Proseguendo nell’analisi dei profili teorici concernenti la collocazione del CIPE all’interno del circuito di definizione dell’indirizzo politico329, dopo essersi interro- gati, in via generale, sulle problematiche emergenti dai rapporti tra Comitati inter- ministeriali ed organi endogovernativi330, occorre adesso passare al “tratto” princi- pale del circuito che caratterizza la nostra forma di governo parlamentare, ovvero alla relazione Parlamento-Governo.
Se, come visto, i Comitati interministeriali sollevano numerose questioni in or- dine alla compatibilità con il modello costituzionale di Governo, è inevitabile che l’esistenza di questi organi alteri in qualche modo anche le caratteristiche e le di- namiche del rapporto fiduciario tra i due principali attori politici del sistema costi- tuzionale. Tanto più che, come visto, per molti versi la natura vincolante da ricono- scere all’indirizzo politico si attesta su una dimensione di responsabilità politica e non su una cogenza giuridica331.
Sarà necessario, dunque, soffermarsi sui termini con cui i Comitati interministe- riali si rapportano a loro volta nei confronti del Parlamento e, in particolare, sui termini con cui si viene a configurare la loro responsabilità politica di fronte alle assemblee rappresentative.
Come noto, tradizionalmente si suole distinguere i due differenti profili della re- sponsabilità politica c.d. istituzionale e della responsabilità politica c.d. diffusa332.
La prima trova in regole giuridiche codificate o convenzionali il proprio fondamen- to e la propria disciplina; la seconda, invece, nasce dalla libertà di critica politica presente e consapevolmente esercitata al fine di incidere sulle vicende istituzionali all'interno di un determinato ordinamento. Dei due aspetti, la responsabilità diffusa è quella certamente più in espansione, tanto che «le stesse forme tradizionali di re- sponsabilità politica istituzionale appaiono oggi fortemente condizionate da forme che si muovono nella logica più ampia e complessa» della seconda333.
Secondo una diversa impostazione, la responsabilità politica può specificarsi in una figura statica, riferita «all’organizzazione in sé dei singoli soggetti costituzio- nali ed al controllo politico sulle persone», esercitata soprattutto in sede di investi- tura, ed in una figura dinamica, concernente l’attività del soggetto «lungo tutto il corso del suo svolgimento»334. Da questo punto di vista, gli organi costituzionali entrano in relazione e si condizionano politicamente in maniera reciproca e conti-
329 Secondo la nozione di indirizzo politico ricostruita nel Capitolo I. 330 Cfr. Capitolo II.
331 Cfr. retro Cap. I, par. 5.
332 G.U. RESCIGNO, Responsabilità (diritto costituzionale), in Enc. dir., XXXIX, 1988, 1346 ss.;
P. CARETTI, Responsabilità politica, in Enc. giur., XXVII, 1991, 2; critico sul punto G. PITRUZZEL- LA, Responsabilità politica, in Dig. disc. pubbl., XIII, 1997, 297 ss.
333 P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 2.
nua, creando un equilibrio ed un coordinamento in tutto il sistema. Ciascun organo riesce così ad esercitare in piena forza i propri poteri soltanto se vi è un sufficiente grado di adesione da parte degli altri organi costituzionali che lo controllano, se- condo una dinamica che diviene fondamentale soprattutto nei rapporti fra Parla- mento e Governo all’interno delle forme di governo parlamentari.
In generale, si potrebbe dire che la responsabilità politica concerna «il legame strettissimo che sussiste, anche nel settore della suprema organizzazione dello Stato, fra l’organo e la funzione», poiché «vincola l’organo ai compiti che gli sono affida- ti, lo sollecita all’impegno massimo, ad un più preciso rigore, fa in modo che esso debba sottostare, in ogni momento, alle conseguenze del proprio operato»335. Al di là, però, della formulazione di questa ratio generale, non sarebbe possibile definire la nozione di responsabilità politica su di un piano meramente astratto e sganciato dal riferimento diretto alla realtà effettuale dei diversi sistemi costituzionali336. La responsabilità politica, infatti, non si atteggia secondo una formula unica e fissa337, ma inerisce storicamente agli sviluppi dell’ordinamento e segue la consistenza e la natura delle funzioni cui è collegata338.
