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6 – La competizione europea: una difficile convivenza tra Veneziani, Francesi e Ingles

Impero ottomano e Venezia

II. 6 – La competizione europea: una difficile convivenza tra Veneziani, Francesi e Ingles

Il Settecento fu indubbiamente il secolo francese nel Mediterraneo orientale. Lo storico Yücel Özkaya è molto esplicito: "lo stato ottomano era un mercato irrinunciabile per la Francia"710. Seguivano i Veneziani, tenuti comunque a distanza, e via via Inglesi, Olandesi, Toscani, Asburgici, Ragusei711.

I Francesi furono sicuramente coloro che diedero più preoccupazioni ai Veneziani, sebbene in un primo tempo registriamo le maggiori dispute con i mercanti inglesi712. I cattivi rapporti erano, ovviamente, tutti legati alla concorrenza commerciale.

Il principale obbiettivo dei consoli veneziani era dichiarare claris verbis che ogni convenienza delle navi Francesi e Inglesi era pura apparenza:

"La Nazione Inglese e Francese fanno qui una Tariffa più Modica della Veneta, ma quest'è un Illusione, sendo chè, sicome il loro Comerzio e circoscritto a Loro Stessi, ne alcun Estero può Entrarvi, così dette Loro Tariffe servono solo d'Esca acciò li Forestieri che Negoziano con Livorno facino a prefferenza collà

708 McGowan, "A perspective on the eighteenth century", in İnalcık, An Economic History... op. cit., vol.

II, p. 710 e pp. 717-718.

709 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 648, 5 novembre 1768 e 25 novembre 1768.

Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia…, op. cit., p. 248. Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Ekonomisi ve Savaş", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p. 213. Per contro, non c'erano limitazioni sulle importazioni dall'Europa. Faroqhi, “The Venetian presence...", op. cit., p. 314.

710 "Osmanlı devleti Fransa için vazgeçilmez bir pazardı". Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op.

cit., p. 132. Suraiya Faroqhi sottolinea, però, che la predominanza francese non voleva dire che detenessero il monopolio dei traffici e dei commerci, sebbene la loro forza fosse indiscutibile. Faroqhi,

The Ottoman Empire and the World…, op. cit., p. 147.

711 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 139. Le stime di questo studioso portano, in realtà i

Veneziani al quarto posto, superati dagli Inglesi. Eppure le fonti veneziane fanno intendere che nella seconda metà del secolo di mercanti inglesi non ce ne fossero stati molti.

712 Questa affermazione è la conclusione che ne traiamo dalla letture delle fonti dirette, ma anche di fonti

secondarie, come Davis, Aleppo and the Devonshire …, op. cit.; Finzi, Storia economica..., op. cit., pp. 29-31; Valerio Castronovo (a cura di), Storia dell'economia mondiale. 2. Dalle scoperte geografiche alla

Noleggiare per Alessandretta j Bastimenti di Loro Bandiera e così fan profittare Le Loro Case Nazionali di tali proventi di Consolati, ma per Loro si sà che pagano in modo diverso, secondo Laumento, ò diminuzion delle spese, arivando gl'Inglesi qualche volta a pagare molto più del 2 per Cento, e così Li Francesi aumenta la Loro Avarea, oltr'il Consoalto che is rasquote in Marsiglia secondo le Spese che accadono, e di più pagano Lun per cento Consolato di Protezione per tutto quello che ricevono, e spediscono con Bastimenti d'Estera Bandiera"713.

Stabilito questo punto, le richieste dei consoli ai Savi stavano nell’uniformare i dazi da pagarsi tra i Veneziani che spedivano a mercanti stranieri e gli stranieri che inviavano merce ai Veneziani; si assisteva, infatti, a una discrepanza notevole. Il console Domenico Serioli constatò che i Veneziani erano costretti a pagare circa il 20% del valore delle merci nel caso spedissero a stranieri, mentre gli Inglesi e i Francesi pagavano meno dello 0,5% "per la cassa pubblica"714.

