica generale del Governo”113, di cui all’art. 95 Cost., po- trebbe essere individuata a partire dal rapporto con l’indirizzo politico: segnata- mente, identificandosi con esso114, oppure assumendo una portata più ampia, in rapporto strumentale ed attuativo rispetto alle finalità politiche da esso predetermi- nate115. In relazione all’ampiezza con cui la politica generale viene inquadrata, la

109 V. retro Cap. I.

110 Cfr. P. BARILE, Consiglio dei Ministri, cit., 3 ss.; E. CHELI, Atto politico e funzione di indiriz-

zo politico, cit., 149 ss.; G. CUOMO, Unità e omogeneità nel governo parlamentare, cit., 42; F. CUOCOLO, Consiglio dei Ministri, cit., 243; L. PALADIN, Governo italiano, cit., 700 s.; A. PREDIERI,

Pianificazione e costituzione, cit., 494.

111 Cfr. retro Cap. I, par. 7, a proposito del potere presidenziale e ministeriale di determinare

l’indirizzo amministrativo o politico-amministrativo.

112 Così A.MANNINO, Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 85

ss.

113 Essa, in prima approssimazione, può essere intesa come attività politica «sostanzialmente im-

putata al Governo, sia come organo complesso sia anche come organo di vertice cui fa capo l'appa- rato amministrativo statale; è «generale» perché riguarda l'intero Governo e tutti i rami della pubbli- ca amministrazione»; così T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., I55.

114 Identifica indirizzo politico e politica generale del Governo, E. CHELI, Atto politico e funzio-

ne di indirizzo politico, I49 ss.

115 Considerano la politica generale attuativa dell'indirizzo politico T. MARTINES, Indirizzo poli-

tico, cit., I55, che definisce “politica generale” come «l'attività politica che il Governo svolge, per la

parte di sua competenza, nelle fasi strumentale ed attuativa dell'indirizzo politico»; M. GALIZIA,

Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 228 ss., che parla però solo di «politica del Go-

verno»; G. FERRARA, Il Governo di coalizione, cit., 144 ss. Cfr., inoltre, A. MANNINO, Indirizzo po- litico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 52 ss., che parla di “politica generale del

Governo” come di «quell’insieme di provvedimenti posti in essere dalle varie componenti del go- verno e tali, per la loro generalità, da ricadere sotto il potere di direzione del presidente del consi-

dottrina è diversamente orientata nel riconoscere o meno al Consiglio una compe- tenza esclusiva116, fermo restando che le statuizioni assunte nel vertice consiliare costituiscono sempre un momento unitario della politica del Governo117.

L’art. 2, c. 1, della legge n. 400/1988, sembrerebbe aver confermato il carattere distinto e strumentale della "politica generale" rispetto all’indirizzo politico e la competenza esclusivamente consiliare, allorché stabilisce che «il Consiglio dei mi- nistri determina la politica generale del Governo e, ai fini dell'attuazione di essa, l'indirizzo generale dell'azione amministrativa; delibera altresì su ogni questione relativa all'indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere»118.

In parallelo alle impostazioni che riconoscono la preminenza del Consiglio dei Ministri nell’attività di governo, sono state formulate quelle ricostruzioni dottrinali che mirano a circoscrivere il ruolo dei Comitati interministeriali. Tali teorie, come si vedrà, sono accomunate dall’esclusione della partecipazione dei Comitati all’attività di indirizzo politico o da una forte limitazione di questa. Come conse- guenze sul piano costituzionale, fra l'altro, si evita di creare forme di responsabilità politiche nei confronti del Parlamento diverse rispetto a quelle cui già incorrono gli organi necessari del Governo, o di alterare la par condicio tra Ministri119.

Una delle prime ricostruzioni teoriche con cui si è tentato di inquadrare il feno- meno dei Comitati interministeriali, con la precipua preoccupazione di non incorre- re in contrasti con il sistema costituzionale, è stata elaborata con specifico riguardo al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, benché offra interessanti spunti in ordine a tutto il sistema dei Comitati.