Da ciò deriva, innanzitutto, un’effettiva mutevolezza delle forme e dei modi at- traverso cui può esser fatta valere la responsabilità politica di un soggetto339. In se- condo luogo, emerge il nesso inscindibile che esiste tra responsabilità politica, tito- larità del potere e pienezza di esercizio del medesimo340; se, infatti, un soggetto de- ve essere chiamato a rispondere, deve anche avere la piena possibilità di agire341. Poiché essere politicamente responsabili, dunque, vuol dire essere titolari di una quota di potere politico, il soggetto politicamente responsabile non si trova affatto in una posizione deteriore rispetto al soggetto verso cui risponde, ma, tutt'al contra- rio, fino a che non si venga rimossi, vuol dire stare in posizione di sovraordinazio- ne politica rispetto ad altri342.
Storicamente, il concetto di responsabilità politica «nasce e si sviluppa di pari passo con la nascita e lo sviluppo della forma di governo parlamentare»343. Tale evoluzione, infatti, ha il suo punto di arrivo, verso la metà del 1800, nell'affermarsi dell'istituto della fiducia, attorno al quale ruota la responsabilità politica istituziona- le del Governo in questo tipo di forma di governo344.
335 M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 300. 336 P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 1.
337 M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 300. 338 Ibidem.
339 P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 1. 340 Ibidem.
341 M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 300.
342 G.U. RESCIGNO, Responsabilità (diritto costituzionale), cit., 1350. Sull’argomento, per gli
sviluppi più recenti, cfr. G. AZZARITI (a cura di), La responsabilità politica nell’era del maggiorita- rio e nella crisi della statualità, Giappichelli, Torino, 2005; L.VENTURA,P.FALZEA (a cura di), Seminari sulla responsabilità, Giuffrè, Milano, 2013, spec. P. CARETTI, La responsabilità politica
del Governo, 35 ss.
343 P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 1; G. PITRUZZELLA, Responsabilità politica, cit.,
292 ss.
344 Cfr. P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 3, che precisa anche come esso sia il principale
ma non il solo. VI sono, infatti, altri strumenti utilizzabili dal Parlamento per far valere la responsa- bilità politica del Governo, quali quello di inchiesta, di interrogazione, di interpellanza, di mozione,
Con diversa gradazione, si può oscillare tra concezioni che per qualificare una forma di governo come parlamentare ritengono sufficiente il conferimento iniziale della fiducia all’esecutivo su di un programma e l’indicazione di una compagine governativa345, e quelle secondo cui la titolarità del potere esecutivo deve essere concepita «come un'emanazione permanente (mediante il rapporto fiduciario) del o dei collegi titolari del potere legislativo»346. Ad ogni modo, la fiducia, «sia come
atto iniziale che ufficialmente manifesta il consenso delle Camere verso il pro- gramma del Governo e le persone che lo compongono, sia come rapporto perma- nente che esprime la permanenza di tale consenso, implica possibilità di sfiducia, di revoca cioè in ogni momento (e senza controllo) di tale fiducia»347.
La fiducia viene così a costituire «il principio giuridico fondamentale che tende a garantire la funzionalità del sistema attraverso la convergenza spontanea ed unita- ria del governo e delle camere verso le medesime finalità politiche»348. Essa si con- figura come una sorta di “relazione di tipo contrattuale” fra Governo e Parlamento sulla base di impegni reciproci nell’attuazione del programma di governo349.
Nel nostro ordinamento, la mutevolezza dei meccanismi di responsabilità politi- ca del Governo e del rapporto fiduciario ha assecondato una evoluzione che ha co- nosciuto due fasi fondamentali. Riassuntivamente, si potrebbe dire che fino all’entrata in vigore della legge elettorale (prevalentemente) maggioritaria del 1993, era la negoziazione fra i partiti nella fase successiva alle elezioni politiche a deter- minare l’accordo di coalizione e l’elaborazione del programma di governo, rispetto ai quali la fiducia parlamentare altri effetti non aveva se non quello di «ratificare» il contenuto dell’accordo di coalizione350.
Con la riforma elettorale di inizio anni ’90, questa prospettiva muta, anche se non radicalmente. Secondo la dinamica già precedentemente richiamata, la coali- zione di governo non si forma più successivamente alle elezioni, bensì in via pre- ventiva, con la contestuale designazione del leader candidato alla Presidenza del Consiglio e di un programma di governo. Ciò determina il «progressivo distacco dall’indirizzo politico dall’arena parlamentare» in favore dell’Esecutivo, il quale, «forte di una sorta di legittimazione diretta, tende a farsi interprete dell’indirizzo politico predeterminato dall’accordo preventivo di coalizione e a utilizzare la rela- zione fiduciaria come vincolo procedurale nei confronti della “sua” maggioran- za»351.
di risoluzione, l'esercizio dei quali «consente al rapporto fiduciario di articolarsi in una serie com- plessa di momenti, tutti funzionali al controllo dell'attività governativa da parte delle Camere». Di rapporto di fiducia come «articolazione strutturale della funzione di indirizzo politico» parla M. GALIZIA, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 302 ss.
