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Le potenzialità della nozione di indirizzo politico a fini euristici: il

L’excursus appena svolto vorrebbe mostrare che, garantendo autonomia concet- tuale alla nozione di indirizzo politico, se ne mette in risalto tutta la capacità euri- stica di rappresentazione del sistema costituzionale e delle dinamiche della forma di governo.

In conclusione, si vuol mantenere fermi alcuni punti di questo percorso che sembrano pacifici, o sufficientemente argomentati, e che torneranno successiva- mente utili per l’indagine sul CIPE.

L’indirizzo politico rimane una nozione che, anche nell’attuale ordinamento, si colloca a cavallo tra diritto e politica e che ha il pregio di riconoscere rilevanza giu- ridica a momenti che potrebbero essere, viceversa, confinati esclusivamente al pre- giuridico233; così il contributo dei partiti politici nella definizione di finalità che in- dirizzeranno l’attività degli organi costituzionali. Questa attività di determinazione

231 Ivi, 159 ss.

232 Tale posizione era stata già in passato sostenuta dal medesimo Autore nel suo studio sul Pre-

sidente di Assemblea parlamentare, ove si era osservato, parlando dei poteri di questo organo, come «le eventuali discrasie tra programma approvato ad indirizzo concretamente seguito o la realizza- zione dell’indirizzo politico legislativo diverso rispetto al programma approvato con la mozione di fiducia potranno essere rilevate al momento stesso in cui le discrasie stanno per determinarsi, ovve- ro sta per realizzarsi un indirizzo politico diverso da quello corrispondente al programma approva- to». A riprova del carattere “esistenziale” dell’indirizzo politico, non è possibile sostenere la illegit- timità o la scorrettezza costituzionale di una discrasia tra indirizzo e programma, né la illegittimità di un indirizzo politico non corrispondente al programma concordato. Cfr. G. FERRARA, Il Presiden-

te di assemblea parlamentare, Giuffrè, Milano, 1965, 256 s.

233 Riprendendo con ciò le considerazione di V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica

dell’indirizzo politico, cit., 54, sviluppate anche da M. DOGLIANI, Indirizzo politico, cit., 258, circa le difficoltà di trattare in termini giuridici una nozione di confine che, forse anche in virtù di questa peculiarietà, mantiene una propria originale utilità. Circa le compenetrazioni tra diritto e politica, v. G. GROTTANELLI DE’SANTI, Indirizzo politico, cit., 2.

dei fini politici, se considerata nella sua autonoma rilevanza, rimane un momento imprescindibile per garantire, in un sistema improntato alla divisione dei poteri, il coordinamento di organi costituzionali posti in posizione di reciproca autonomia e titolari di poteri politici234.

Tale attività risulta il più delle volte incorporata in una molteplicità di atti espressivi di diverse funzioni politiche235. Ciò che va ricordato, tuttavia, è il carat-

tere giuridico degli atti che ne veicolano l’espressione236, atti che, seppur adottati da organi di livello costituzionale, sono spesso il momento terminale di un proces- so decisionale retrostante che può coinvolgere una pluralità di soggetti diversi, formalmente come informalmente237. In una forma di governo parlamentare, co- munque, la maggioranza della dottrina ritiene che sia Parlamento che Governo sia- no contitolari dell’attività di indirizzo politico238.

La cogenza di tali atti deriva, innanzitutto, dalla loro natura propria di atti giuri- dici (i.e. mozioni, direttive, regolamenti, atti di rango primario, ecc.), ma anche dal peso politico del quale sono caricati, in quanto manifestazione di un indirizzo espresso da forze politiche di maggioranza e da organi costituzionali legati da un rapporto fiduciario239. La vincolatività di tali atti, specie nei confronti di Parlamen- to e Governo, trae origine dal legame fiduciario che vincola i due organi e, pertanto, sposta a livello di responsabilità politica la fonte ultima di tale cogenza240.

Da ultimo, bisogna ricordare che quel che rileva in un indagine sull’indirizzo politico non è tanto individuare l’organo formalmente titolare del potere di predi-

234 Esigenza sentita, come visto, sin dai primi studi sull’indirizzo politico con diversa intensità:

cfr. C. MORTATI, L’ordinamento del Governo, cit., 8, più improntato verso il superamento del prin- cipio di separazione dei poteri per garantire l’unità e l’omogeneità dei fini dello Stato, al punto di qualificare l’indirizzo politico come autonoma funzione; V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica

dell’indirizzo politico, cit., 97, che guarda all’indirizzo politico quale momento imprescindibile per

garantire, in termini effettivi, il principio di unità e coordinazione dei poteri; C. LAVAGNA, Contri- buto alla determinazione dei rapporti giuridici fra Capo del Governo e ministri, cit., 160 ss.,

nell’intento di garantire sfere di autonomia ai singoli organi costituzionali.