Gli scambi tra Veneti ed altri mercanti europei si caratterizzarono talvolta per difficoltà tra le parti e, generalmente, il mercante veneto risultava essere animato da buona fede, trasparenza e correttezza, mentre il collega europeo vestiva i panni, del furbo, del furbo. Ne è esempio la causa tra la figlia di Stefano Popolani e il mercante inglese David Hays. Nel 1777 Stefano Popolani morì715, lasciando tre figli, di cui solo Antonia era maggiorenne, e una somma, affidata in procura all'Inglese. Antonia, a nome suo e dei fratelli Bonaventura e Elena, fece molte richieste, intensificatesi a metà degli anni Ottanta, per poter controllare i conti dell'esecutore testamentario, ma senza esito. Il console Salesio Rizzini nel 1787 scoprì "con sommo dolore" che Hays era "sbilanziato". Il mercante inglese consegnò 13.000 piastre a Antonia Popolani in beni, contanti, rate e crediti, ma mancavano ancora 1.200 piastre. Senza perdere tempo, Hays decise di imbarcarsi in avventure economiche sulla carovana per Bassora, ma nel deserto incontrò la morte. Su richiesta della Popolani la casa venne bollata, cioè posta sotto sequestro dal console e si aprì la lista dei creditori e dei debitori del defunto: la vedova pretendeva la sua dote di 6.000 piastre, la suocera, Roxana Vernon, vantava un credito di 4.300 piastre

713 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 603, 17 giugno 1771. 714 Ivi, 31 gennaio 1775.

contratto il giorno stesso della partenza per il deserto di Hays attraverso promessa scritta. La situazione fu complicata dalle dimissioni del console inglese Carlo Smith. Anche Raphael Picciotto, uno dei maggiori mercanti aleppini, vantava crediti, mentre si scoprì che uno dei debitori del Hays, un bottegaio ebreo, che aveva un debito di 3.000 piastre, era finito in carcere perché insolvente. Si decise di scrivere a Londra, poiché si vociferava che fosse morta pure la sorella di David Hays e che avesse lasciato un'eredità di 50.000 piastre. Salesio Rizzini era scettico sulle possibilità di recupero del credito mancante da parte di Antonia, poiché già era chiaro che i mobili della casa sarebbero spettati alla suocera. La situazione si complicò con il dubbio di chi fosse morto prima, se David o la sorella716.

Questa disputa mostra come i rapporti umani e mercantili fossero sempre in un equilibrio fragile. L’Inglese fu probabilmente scelto per delle strette collaborazioni che aveva avuto con Stefano Popolani, tanto da essere trasformate in una procura per i figli. David Hays, sapendo di essere in cattive acque, cercò di rimandare fin quando possibile l'apertura dei registri. Emerge una realtà di donne forti, decise nei loro diritti e residenti all'estero (restano in dubbio la vedova e la suocera, ma per la rapidità delle informazioni ci azzardiamo a sostenere che vivessero ad Aleppo). Purtroppo non sappiamo come si siano conclusi i fatti, ma consideriamo le parole di Rizzini, una rassegnata constatazione dell'impossibilità di fare altro per il recupero del credito di Antonia Popolani, un parziale e possibile esito.

La storiografia presenta spesso la rivalità anglo – francese, meno spesso quella anglo o franco – veneta, mentre solo nell’ultimo periodo si è posta l’attenzione alla concorrenza tra i Veneziani e i Ragusei, che si facevano notare come trasportatori all'interno dell'Adriatico, ma anche del Tirreno, in una sorta di contrapposizione dualistica tra Venezia a nord-ovest e Dubrovnik a sud-est. Le accuse di sleale concorrenza, gli avvertimenti di diffida e le semplici constatazioni di una momentanea retrocessione

716 Ivi, 6 aprile 1787. Ovviamente, se fosse morto prima il mercante, ogni speranza dei creditori sarebbe

veneziana furono sempre abbondanti e in molte scale: ad Aleppo717, a Salonicco718, a Cipro719.

