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Impero ottomano e Venezia

II. 5 – Commercio e investimenti internazional

Le interazioni mercantili portuali furono un aspetto imprescindibile dell’economia veneto-ottomana del Settecento, non diversamente dai secoli precedenti. Gli scambi non erano solo di merci, ma investivano pienamente una serie di mercanti, tra cui si creavano saldi legami, senza una limitazione nel loro ruolo684, producendo un completamento e una piena funzionalità tra l’economia interna e quella esterna.

Nel 1775 ad Aleppo le "lamette" veneziane furono oggetto di una vera battaglia commerciale tra mercanti ottomani e veneti. Si trattava di un filo metallico di produzione tedesca, portato da navi veneziane e serviva alla produzione del mis, un filato di seta particolarmente lucente e facilmente confondibile con il filo d'oro o d'argento (detto kassab), poiché intrecciato con la lametta appunto. "La lametta […] è uno delli capi più essenziali del nostro comercio, la maggior parte veniva venduta a quelli che la lavoravano torcendola sopra seta in modo che veniva rassomigliare l'oro e l'argento filato, e questa era chiamata Mis"685. L'interazione veneto-siriana sarebbe forse passata in secondo piano o niente affatto ricordata, se non fosse sorto un problema importante che coinvolse i mercanti veneziani.

682 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, busta 652, “Libro Bollato”, senza data, ma probabilmente ottobre 1789.

Stando ad una richiesta (fatta dal capitano Francesco Picello) di registrazione di uno scambio epistolare tra Marcos Abram quondam Salomon Fua di Istanbul con Marco d’Abram Malta da Venezia. Per un giro di cambiali non pagate a Istanbul del valore di 8.500 piastre, a mezzo di vari intermediari a Larnaca, si rendeva necessario l’acquisto di trenta cantari di cotone di ottima qualità, che fu pagato “all’alterato prezzo” di 237 piastre al cantaro, ma che, una volta giunti a Venezia, si mostrarono scadenti. Alla fine Picello dovette comprare, per 240 piastre il cantaro, 82 ballotti dell’ultima raccolta di cotone dal medico Pietro Paolo Vondiziano per una serie di accordi tra il sensale di Picello, il medico e il mercante inglese Devezen.

683 Ivi, busta 604, 7 settembre 1792.

684 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 87. Come ricorda Suraiya Faroqhi, fino a tutto il

Settecento i mercanti musulmani ottomani erano molto attivi; il loro effettivo ritiro dalle piazze si verificò solo nel XIX secolo. Faroqhi, The Ottoman Empire and the World…, op. cit., p. 151.

Il capo (ağa) della gilda dei produttori di filato d'oro e argento (kassabca), Kustafa ağa figlio di Hacı Abdelkader ağa, cercò piuttosto efficacemente di impedire ai produttori del filo mis (detti, con il nome collettivo della loro associazione di mestiere, misce) di usare la lametta sul filo di seta, ("non permette che le nostre lamette sijno qui travagliate e torte sopra fili di seta, come l'erano sempre in passato"686), ma solamente su quello di cotone e lino, con risultati, ovviamente, insoddisfacenti. Gli operatori del settore misce, allora, chiesero aiuto a tre mercanti veneziani (Stefano Popolani, Salomon Alteras e Emanuel Vita Belilios, tra i più importanti nella vita economica veneziana ad Aleppo), poiché da costoro compravano le lamette e anche i Veneti stavano per subire un danno significativo.

Vera Costantini ha posto l'accento sulle motivazioni che spinsero l'ağa a tale pretesa. Innanzitutto, fa notare che ai Veneziani erano aperte quelle vie burocratiche e di ricatto che i normali mercanti e produttori ottomani non disponevano. Infatti, una richiesta avanzata al kadı da parte di un suddito straniero aveva più possibilità di trovar ragione di quella avanzata da un suddito ottomano, che, ovviamente, non disponeva della possibilità di fare appello al proprio ambasciatore e, quindi, di portare il proprio caso davanti alla corte del sultano. Il caso non fu risolto con la sola minaccia di ricorso al bailo; l'ağa del kassabca, scavalcando l'autorità del kadı, ottenne dai lavoratori della corporazione del misce una somma pari a quella che avrebbero dovuto pagare se avessero prodotto mis con la seta. Le contromisure veneziane non solo fecero produrre un firmano contro tale ingiusta imposizione, ma soprattutto misero in moto una serie di rapporti commerciali che da Aleppo portavano fino alle province irachene, per smaltire l'incaglio di lamette che si era prodotto, rivalutando, inoltre, la versatilità delle lamette per altre produzioni687.