Si è così sostenuto che il CICR non costituisca un organo di organi (come è il Consiglio dei ministri), bensì un «organo di rappresentatività»120. Al suo interno, i singoli Ministri parteciperebbero non già come organi costituzionali, bensì come «organi amministrativi»121, ossia come “rappresentanti” altamente qualificati della propria amministrazione. Ci si troverebbe di fronte, insomma, a nient'altro che a

glio». Secondo l’Autore - si potrebbe dire in termini matematici - l’indirizzo politico starebbe alla politica generale come la volontà starebbe all’azione (54).

116 Attribuiscono esclusivamente al Consiglio dei Ministri la determinazione della “politica ge-

nerale” ex art. 95 Cost., fra l’altro, E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit., 149 ss.; G. RIZZA, Il Presidente del Consiglio dei Ministri, cit., 123; A. RUGGERI, Il Consiglio dei Mini-

stri nella Costituzione italiana, cit., 325 ss. In senso parzialmente difforme L. PALADIN, Governo italiano, cit., 706 ss., che fa riferimento alla politica generale del Governo come «quella linea di

condotta che il Governo si propone di seguire nel corso del proprio operato e di prescrivere all'appa- rato statale da esso dipendente», ed aggiunge poi che «le competenze riservate al Consiglio dei mi- nistri abbracciano solo una parte minore delle funzioni complessivamente spettanti al Governo», riconoscendo al Consiglio, però, «una competenza concorrente di portata universale». Anche T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., 156, propende per riconoscere alla “politica generale” una portata ampia, tale da comprendervi all’interno anche l'attività svolta dai Comitati interministeriali.

117 Cfr. G. FERRARA, Il governo di coalizione, cit., 157, secondo cui la complessità dell’organo

Governo trova nell’articolazione collegiale del Consiglio il suo momento più significativo che «espande la sua attitudine a conformare i rapporti tra coloro che partecipano all’attività collegiale qualunque sia la sede in cui i rapporti stessi vengono a costituirsi».

118 Così S. LABRIOLA, Il Governo della Repubblica, cit., 153, 56 s. 119 Su questi punti, si veda più ampiamente infra par. 3.3.

120 M.S. GIANNINI, Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, in Moneta e credito, 1949,

ora in ID., Scritti, III, Giuffrè, Milano, 2003, 59 ss.

delle «commissioni interministeriali», sia pure “a livello ministri”, che, come tali - si è detto - non dovrebbero porre particolari problemi costituzionali122. La costru- zione, infatti, pone un punto di vista estremamente netto, degradando sostanzial- mente i Comitati di Ministri a meri organi amministrativi privi di qualunque rilievo costituzionale; in tal modo si taglierebbe in radice il problema della loro costituzio- nalità.

La compatibilità con il sistema costituzione conseguirebbe soprattutto perché, in base a tale teoria, non vi sarebbe una responsabilità collegiale politica intermedia fra quella del singolo Ministro e quella del Consiglio dei Ministri. Il Ministro, in- fatti, risponderà al Parlamento non in quanto membro del Comitato ma, solamente, come Ministro, cioè per quella parte della deliberazione presa che eventualmente abbia rilievo nel settore di sua competenza123. Nell’ipotesi del CICR, responsabile politico sarebbe solo il Ministro del Tesoro, che conserverebbe «la duplice veste di ufficio amministrativo e di ufficio costituzionale»124.

Pur nella sua semplicità, la ricostruzione qui in esame, tuttavia, presenta alcuni elementi contraddittori. Occorre osservare, infatti, come la teoria qui offerta sia sta- ta riferita solamente al CICR, senza escludere espressamente che altri Comitati possano essere considerati come organi costituzionali o costituzionalmente rilevan- ti125. Inoltre, si ammette anche che lo stesso CICR sia il vero titolare della funzione di indirizzo politico nel settore di intervento126, e questo sembrerebbe escludere che tale Comitato possa veramente essere considerato un mero organo collegiale am- ministrativo. Se la funzione di indirizzo viene esercitata dall'intero Comitato e non solo dal Ministro che lo presiede, sembrerebbe più corretto imputare la responsabi- lità politica per le scelte dell'organo non al singolo Ministro, bensì all'intero Comi- tato127. Tale costruzione, inoltre, «non appare facilmente applicabile tutte le volte che ai comitati di ministri sono attribuite funzioni di indirizzo politico amministra- tivo che non appartengano necessariamente al Consiglio dei ministri, ma che sem- brano però doversi riservare almeno ai ministri come tali e cioè come organi insie- me costituzionali e amministrativi»128; sarebbe quantomeno singolare che, qualora tali funzioni siano affidate dall'ordinamento ai Ministri, per il solo fatto che le deli- berazioni di questi ultimi debbano essere prese collegialmente, i Ministri stessi ab- dichino alla loro posizione costituzionale.