235 Cfr. V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, cit., 99, che, si ricorda,

muove da tale argomento per confutare l’impostazione mortatiana dell’indirizzo politico quale quar- ta ed autonoma funzione; in epoca repubblicana, v. T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., 149 ss.

236 Sul punto si rinvia, soprattutto, a E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit.,

137 s., che - come visto - ne fa il profilo centrale della propria ricostruzione dell’indirizzo politico; contra, M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 193 s., che parla di indirizzo politico anche per quei comportamenti che rilevino in maniera univoca una precisa volizione pre- ventiva sul piano dell’indirizzo.

237 Cfr., su tutti, M. DOGLIANI, Indirizzo politico, cit., 258.

238 Così sin da C. MORTATI, L’ordinamento del Governo, cit., 25 ss. In epoca repubblicana, cfr.

ampiamente M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 201, e la visione “pro- cedimentale” di G. FERRARA, Il governo di coalizione, cit., 134 ss.; contra, A.MANNINO, Indirizzo

politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 49. V. anche C.cost. sent. n.7/1996,

punto 8 del cons. dir., ove si ammette espressamente che sia Governo che Parlamento concorrano a definire l’indirizzo politico.

239 Per il riferimento alle forza di maggioranza, cfr. E. CHELI, Atto politico e funzione di indiriz-

zo politico, cit., 137 s.; per una costante valorizzazione del rapporto fiducia-indirizzo politico, cfr.

M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., spec. 31 ss.

240 Cfr. V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, cit., 128, ed il suo rife-

rimento ai “principi generali di diritto” che, sin dall’epoca prerepubblicana, impongono agli organi costituzionali di collaborare a realizzare l’indirizzo politico. In epoca repubblicana, C. MORTATI,

sposizione dei fini politici, quanto comprendere la dimensione dell’effettiva parte- cipazione al processo di formazione dell’indirizzo politico dei diversi soggetti coinvolti241.

Rimane da prendere posizione su alcuni profili rispetto ai quali, come è stato sommariamente esposto, si fronteggiano l’impostazione “normativista” e quella “esistenzialista”.

Innanzitutto, potrebbe criticarsi a priori che un approccio all’indirizzo politico in termini esclusivamente descrittivi possa essere veramente utile per un indagine sul piano costituzionale. Se concepito in termini strettamente esistenziali, quale modo d’essere effettivamente assunto dagli organi di governo, «l’indirizzo perde la sua importanza, diventando una nozione utile per lo storico, per il sociologo, per il po- litico, ai quali può interessare il concreto modo di atteggiarsi del governo, ma non certo per il giurista, per il quale il contenuto specifico, squisitamente politico, della sua attività non assume rilevanza alcuna»242.

Con ciò, non si vuol certo sostenere che le prospettazioni esistenziali non con- tribuiscano in alcun modo a chiarire aspetti delle dinamiche costituzionali. Si po- trebbe affermare, ad esempio, come la concezione esistenziale dell’indirizzo politi- co possa essere assunta quantomeno nel suo significato “passivo”, perché è possibi- le ritenere che l’indirizzo politico si manifesti «come funzione limitata, ma non vincolata nel fine da norme di grado superiore»243. Con ciò, non sarebbe possibile predeterminare a priori le finalità perseguite dall’indirizzo politico in un dato mo- mento storico, stante il suo carattere di intrinseca libertà e, comunque, l’ampio margine di scelta di cui godono gli organi politici nel dare attuazione ai fini costi- tuzionali.

I problemi, viceversa, si concentrano sulla forza “attiva” dell’indirizzo politico. Innanzitutto - come si è fatto sopra brevemente cenno - l’indirizzo politico è capace di incidere sull’ordinamento quantomeno in ragione del fatto che esso acquisisca una valenza normativa «come conseguenza inevitabile» del manifestarsi in atti giu- ridici244. Una prima valenza normativa e vincolante, dunque, deriverebbe quale ri- flesso immediato e diretto dell’efficacia giuridica riconosciuta agli atti, legislativi o amministrativi, attraverso cui l’indirizzo politico si esprime.