345 Cfr. le indicazioni di M. LUCIANI, Governo (forme di), cit., 548 ss. 346 L. ELIA, Governo (forme di), cit., 642.
347 G.U. RESCIGNO, Responsabilità (diritto costituzionale), cit., 1353. La fiducia politica indivi-
dua, dunque, una «responsabilità politica istituzionale perché implica di per sé la possibilità massi- ma che può essere contenuta nel rapporto di responsabilità politica, la rimozione dalla carica del soggetto responsabile».
348 A.MANNINO, Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, cit., 292. 349 A. MANZELLA, Il parlamento, cit., 390.
350 G. RIVOSECCHI, Fiducia parlamentare, in Dig. disc. pubbl., Agg. ***, 2006, 385. 351 Ivi, 386 s.
A partire da queste coordinate fondamentali sull’istituto della responsabilità po- litica e dalla constatazione dello spostamento del “baricentro decisionale” in favore del Governo, occorre interrogarsi sul modo con cui i Comitati interministeriali ri- spondano politicamente ed in via istituzionale al Parlamento del proprio operato. Per trovare risposta è necessario partire dalla considerazione che i principali - se non gli esclusivi - componenti dei Comitati sono i Ministri. Occorre, dunque, pren- dere le mosse dai principi costituzionali, che individuano solamente una responsa- bilità collegiale per gli atti del Consiglio ed una responsabilità individuale per gli atti di ciascun dicastero.
In ragione di ciò, sono diverse le soluzioni ipotizzabili.
Innanzitutto, è possibile sostenere che per le funzioni di governo esercitate dal Comitato debba rispondere sempre l’intero Governo. La responsabilità politica di tutta la compagine governativa per l’operato dei Comitati potrebbe essere giustifi- cata a partire da alcuni inquadramenti teorici dei Comitati stessi. Così, se questi or- gani vengono concepiti come interna corporis del Consiglio dei Ministri, allora «la responsabilità politica per le deliberazioni dei comitati va imputata collegialmente a tutti i ministri, ivi compresi quelli che non fanno parte del comitato»352. Se, infatti, in ragione del rapporto con il vertice collegiale del Governo, «le deliberazioni dei comitati sono imputabili al Consiglio dei Ministri, la responsabilità politica per gli atti dei comitati si estende ai ministri che non fanno parte del collegio minore»353.
Questa soluzione, però, va incontro a consistenti critiche. Al di là dei dubbi che solleva l’inquadramento teorico su cui poggia tale concezione, appare di dubbia coerenza pretendere che anche Ministri del tutto estranei ai problemi di cui si occu- pa il Comitato debbano rispondere di fronte al Parlamento di ciò che avviene in se- no a tale organo, ovvero di decisioni che non hanno contribuito a prendere e di cui molto spesso non sono neppure al corrente354.
All’opposto, con una soluzione che rimane sempre aderente al dato letterale del- la Costituzione, si può ritenere che dell’operato dei Comitati debbano rispondere i Ministri in quanto singoli organi. La Costituzione, si dice, «oltre la responsabilità del presidente del consiglio per la politica generale del governo, riconosce soltanto la responsabilità collegiale dei ministri per gli atti del consiglio dei ministri e la re- sponsabilità individuale di essi per gli atti dei loro dicasteri. Tertium non datur, cioè non è configurabile una responsabilità dei ministri in quanto membri dei comi- tati interministeriali, per gli atti da questi compiuti»355. La deliberazione di un Co- mitato, dunque, «non libera il ministro che ne fa parte e che la esegue dalle sue re- sponsabilità», così che si hanno solamente «una serie di responsabilità individua- li»356. In generale, «vige il principio della responsabilità individuale dei singoli componenti, siano essi ministri in carica o funzionari», e dal momento che i Comi- tati «hanno una configurazione autonoma ed una composizione diversa dal Consi-
352 F.MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, cit., 106 s. V. retro
par. 3.1.