Tra i primi tentativi per superare i problemi di costituzionalità sollevati dai Co- mitati interministeriali vi è anche la loro rappresentazione come ipotesi di ”istitu-

122 V. BACHELET, Comitati interministeriali, cit., 770. 123 Ibidem.

124 M.S. GIANNINI, Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, cit., 69.

125 «Il Comitato interministeriale del Credito non è pertanto un organo costituzionale, né costitu-

zionalmente rilevante: e ciò a differenza di altri comitati di ministri, temporanei [...], o permanenti»; M. S. GIANNINI, Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, cit., 69. Riprende la tesi del Comi- tato come «collegio dei rappresentanti» F.MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti

di gestione, Giuffrè, Milano, 1977, 95 ss., con specifico riguardo dei “comitati amministrativi”, ed

in particolare del CIP.

126 M.S. GIANNINI, Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, cit., 68. 127 P. CIRIELLO, Ordinamento di Governo e Comitati interministeriali, cit., 100 s. 128 V. BACHELET, Comitati interministeriali, cit., 770.

zionalizzazione del concerto” tra Ministri129. Secondo tale prospettazione, i Comi- tati interministeriali dovrebbero essere concepiti come veri comitati di Ministri, ovvero Comitati cui i Ministri vi partecipano in quanto tali130. Ne deriva come all’interno dei Comitati non vi sia altro che «una somma di competenze parziali, le quali vengono composte anziché col macchinoso tradizionale meccanismo del “concerto”, con la istituzionalizzazione del concorso delle diverse volontà»131.

L’istituzionalizzazione, innanzitutto, comporta talune differenze nel meccani- smo di emanazione degli atti: infatti, «anziché istruire e prendere separatamente e successivamente il provvedimento, questo viene preso con deliberazione collegiale, non quindi all’unanimità, ma a maggioranza, mentre la decisione, per il principio della collegialità, vincola anche gli eventuali dissenzienti»132. Gli atti adottati dai Comitati, dunque, non sono, come nel caso del concerto “tradizionale”, atti com- plessi, frutto del concorso di più volontà, ciascuna delle quali può opporre un pro- prio “veto”; gli atti espressivi del concerto “istituzionalizzato” sono inquadrabili come atti collegiali, da intendere come unanimi133.

Di conseguenza, anche qui, la partecipazione ai Comitati non determina alcuna nuova forma di responsabilità politica in capo ai Ministri, in quanto le attività da essi svolte nei Comitati e le delibere collegialmente assunte non sono che una delle attribuzioni del titolare di ciascun dicastero134. Secondo tale prospettazione, inoltre, i Comitati sarebbero subordinati al Consiglio dei Ministri; quest’ultimo non po- trebbe avocare a sé le decisioni, in quanto attribuite per legge al Comitato, ma po- trebbe vincolare politicamente i singoli Ministri facenti parte del Comitato, poten- do così dirimere eventuali dissensi all’interno del Comitato stesso135. Infine, merita sottolineare come l’istituzionalizzazione del concerto all’interno dei Comitati asse- conderebbe il tentativo di «integrazione dell’attività di direzione di ciascun Mini- stro nei confronti del proprio dicastero, con il consiglio, la direttiva, la deliberazio- ne collegiale di altri Ministri»136, secondo un processo «tendente a trasformare la direzione dei singoli dicasteri, almeno dei più importanti, da personale in collegiale, sia pur sub moderatione del principale responsabile di ciascun dicastero»137.