Tuttavia, il vero punto su cui si scontrano i sostenitori della tesi esistenziale non riguarda tanto il “riflesso giuridico” dell’indirizzo politico, quanto la sua prescritti-

241 Cfr. T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., 144 ss. ed i costanti richiami al principio di effetti-

vità nelle dinamiche costituzionali;

242 A.MANNINO, Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 149. 243 E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit., 167. Questo profilo chiama in

causa le contrapposte tesi che concepiscono la Costituzione come un limite o come un fine. Secondo il primo orientamento, le norme costituzionali sarebbero essenzialmente «una metodologia per l'e- sercizio del potere, sarebbero cioè lo strumento giuridico fondamentale attraverso il quale le forze politiche, di maggioranza come di opposizione, realizzerebbero i propri particolari interessi pro- grammatici»; secondo il secondo, esse rappresenterebbero «una sorta di teleologia del potere, indi- cando in maniera vincolante il complesso dei fini cui il legislatore (intesa l'espressione nel senso più ampio, comprensiva cioè del potere politico latamente inteso) deve. guardare nell' espletamento del- le attività inerenti alla funzione di direzione politica». Sul punto, più ampiamente, cfr. A.MANNINO,

Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 155.

vità nelle dinamiche costituzionali ed i termini con cui riesca a condizionare l’attività degli organi costituzionali.

Concentrandosi sulla nostra forma di governo parlamentare, il primo equivoco sulla natura normativa in cui è possibile cadere consiste nel credere che l’indirizzo politico abbia natura vincolante perché gli atti di cui ne sono espressione avrebbero la forza di vincolare giuridicamente un altro organo costituzionale al compimento di determinati atti o al rispetto di certi fini. È certo che, per quanto attiene agli ef- fetti delle direttive parlamentari, si debba escludere la creazione di veri e propri obblighi in capo al Governo, come dev’essere respinta l’ipotesi di ritenere illegit- timi gli atti ad esse contrari, o la possibilità di sollevare conflitto tra poteri in caso di inosservanza245. Stante il rapporto fiduciario, la mancata osservanza di particola- ri atti di indirizzo parlamentare può essere causa o sintomo di una rottura politica, tale da indurre Parlamento o Governo a verificare la permanenza di tale rapporto. Il Governo sarà dunque indotto a rispettare le direttive parlamentari solo nella misura in cui voglia evitare tale rottura. Ecco perché «il potere di direttiva, pur essendo autonomo rispetto alla verifica della fiducia, si coordina ad essa ricevendone indi- rettamente una certa effettività»246.

L’adozione di un atto espressione di indirizzo politico da parte di un organo co- stituzionale, poi, non è detto debba essere preceduta e guidata da un atto di indiriz- zo giuridicamente vincolante altri organi. Il concetto di indirizzo politico, infatti, non necessariamente richiama la categoria del «comando», ma può benissimo esse- re utilizzato in un contesto «convenzionale»247 o di «autovincolo»248. L’adozione di un singolo atto, nell’ambito del raccordo tra Parlamento e Governo, può essere pre- ceduta e guidata da una “regola di fatto”, o meglio, da una “regola convenzionale”, intercorrente reciprocamente tra Governo e partiti di maggioranza, che ha per og- getto «il (relativo) rispetto del programma inizialmente concordato (e la relativa di- sponibilità a correggerlo consensualmente)»249. La direzione dell’attività dello Sta- to e la concreta esplicazione in singoli atti giuridici, consisterà, dunque, nel tenden- ziale riferimento al programma complessivo concordato, che non esclude affatto una continua rivalutazione del calcolo di utilità originario. L’efficacia di tale regola non avrà natura cogente, ma deriverà unicamente dalla libera adesione dei soggetti deputati ad inverarla. Una simile ricostruzione, dunque, rifuggirebbe da quelle im- postazioni, tipiche degli ordinamenti autoritari, che ricollegano all’indirizzo politi- co una forza giuridicamente vincolante nei confronti degli altri organi costituziona- li, dimostrando, viceversa, come sia possibile coniugare pienamente esigenze unita- rie di coordinamento, da una parte, ed esigenze di autonomia, dall’altra.