Altro motivo di preoccupazione c’erano anche i nascenti porti franchi, sede di nuove compagnie di commercio720. Dal punto di vista veneziano, i più preoccupanti porti franchi erano Livorno e Trieste; il primo era meta da molto tempo dei mercanti ebrei e armeni europei, ma poi anche di Inglesi e Olandesi721, il secondo era zona asburgica722, la cui influenza riusciva ad estendersi pure nel controllo del porto labronico attraverso l'acquisizione nel 1738 del Granducato da parte del duca di Lorena, consorte di Maria Teresa d'Austria723.

Il porto franco di Trieste sorse con Carlo VI (sovrano tra il 1711 e il 1740), che cercò di realizzare grandi progetti, purtroppo mal organizzati, nonostante la trasformazione del porto (e solo il porto e le sue rive) di Trieste in zona franca. Maria Teresa, finita la guerra di successione austriaca, poté dedicarsi a Trieste, dove si lavorò sia architettonicamente, creando strutture e depositi, sia legalmente: nella seconda metà del XVIII secolo, i successi arrivarono. Con il porto nacque anche una compagnia di commercio privilegiata, la Compagnia orientale, operante però più verso il Portogallo. In evidente contrasto con l'idea di mare liberum implicita in un porto franco, nonostante le numerose fabbriche (di tessuti di lane, di filati, di tele indiane, di seta, di birra, di

717 Ivi, 16 settembre 1781.

718 Ivi, busta 743, 22 gennaio 1777 m.v.. 719 Ivi, busta 648, 4 ottobre 1762.

720 Costantini, Una Repubblica…, op. cit., pp. 81-82.

721 Mantran, “Lo stato ottomano nel XVIII secolo: la pressione europea”, in Mantran, Storia, op. cit., pp.

311-312. nel secolo XVII Livorno era il porto franco del Mediterraneo indubbiamente più favorito. Masson, Histoire ... au XVIIIe siècle, op. cit., p. 383.

722 Iris Laneve, Il porto di Trieste nel secolo XVIII, Depositaria Libreria F.lli Treves dell'Ali, Pavia, 1930,

p.13 e 22. Lane. Storia di Venezia, op. cit., p. 485. Wolfgang Reinhard ricorda come pure la neutralità durante la guerre d'indipendenza americana ebbe un ruolo importante nel garantire a Trieste quella quota di mercato lasciata scoperta da Inglesi e Francesi. Reinhard, Storia dell'espansione europea, op. cit., pp. 236-237. Infine, Svoronos ricorda che furono determinanti per la nascita di Trieste le guerre svoltesi nei Balcani: interrotti i collegamenti terrestri, era necessario trovarne altri verso il nord Adriatico e l'Austria. Svoronos, Le Commerce de Salonique..., op. cit., pp. 218-220.

723 Con la pace di Vienna (che concluse la guerra di successione polacca, 1733-38), il Granducato di

Toscana veniva assegnato a Francesco di Lorena, marito di Maria Teresa d'Austria, dopo la morte senza eredi dell'ultimo dei Medici, in compensazione di alcuni territori sottratti all'impero asburgico nello scacchiere italiano. Galasso, Corso…,op. cit., p. 414-415.