A tale ricostruzione è stato criticato che se effettivamente i Comitati avessero rappresentato una sorta di “evoluzione” del concerto, alla loro moltiplicazione avrebbe dovuto fare riscontro una diminuzione delle ipotesi concertative138. Inoltre, su di un piano generale, alla fenomenologia del concerto dovrebbero ritenersi estranea la problematica delle organizzazioni stabili, nelle quali deve essere invece inquadrato il fenomeno dei Comitati139. Si pensi poi alla intrinseca novità del fe-

129 Cfr. V. BACHELET, L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica

dell’economia, Giuffrè, Milano, 1957, 131 ss., e poi riproposta in ID., Comitati interministeriali, cit., 771 ss.

130 V. BACHELET, Comitati interministeriali, cit., 771. 131 Ibidem.

132 ID., L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, cit., 58. 133 ID., Comitati interministeriali, cit., 1960, 771.

134 Ibidem. 135 Ibidem.

136 ID., L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, cit., 57. 137 Ivi, 62.

138 P. CIRIELLO, Ordinamento di Governo e Comitati interministeriali, cit., 110 ss. 139 Ivi, 113 ss.

nomeno dei Comitati ed alle difficoltà di ricondurre all’atto «di concerto» i nuovi campi dell’azione di governo che vengono affidati ai Comitati140. Infine, ai fini del- la presente trattazione, assuma rilievo maggiore la critica per cui la tendenza alla collegialità nella direzione dei singoli dicasteri susciterebbe forti perplessità con ri- guardo all’art. 95 Cost., il quale attribuisce a ciascun Ministro la responsabilità per gli atti del propri dicasteri «come evidente correlato dei poteri di direzione di cui ognuno di essi deve godere in relazione all’apparato cui è preposto»141.

In base ad un’altra ricostruzione teorica, i Comitati interministeriali vengono qualificati come “Comitato di Ministri” e non, invece, come “Comitato del Consi- glio dei Ministri”142. Mentre nella seconda ipotesi l’organo sarebbe stato in qualche modo dotato di funzioni omogenee rispetto a quelle del Consiglio dei Ministri, compresa quella di determinazione dell’indirizzo politico, nella prima ipotesi esso parteciperebbe a funzioni della medesima natura di quelle dei Ministri, e dunque vedrebbe limitata la propria sfera di azione solamente all’attuazione all'indirizzo politico143.

Concepire tali organi come Comitati di Ministri, dunque, implica che ad essi vengano attribuite funzioni che, pur essendo decisionali, si muovano nell’ambito dell’indirizzo politico governativo, come dovrebbero fare individualmente i singoli Ministri che lo compongono144. In ragione di tale qualificazione, la condizione giu- ridica dei Ministri membri del Comitato interministeriale continuerebbe ad essere quella loro costituzionalmente propria, ovvero di organi individuali. Anche in que- sta veste di membri di Comitati, dunque, i Ministri non svolgono che funzioni omogenee con quelle che loro competono individualmente. Essi continuano ad es- sere singolarmente responsabili del proprio operato, ma impegnerebbero la respon- sabilità politica dell’interno Governo di cui sono membri145. Coerentemente con ta-

le ricostruzione146, in definitiva, i Comitati avrebbero una competenza settorial- mente determinata e limitata, di carattere amministrativo e non politico, e non po- trebbero neppure svolgere attività sostitutiva degli organi di governo costituzionali. Gli accordi realizzati in tali sedi non sarebbero quelli della collegialità governativa, bensì riguarderebbero solamente i singoli Ministri facenti parte del Comitato in ra- gione del loro ufficio e che ne sono istituzionalmente responsabili a titolo indivi- duale. A queste condizioni non sarebbe neppure violata la par condicio tra Ministri - non si avrebbe, cioè, una discriminazione fra membri del Governo a seconda che partecipino o meno ad un Comitato - perché i Ministri esclusi non dovrebbero esse- re interessati funzionalmente dalle questioni trattate e dalle determinazioni assunte dai Comitati. Queste conclusioni non sarebbero neppure contraddette dalla consta-

140 QUADRI, I Comitati di Ministri, cit., 9,

141 P. CIRIELLO, Ordinamento di Governo e Comitati interministeriali, cit., 114. A questo propo-

sito, osserva G. QUADRI, I Comitati di Ministri, cit., 9 ss., i Comitati «non vengono [...] a sovvertire l’organizzazione tradizionale del governo sostituendosi con singoli ministri nella direzione dei loro