Cercato di chiarire questo possibile equivoco, bisogna prendere posizione anche sulle critiche che si possono muovere all’indirizzo politico a partire da una prospet- tiva politologica. Si è sostenuto, infatti, come oramai sia preclusa una ricostruzione

245 Cfr., anche tra gli Autori riconducibili al filone “esistenziale”, C. LAVAGNA, Istituzioni di di-

ritto pubblico, Utet, Torino, 1985, 618 s.

246 C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, cit., 619. 247 M. DOGLIANI, Indirizzo politico, cit., 255.

248 A. MANZELLA, Il Parlamento, Il Mulino, Bologna, 2003, 412. 249 M. DOGLIANI, Indirizzo politico, cit., 255.

dell’indirizzo politico in chiave finalistica a motivo della crisi di governabilità che affligge i moderni ordinamenti costituzionali250.

Tali critiche colgono nel segno quando descrivono una situazione reale ed effet- tiva, ma rischiano di svalutare eccessivamente il dato normativo251. È indubbio che, allo stato, debba lamentarsi una crisi di governabilità, intesa come capacità dei si- stemi politici di guidare società sempre più complesse e sempre più portate a river- sare le proprie domande sugli apparati pubblici252. Ne deriva un sempre più marca- to squilibrio tra le aspettative della società nei confronti della funzione di governo e la capacità delle istituzioni pubbliche di soddisfarli. Nonostante questo stato di crisi, non sembra corretto dover rinunciare del tutto allo strumento dell’indirizzo politico, dal momento che gli stessi studi politologici possono offrire argomenti a sostegno della sua utilità. A questo proposito, è opportuno dedicare qualche cenno al tema dei policy studies per trarre spunti ricostruttivi sull’indirizzo politico stesso.

Quello dei policy studies è un settore scientifico la cui esplorazione è stata av- viata negli Stati Uniti nella metà del secolo scorso253, acquisendo autonomia rispet-

to al più tradizionale ambito di ricerca delle politics. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, inquadrabile come lo studio dei fenomeni politici attraverso il meto- do scientifico al fine di descriverli e spiegarli, tra i cultori dei policy studies si po- trebbe dire non esservi concordia sulla natura, contenuto e finalità della propria in- dagine254.

In via del tutto approssimativa, da un punto di vista operativo, policy può trova- re un corrispondente nella “attività di governo”255. Tuttavia, per utilizzare le parole di coloro che tra i primi si sono occupati dell’argomento, policy può essere intesa come «a projected program of goal values and practices»256.

Simili definizioni mettono il luce, innanzitutto, l’elemento della “intenzionalità” delle policy, intesa quale espressione della volontà di intervento da parte delle auto- rità entro un certo settore della realtà sociale, economica o culturale, allo scopo di

250 Cfr. P. CIARLO, Mitologie dell’indirizzo politico e identità partitica, cit., spec. 101 ss.; cfr.

anche le considerazioni di G. PITRUZZELLA, Art. 92-93, in G. BRANCA (fondato da), A. PIZZORUSSO (continuato da), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1994, 125 ss.

251 Contro questa «tesi nichilista» che, efficacemente, fa capo al suo «non essere» di fatto, cfr. le

considerazioni di A. MANZELLA, Il Parlamento, cit., 416.

252 Cfr., su tutti, M.COTTA,D.DELLA PORTA,L.MORLINO, Scienza politica, Il Mulino, Bologna,

2008, 336.

253 Per una ricostruzione di tale evoluzione, cfr. G. REGONINI, Capire le politiche pubbliche, Il

Mulino, Bologna, 2001, 32 ss.

254 G. CAPANO, Scienza della politica e policy studies: un rapporto difficile, un’integrazione ne-

cessaria, in G. REGONINI (a cura di), Politiche pubbliche e democrazia, ESI, Napoli, 1995, 103 ss.

255 «In its long history of use in English the term 'policy' has acquired many different meanings.

It can refer to an issue or problem for discussion, as in the terms education policy or industriai poli- cy. It can refer to a statement of intention or goal, for example, party policy or the President's policy. A third usage is to refer to the means that government uses to secure its intention, for example, a policy to reduce the pollution of rivers or to train the Iong-term unemployed. Given so many mea- nings, it is better to restrict the word policy to use as a general reference to the activities of govern- ment»; cfr, R. ROSE, Ordinary People in Public Policy. A Behavioural Analysis, London, Sage, 1989, 12 s.