corde, di cera, una raffineria di zucchero), la Compagnia visse in costante deficit, mentre la Corte istituiva lotterie per raccogliere fondi. "Quando Maria Teresa salì al trono gli scambi col Levante, fonte prima della ricchezza di Trieste, erano iniziati da un pezzo, ma essi non avevano raggiunto l'intensità bramata sia per la mancanza di consoli nei porti levantini, sia per le scarse conoscenze dell'ambiente commerciale." Con Maria Teresa e Giuseppe II Trieste fiorì decisamente negli scambi sul mercato italiano (e in particolare con i territori asburgici nella penisola), europeo (con l'Ungheria, la Spagna e il nord Europa), ottomano (inclusi i Cantoni Barbareschi, ma soprattutto l'Egitto, dove i traffici erano gestiti dalla casa di commercio di Baldassare e Carlo Rossetti, "sudditi veneti stabiliti a Trieste", finalizzata a estromettere Venezia dal mercato alessandrino), ma anche con basi nelle lontane terre americane e estremo-orientali. "Allo scoppio della guerra fra la Porta e la Russia nel 1788, Trieste venne a trovarsi in condizioni di floridezza veramente invidiabile durante il periodo di neutralità dell'Austria allorché tutto il commercio del Mar Nero, prima quasi completamente in mano dei Russi, venne ad accentrarsi a Trieste." E mentre Trieste cresceva, molti Veneziani, incuranti delle ammende minacciate, si trasferivano nel porto asburgico724.

La rivalità asburgica725 aveva, quindi, due porti su cui operare e due nazioni da prendere sotto la propria bandiera: Toscani e Genovesi; i consolati veneziani erano in allerta continua726. Il console di Salonicco nel 1776 riferì che si vociferava dell'imminente apertura di una casa di commercio asburgica di Livorno, che, in virtù delle agevolazioni previste in dogana sul tabacco, avrebbe messo in crisi molti traffici veneziani727.

I Veneziani poco fecero concretamente per contrastare la nascente forza asburgica, i cui commerci erano ormai forti e autonomi: "Sua Maestà l'Imperatore" aveva deciso, infatti,

724 "Le merci di esportazione [dal porto di Trieste] erano ferro, rame, mercurio, biancheria, tela da vele, corde,

lana, vetrami, panni, tessuti di lana, potassa, legname da ardere e da costruzione, grano[...], carni salate, miele, tabacco, liquori e medicine." "L'importazione consisteva prevalentemente in cotone, zucchero, caffè, olio e frutta." Le merci di esportazione provenivano sia dai traffici con le terre asburgiche, sia dalle fabbriche fondate a Trieste (quali fabbriche di stoffe colorate per il Levante e Genova, verderame, cera, corde, biacca, zucchero, concerie, gialappa, maioliche, pasta, sapone, rosolio, birra, teriaca, carte da gioco, raffineria di zolfo e calze di seta). Laneve, Il porto di Trieste …, op. cit., pp. 1-69. Cfr. anche İlber Ortaylı, "Ottoman-Habsburg Relations ...", in İlber Ortaylı, Ottoman Studies, op. cit., p. 113, p. 119 e p. 121.

725 Questa rivalità non era esclusivamente economica, ma aveva un risvolto culturale che sarebbe stato decisivo

per i Balcani nel corso del Sette-Ottocento. Ortaylı, "The problem of nationalities...", op. cit., pp. 101-103.

726 Ortaylı, "Ottoman-Habsburg Relations...", op. cit., p. 120.

di "separare […] le Nazioni Imperiale e Toscana dall'Inglese cui erano per l'addietro unite", indice di una maturità commerciale e di ragioni politiche legate all'istituzione del porto franco triestino. Raphael Picciotto, uno dei più presenti e importanti mercanti toscani ad Aleppo, venne nominato agente dei Toscani e degli "Imperiali"728.

Trieste, ovviamente, dava maggiori preoccupazioni, poiché la vicinanza a Venezia poneva una concorrenza reale fin dalla partenza dei convogli: molte merci tedesche e traffici d'oltralpe sarebbero finiti a Trieste, con un chiaro danno per i trasporti veneziani729. Nel 1768 il console ad Aleppo, Domenico Serioli, dovette confermare che una compagnia di commercio fondata a Trieste per due milioni di fiorini aveva "stabbilimenti" al Cairo, a Cipro e ad Aleppo730.