353 Ibidem.
354 G. QUADRI, I Comitati di Ministri, cit., 43.
355 M. MAZZIOTTI, Il diritto al lavoro, Giuffrè, Milano, 1956, 364 s. 356 G. TREVES, Comitato interministeriale, cit., 596.
glio dei Ministri, non si può ritenere chiamata in causa la responsabilità collegiale del gabinetto»357.
Si è già fatto cenno alle ricostruzioni teoriche che inquadrano i Comitati inter- ministeriali come “organi di rappresentatività” o come un fenomeno di “istituziona- lizzazione del concerto” tra Ministri358. Tra i vantaggi in termini di sostenibilità co- stituzionale di queste ricostruzioni, vi è che la partecipazione dei Ministri ai Comi- tati non comporta il sorgere di una nuova e diversa responsabilità politica, in quan- to, comunemente ad entrambe, «la attività da essi svolta nel comitato e le delibera- zioni in esso collegialmente assunte non sono che una delle attribuzioni del titolare di ciascun dicastero»359. Pertanto, che un Ministro partecipi ad un Comitato «non “copre” o sostituisce la sua responsabilità individuale», ma ne esplicita semplice- mente uno degli aspetti, al pari di tutte le altre attività che gli vengono dalla legge attribuite ratione officii, come singolo o come membri di un collegio360.
Anche per questa prospettazione sono stati messi in luce gli aspetti più contro- versi, soprattutto in ordine alla coerenza con la Costituzione delle letture fornite dalle teorie citate da ultimo. A questo proposito, in virtù di una lettura restrittiva dell’art. 95, c. 2, Cost., si sostiene che la responsabilità individuale sopra richiama- ta valga a coprire solo ciò che accade nella sfera interna del singolo Ministero - siano decisioni politiche poste in essere direttamente dal Ministro o indirettamente tramite funzionati che fanno a lui capo - certo non all’interno di organi diversi co- me i Comitati interministeriali361. Ancor più puntualmente, si è osservato come l’attività di un Comitato abbraccia un settore che è sempre più ampio del singolo Ministero, o comunque sottratto alla singola competenza ministeriale362. Il Ministro, infatti, partecipa al Comitato ratione officii, in quanto preposto ad un certo Ministe- ro, ma è altrettanto vero che la sfera di attività del Comitato e le decisioni che ven- gono prese in seno ad esso sono assolutamente distinte rispetto alla sfera di compe- tenza ministeriale. E non potrebbe che essere così, «dato che il Comitato è uno solo e i Ministri che ne fanno parte sono molteplici»363.
Diversamente, invece di chiamare in causa l’intero Governo o di imputare ai singoli Ministri le decisioni adottate dal Comitato, è possibile prospettare una re- sponsabilità politica intermedia del Comitato stesso.
Simile ipotesi parte dal presupposto che il Parlamento non sia più in grado di esercitare il suo potere di controllo sull’esecutivo con gli strumenti tradizionali, i quali si dimostrano inefficienti a fronte dell’elasticità della struttura del Governo e del policentrismo decisionale364. Di converso, la responsabilità politica non sarebbe un sistema di norme cristallizzate ed intoccabili, bensì un complesso di relazioni duttili ed elastiche che si adeguano continuamente alle concrete esigenze dell’ordinamento e a quelli che sono gli effettivi centri di decisione e di controllo
357 Anche in ragione del fatto che essi non possono impegnare la politica generale del Governo;
così G. CUOMO, Unità ed omogeneità nel governo parlamentare, cit., 64.
358 V. retro par. 3.1.
359 V. BACHELET, Comitati interministeriali, cit., 771. 360 Ibidem.
361 Con riferimento all’ordinamento inglese, ma con considerazioni spendibili anche nel nostro
Paese, cfr. G. QUADRI, I Comitati di Ministri, cit., 154.
362 Ibidem. 363 Ibidem. 364 Ivi, 42.
politico in un determinato momento storico365. Di conseguenza, sul piano della di- sciplina costituzionale delle responsabilità politiche attribuite agli organi del Go- verno, la Costituzione stessa «non esclude che, accanto agli organi politicamente responsabili previsti in essa, esistano altri organi ugualmente responsabili, ma nep- pure impone che questi siano responsabili, essendo pienamente ammissibile che per essi rispondano quegli stessi già previsti in Costituzione»366. A questo proposi-
to, l’argomento della mancata previsione di altre forme di responsabilità politica rispetto a quelle tradizionali risulterebbe debole, dal momento che neppure i Comi- tati sono espressamente contemplati dalla Costituzione367.