Un altro caso di interazione tra mercanti veneziani e mercanti operanti sul mercato interno ottomano si svolse nell'isola di Cipro nel 1766. I due Veneziani della ditta

686 Ivi, 18 agosto 1775.

687 Vera Costantini, "Il commercio veneziano ad Aleppo nel Settecento", in Studi Veneziani, XLII (2001),

pp. 190-194. Per l'importanza di questi tessuti, cfr. Hülya Tezcan, "18. yüzyılda Kumaş Sanatı", in 18.

yüzyıda Osmanlı Kültür ortamı, sempozyum bildirileri 20-21 Mart 1997, Sanat Tarihi Derneği, Istanbul, 1998,

Vassalo e Giaxich comprarono del cotone da degli uomini di Khalil ağa, dizdar (castellano) di Girne, che nel 1766 tentò di impossessarsi della carica di governatore dell'isola. Tale episodio fu visto con apprensione dal console Bernardo Caprara, poiché il contratto siglato rischiava di danneggiare i rapporti generali tra i Veneziani e le autorità isolane e di compromettere i due mercanti, per l’atto di insubordinazione di Kahlil ağa. Il console chiedeva l'annullamento del contratto688.

Da un lato il ruolo dei mercanti europei è sempre più forte, dall'altro i produttori e i mercanti locali non vanno intesi come innocenti vittime di un colonialismo ante litteram. Certamente, le fasce più basse di produttori, mercanti e consumatori ricevevano un danno, ma i fabbricanti medio – grandi potevano rialzare il prezzo delle merci, vendute ai mercanti europei, poiché gli stranieri avevano una maggiore capacità d'acquisto e, quindi, il venditore ottomano guadagnava con una piccola speculazione689. Alcune merci cominciarono a scarseggiare per alcune fasce, poiché non c'era vantaggio a tenerne una quota per il mercato interno, dato che nessun regolamento imperiale lo prevedeva690.

Inoltre, si stava verificando anche un cambiamento molto importante per l'economia generale. I detentori dei malikane legati alle produzioni agricole cominciarono a seminare colture per l'esportazione: cotone, tabacco e mais. L'Impero ottomano si stava trasformando in una zona di approvvigionamento per le popolazioni, le manifatture e, in una lunga ottica, per le proto-industrie e industrie europee691. Le vendite di tali produzioni erano direttamente effettuate dal detentore del malikane ai mercanti europei,

688 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 648, 23 luglio 1766. 689 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 126.

690 Ibidem.

691 İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman Empire and the

World-Economy, op. cit., p. 60 e İlkan Sunar, "State and Economy in the Ottoman Empire", in İslamoğlu-

İnan, The Ottoman Empire and the World-Economy, op. cit., p. 74. Masters, "Aleppo: the Ottoman Empire's caravan city", in Edhem Eldem, Daniel Goffman and Bruce Masters, The Ottoman City …, op. cit., p. 52. Veinstein, “Le province balcaniche ..., in Mantran, Storia, op. cit., p. 368. In Siria, "l'aumento delle produzioni di seta e cotone non dipese da una famiglia dominante, ma dalla volontà di un gruppo che, in mancanza di migliori etichette, viene definito ayan". Masters, The Origins of Western Economic …, op. cit., p. 196.

spesso in modo illegale, poiché si trattava di merci considerate strategiche dall'Impero ottomano.

Questo fenomeno è stato definito come l'incorporazione all'interno di un'economia- mondo (world-economy) di un sistema economico detto world-empire, l'impero- mondo692. Secondo questo modello di sviluppo economico, diventato un paradigma della storiografia ottomana, il nascente centro europeo di world-economy (caratterizzato da una struttura politica omogenea, in cui la vita economica si regolava su scambi693) andava trasformando nel ruolo di produttrici di materie grezze, scambiate prevalentemente con i manufatti europei le regioni circostanti, caratterizzate dal world- empire (un multiculturalismo senza una struttura politica che legasse il tutto e in cui gli scambi di mercato erano solo una forma di transazione per ottenere beni attraverso altre merci694). Tale condizione, certamente non omogenea, era però, secondo i sostenitori di questo modello di pensiero, indice di una perdita di potere da parte dell'Impero ottomano, poiché non più in grado di regolare i traffici e di disciplinare il commercio all'interno dei propri confini695. Lo stato ottomano, infatti, almeno a livello teorico e fino al Cinquecento, cercava di controllare l'allocazione delle materie prime, di stabilire la quantità e la qualità delle produzioni e di fissarne i prezzi, di regolare, quindi, i mercati interni696.

Tale atteggiamento aveva un doppio effetto sui mercanti: da un lato erano centrali nell'economia urbana e nel commercio di beni essenziali in un mercato "di uso e non di profitto"697, ma dall'altro la loro stesa forza rischiava di compromettere l'ordine 692 İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman Empire and the

World-Economy, op. cit., p. 60. Immanuel Wallerstein, Hale Decdeli, Ruşat Kasaba, "The incorporation

of the Ottoman Empire into the World-Economy", in ivi, p. 89.