II.7 – I mercanti levantini e "barattari"

Parlare del popolo levantino è doveroso per il loro ruolo storico ed economico e per l'interesse di varia natura che questi discendenti di Genovesi e Veneziani stabilitisi in Levante nel medioevo hanno sempre suscitato. Eppure non è cosa facile. Non solo la bibliografia secondaria non viene in grande aiuto731, ma anche la stessa bibliografia primaria, sia che si tratti di documenti ufficiali burocratici, sia che appartenga all'ambito privato, non fornisce gli elementi chiarificatori necessari732. La coscienza dei Levantini in quanto un corpo unico e straordinario emerse molto tardi, nel corso del XIX secolo, il che vuol dire che ben pochi, se esistono, sono i documenti primari auto-prodotti e di

728 Ivi, busta 604, 10 settembre 1783.

729 Ivi, busta 603, 10 novembre 1768. La concretizzazione di queste preoccupazioni dovette giungere a tutti gli

effetti nel 1784, quando gli austriaci ottennero delle agevolazioni per la navigazione nello spazio ottomano. Mantran, “Lo stato ottomano nel XVIII secolo: la pressione europea”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 311.

730 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 603, 10 novembre 1768.

731 La bibliografia secondaria è carente non per mancanza di interesse, ma proprio perché si deve lavorare

su pochi dati, poco affidabili oppure di tarda origine e su congetture scarsamente dimostrabili. L'interesse verso questo gruppo, però, è sempre stato molto vivo, seppure da punti di vista politici in modo particolare, punti di vista diversi, molto forti e in grande contrasto reciproco. Oliver Jens Schmitt, Les

Levantins – Cadre de vie et identités d'un groupe ethno-confessionnel de l'empire ottoman au "long" 19e

siècle, ISIS, Istanbul, 2007, pp. 13-93.

732 Lo stesso Oliver Schmitt si è visto costretto a confessare esplicitamente il problema, proprio all'inizio

della sua opera (che, nonostante tutto, ci fornisce una bibliografia davvero considerevole): "en préparant cet ouvrage, l'auteur n'a trouvé que des rares sources qui portaient bienveillant sur les levantins". Ivi, p. 13.

pari consistenza sono gli scritti di coloro che guardavano da fuori733: mancava non solo la coscienza, ma pure l'autocoscienza734. Inoltre, il fatto di vivere nell'Impero Ottomano non richiedeva questa consapevolezza del sé, per lo meno fino al periodo di Tanzimat (iniziato nel 1839); l'Impero era organizzato in modo organico secondo l'appartenenza a un gruppo etno-confessionale (detto millet), al cui interno il gruppo dei Levantini, etnicamente indefinibile, trovava comunque un buon riparo735.

Se era tutto sommato facile distinguere i vari millet, come comportarsi con i mercanti europei che si stabilivano con le famiglie per un numero di anni non precisato in Levante? Come trattare gli Ebrei, da sempre considerati in modo diverso da qualunque altro gruppo736? E i sudditi delle ex-colonie veneziane? Si tratta di sudditi veneziani o di sudditi ottomani? E nel caso di matrimoni con ragazze della stessa confessione religiosa, ma dichiaratamente ottomane, cosa succedeva – per usare un termine anacronistico ma estremamente efficace - dal punto di vista di cittadinanza, in un epoca in cui il doppio passaporto non esisteva ancora?

Il confine tra sudditi residenti all'estero e Levantini era molto sottile specie nel XVIII secolo, quando il numero dei mercanti stabilitisi nel Mediterraneo orientale era molto elevato737. Quindi, una delle preoccupazioni dei consoli era quella della naturalizzazione, ossia della levantinizzazione di molti mercanti. Venezia non dispose mai di regole precise, o meglio, ogni cittadino veneziano era sempre pronto a ribadire il proprio status, sia per orgoglio di madre patria sia per motivi fiscali e di tutela. Infatti, con la naturalizzazione l'individuo perdeva il suo stato di straniero residente per