Per sostenere questa posizione, inoltre, bisogna partire anche da una concezione dei Comitati come organi del Governo che «si sostituiscono nelle decisioni ora al Consiglio dei ministri ora ai singoli ministri», così che «per il campo loro affidato il potere decisionale a livello politico spetta ad essi e a nessun altro organo di Go- verno»368. I Comitati interministeriali, però, saranno pur sempre compatibili con la Costituzione nella misura in cui «non diminuiscano il rango degli organi previsti, e cioè purché non siano superiori o pari ordinati al Consiglio dei ministri, non sfug- gano al potere di direzione e coordinamento del Presidente del Consiglio, non esau- torino un singolo ministro rispetto al suo dicastero»369. A queste condizioni, purché non si escluda o diminuisca la responsabilità politica degli altri organi del Governo, dovrebbe ritenersi configurabile per i Comitati interministeriali che non svolgono funzioni meramente preparatorie o istruttorie «un'autonoma responsabilità politica in quanto tali di fronte al Parlamento»370.
Inoltre, sarebbe ragionevole «che a rispondere davanti alle Camere alle doman- de dei parlamentari per la loro attività sia il presidente del comitato (sia tale a titolo proprio sia tale per delega del Presidente del Consiglio)»371. In definitiva, «sarebbe preferibile ritenere che siano responsabili politicamente in via istituzionale i comi- tati di ministri, e per essi il loro presidente, e non il Presidente del Consiglio o i ministri al loro posto»372.
Di conseguenza, si avrebbe una moltiplicazione dei rapporti di fiducia e di re- sponsabilità politica fra Comitati e Parlamento quanti sono i settori di intervento dei primi, rapporti resi omogenei dalla presidenza dei Comitati che dovrebbe essere affidata al Presidente del Consiglio373. Per gli atti dei Comitati sarebbero politica- mente responsabili davanti al Parlamento i Ministri che li compongono; tra questi Ministri verrebbe ad instaurarsi «una forma di responsabilità politica collegiale»
365 Ivi, 158.
366 G.U. RESCIGNO, La responsabilità politica, cit., 233.
367 «Non si poteva prevedere la responsabilità politica per l’attività di organi di cui non si ritene-
va di dover parlare!»; così G. QUADRI, I Comitati di Ministri, cit., 43, secondo cui il sistema dei Comitati «tende evidentemente a superare la contrapposizione tradizionale fra i poteri dello Stato, creando nuove possibilità di controllo, di collegamento e di sintesi» (44).
368 G.U. RESCIGNO, La responsabilità politica, cit., 232. 369 Ibidem.
370 P. CARETTI, Responsabilità politica, cit., 4.
371 G.U. RESCIGNO, Responsabilità (diritto costituzionale), cit., 1357. 372 ID., La responsabilità politica, cit., 233.
analoga rispetto al Consiglio dei Ministri, sulla base delle medesime esigenze di segretezza, unità e solidarietà374.
Anche simile ricostruzione è stata sottoposta a forti obiezioni per molti dei suoi aspetti. Innanzitutto, si potrebbe sostenere l’argomento a contrario per cui il silen- zio della Costituzione a proposito di una forma di responsabilità politica intermedia fra quella collegiale ed individuale dovrebbe equivalere ad un suo rifiuto, oppure, ancora più radicalmente, che tale silenzio sia indice di una mancanza di volontà a che sussistano organi intermedi fra Consiglio dei Ministri e i singoli Ministri375. Solo la Costituzione potrebbe configurare esplicitamente una ulteriore responsabili- tà oltre quella individuale, chiamando a rispondere di fronte al Parlamento non so- lamente i singoli Ministri376. Dal punto di vista delle dinamiche concrete, inoltre, si paventa il rischio che, distinguendosi la responsabilità del Ministro come titolare di dicastero da quella dello stesso come membro del Comitato, «dovrebbe parados- salmente ipotizzarsi dimissioni del Ministro dal Comitato le quali non coinvolgano la sua carica in seno al Gabinetto, il che è palesemente inaccettabile»377.
Infine, in termini critici nei confronti di qualunque ipotesi ricostruttiva sulla re- sponsabilità politica per l’attività dei Comitati interministeriali si pone chi ritiene, più radicalmente, che tali organi siano del tutto incompatibili con il nostro modello costituzionale378. Da una parte, sostenere che la responsabilità consiliare copra la responsabilità del Comitato mal si concilierebbe «con la natura esterna del Comita-