693 Sunar, "State and Economy in the Ottoman Empire", in ivi, pp. 63-65. 694 Ibidem.

695 Huri İslamoğlu- İnan, "Introduction", in ivi, p. 10. İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History",

in ivi, p. 48. İlkan Sunar definisce così l'economia periferica che avrebbe caratterizzato l'Impero Ottomano in questo nuovo periodo economico: oltre alla già citata rivoluzione nei campi e nelle vendite di grani, ci fu la scomparsa dei mercanti musulmani in ruoli di transito a favore dei sudditi ottomani appartenenti alle minoranze come agenti dei mercanti europei residenti (che erano in espansione numerica), le zone interne si andavano spopolando a favore delle zone costiere, specie se connesse con gli scambi a ovest, in un rapporto conflittuale con le città dell'interno delle province. Sunar, "State and Economy in the Ottoman Empire", in ivi, pp. 74-75.

696 İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History", in ivi, pp. 48-50. 697 Sunar, "State and Economy in the Ottoman Empire", in ivi, p. 65.

tradizionale di produzione e consumo698. Questa ambiguità certamente si rifletteva sul commercio con l'estero, da sempre visto come una fonte di entrate699, motore dei beni di lusso700, ma anche causa della debolezza economica ottomana, poiché nel confine orientale, le tele indiane, le sete persiane e i raffinati prodotti cinesi venivano scambiati non con manufatti ottomani, ma con l'oro e con l'argento acquisito tramite il commercio con gli Europei701. L'effettivo possesso e incameramento di metalli preziosi determinava la reale potenza economica di uno stato702; per questo l'erario ottomano guardava con viva preoccupazione questo slittamento a est delle monete d'oro e d'argento acquisite con gli scambi a ovest703. Inoltre, il commercio in alcuni porti e regioni più difficili da controllare era mal visto dalle autorità ottomane, poiché non era sempre possibile estendere un rigido divieto su merci ritenute strategiche704. Quali siano state queste merci è sempre tema di discussione, anche perché ciclicamente il governo stilava nuove liste di merci non esportabili705; Özkaya ricorda cereali, polvere da sparo, fucili, cavalli, cotone e filo di cotone, piombo, cera vergine, marocchino, sego, cuoio, corame, pelle di capra, pece e altro706. Da Gibb e Bowen possiamo aggiungere l'olio d'oliva, la seta, le coperte, il bitume, lo zolfo e il piombo707, mentre Bruce McGowan ci ricorda con oro,

698 Pamuk, A Monetary Hitory..., op. cit., p. 13.

699 Faroqhi, “The Venetian presence...”, op. cit., pp. 313-314.

700 Si pensi, per esempio, ai tessuti serici con oro e argento; spesso veniva vietata la loro importazione, ma

diventarono presto un'abitudine per le classi alte. Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 127.

701 Questo slittamento, ci ricorda Suraiya Faroqhi, non era certo un aspetto recente del commercio

internazionale, ma era già presente in epoca romana. Suraiya Faroqhi, The Ottoman Empire and the

World ..., op. cit., p. 158.

702 Reinhard, Storia dell'espansione europea, op. cit., p. 241. Pietro Bonfante, Lezioni di storia del

commercio, Attilio Sampaolesi editore, Roma, 1924, pp. 62-63.

703Finzi, Storia economica..., op. cit., p. 35.

704 Faroqhi, “The Venetian presence...”, op. cit., pp. 313-314.

705 İnalcık, "Trade", in İnalcık, An Economic History... op. cit., vol. I, p. 198.

706 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 126. Marocchino indica un cuoio pregiato di capra

e montone lavorato in modo da essere lucido, morbido e colorato, in turco sahtiyan (una pelle di capra a strati, lucidata e colorata). Abbiamo tradotto gön come cuoio e corame, la pelle di pecora lavorata, meşin. Türk Dil Kurumu, Türkçe Sözlüğü, Ankara, 1998. “Cuoio”, in Grande Dizionario della Lingua Italiana (d’ora in poi, GDUTET), UTET, Torino, 1961-2002, vol. III, p. 1051-1053; "Corame", in GDUTET, op. cit., vol. III, p. 762. Il divieto per armi, cavalli e piombo si trova anche nel berāt di incarico di Liberal Calogerà. ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, II serie, busta 27, V fascicolo, febbraio 1720.

argento, rame, ferro anche le monete, gli alberi e le travi per le navi, i tessuti per le uniformi, e i rifornimenti alimentari per le truppe, per il Palazzo e per la capitale708. Nel Settecento ci fu una generalizzata liberalizzate delle merci strategiche con l'aggiunta di sovrattasse, poiché il loro commercio fruttava molto allo stato709.

II.6 – La competizione europea: una difficile convivenza tra Veneziani, Francesi e