256 H.D. LASSWELL, A. KAPLAN, Power and Society, New Haven, Conn., Yale University Press,

imprimere una certa direzione. Un ulteriore elemento che emerge è il carattere della “progettualità” dell’intervento, teso ad individuare obiettivi, valori, pratiche da raggiungere o realizzare in prospettiva diacronica. Chi voglia cogliere i termini di una policy, inoltre, non dovrà limitare lo sguardo al mero provvedimento finale, ma dovrà guardare all’intero “procedimento” nel quale essa si sviluppa. Momento fon- damentale da considerare è la c.d. implementation, ovvero la fase latamente defini- bile di “attuazione”, priva di ogni automatismo e tale da arricchirsi dell’intervento di una molteplicità di altri soggetti, di rilevanze valenza politica. Sarebbe ultima- mente un errore anche imputare la responsabilità di una policy ai soli soggetti pub- blici, in quanto ciascuna politica dipende dal comportamento, più o meno consape- vole, di una pluralità di attori, pubblici, istituzionali e privati257. Infine, basti osser- vare che per condurre policy studies è necessario ampliare lo sguardo al complesso delle decisioni politiche connesse che abbracciano un intero settore e lo rendono relativamente coerente.

Come è intuibile, sono molteplici gli elementi dei policy studies che richiamano la tematica dell’indirizzo politico: dal carattere finalistico-progettuale, alla dinami- ca procedimentale aperta, all’ottica di sistema258.

Scendendo a livello di classificazioni teoriche, si può osservare come, a seconda della finalità perseguita, i policy studies si muovano lungo un’asse descritti- vo/prescrittivo. A questo proposito, si distingue tra studio per il policy making e studio del policy making259. Più precisamente, le analisi del primo tipo esaminano i processi di formulazione e di attuazione dell’intervento pubblico in chiave diagno- stico-terapeutica, con l’esplicito proposito di migliorare i risultati o, quanto meno, ridurne i fallimenti. Le ricerche del secondo tipo, invece, mirano a ricostruire i con- torni dei processi decisionali, i loro esiti, le caratteristiche degli attori che vi parte- cipano, le relazioni tra le diverse fasi, in modo da formulare modelli più realistici e incisivi di come le società complesse affrontano le situazioni critiche.

Se si volesse spingere oltre il paragone tra policy studies ed indirizzo politico, le prospettive che valorizzano la dimensione “normativa” e quelle che si limitano alla dimensione “descrittiva” sembrerebbero riecheggiare le richiamate impostazioni normativiste/esistenziali delle teoriche sull’indirizzo politico260.

257 Cfr. R. DAHL, After the revolution? Authority in a good society, New Haven, Conn., Yale

University Press, 1970, 120 ss.

258 Questo parallelo raramente viene azzardato dalla dottrina costituzionalistica. Tra i pochi v. S.

GALEOTTI, La debolezza del governo nel meccanismo costituzionale. Saggio sulla bassa capacità

decisionale del sistema politico italiano, In Gruppo di Milano, Verso una nuova costituzione, I,

Giuffrè, Milano, 1983, 347, secondo cui «l'espressione "processo decisionale politico", che traduce letteralmente l'analoga espressione, corrente nella letteratura politologica anglo-americana ("policy decision making process"), trova un corrispondente rigoroso, proprio nel linguaggio della nostra dottrina giuridico costituzionalistica, nel concetto di potestà {o funzione) di indirizzo politico (o di governo) vista nel suo farsi, nel suo svolgimento».

259 G. REGONINI, Capire le politiche pubbliche, cit., 79 ss.

260 L’accostamento tra la “normatività” di alcuni policy studies e quella dell’indirizzo politico si

coglie bene nelle parole di un Autore, T. J. Lowi, che tra i primi si è avventurato in questo settore delle scienze politiche: «una politica pubblica è [...] una norma formulata da una qualche autorità governativa che esprime una intenzione do influenzare il comportamento dei cittadini, individual- mente o collettivamente, attraverso l’uso di sanzioni positive o negative»; v. T.J. LOWI, The State in

Tra i principali approcci di tipo prescrittivo vi è la rational policy analysis (ARP), forse tra i primi e, sicuramente, tra i più paradigmatici dei policy studies261. Caratteristica essenziale di tale impostazione è il ricorso ai modelli, ovvero a sche- mi che consentono di costruire un ordine analitico su una realtà evidentemente arti- colata ed intricata. Il modello del ciclo, in particolare, suddivide il processo di poli- cy in più stadi, dall’emergere del problema fino all’implementazione ed alla valuta-