733 Come sottolinea Oliver Schmitt, la stessa parola "levantino" è un esonimo. L'autore ha analizzato tutta

la gamma di appellativi utilizzati per i Levantini, facendo ben vedere al lettore che si trattava di termini imposti/importati dall'esterno del gruppo e che evidenziavano una sola caratteristica dell'essere levantino (la religione, l'origine). Infine, ricorda Schmitt, una stessa parola nel corso dei secoli poteva cambiare significato; infatti, se oggi pensiamo a "levantino", l'associazione d'idee ci porta a identificare una persona di rito cattolico romano ellenofona oppure turcofona, mentre in origine includeva pure i gruppi ebrei e musulmani, cioè tutti coloro che un mercante italiano del medioevo avrebbe definito degli "orientali" diversi da lui e dal suo gruppo di provenienza. Ivi., p. 14, pp. 55-64 e p. 70.

734 Ivi, p. 41. 735 Ivi., pp. 14-15.

736 Piero Stefani, Gli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 10-13.

737 Sunar, "State and Economy in the Ottoman Empire", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman Empire and the

acquisire quello di suddito non musulmano e come tale era tenuto al pagamento di cizye, nüzul, avarız, e altre imposte. Suraiya Faroqhi, nel corso delle sue lunghe ricerche presso l'Archivio ottomano della Presidenza dei Ministri a Istanbul ha trovato un interessante rescritto che stabiliva regole precise: uno straniero diventava ottomano attraverso il matrimonio con una donna cristiana del posto (ossia, con una suddita ottomana cristiana) oppure tramite una dichiarazione d'intento738. Un rapido confronto con i consoli d’oltralpe mostra che il lavoro su questo fronte non era poco, data la massiccia migrazione in Levante, a partire dalla fine del Seicento. Per tali ragioni due delibere reali provvidero a mettere ordine nella materia: "un commerciante francese non poteva andare a risiedere in Levante se non a condizione di aver ricevuto l'autorizzazione, attestata per un certificato che rilascia la Camera di Commercio e d'aver versato una cauzione", come da ordinanza del 21 ottobre 1685. Per i trasgressori erano previste fino a duemila lire di multa. "Questo soggiorno vincolato non è, inoltre, che temporaneo, poiché il certificato non è valido che per dieci anni". Il mercante, poi, non aveva la garanzia di soggiornare in Levante per dieci anni consecutivi, poiché il console poteva espellere e spedire in Francia tutti coloro che avessero avuto una condotta "scandalosa", tra cui rientravano anche i fallimenti commerciali739.

Quanto all'acquisizione dello statuto di suddito per matrimonio, le parole del console a Cipro furono tanto chiare quanto rassegnate: i sudditi veneti sposati a reaya diventavano

738 Faroqhi, “The Venetian presence...”, op. cit., p. 312 e pp. 328-329. Il documento citato da Suraiya

Faroqhi è MD, 6004, p. 21 (1031/1621-2). Il sultano aveva la facoltà di modificare temporaneamente la regola della giurisdizione classica musulmana di un anno di permanenza come condizione sufficiente per essere assimilato a un suddito ottomano. La studiosa ci ricorda che, ovviamente, vi erano motivi politici chiari alla base di ciò. Faroqhi, The Ottoman Empire and the World ..., op. cit., p. 213. Per quanto riguarda i Francesi, le norme erano molto precise: "il residente doveva conformarsi alla leggi che regolavano tutte le condizioni della sua esistenza quotidiana. Doveva sposarsi prima della sua partenza, ma non poteva portare né sua moglie né sua figlia. Se era celibe, gli era vietato sposarsi con una donna del paese, altrimenti detto sposarsi con chicchessia, fosse anche una Francese non residente nella Scala." Charles-Roux, Les échelles

de Syrie et Palestine..., op. cit., p. 16.

739 Charles-Roux, Les échelles de Syrie et Palestine..., op. cit., p. 15. A. Pouradier Duteil – Loïzidou, "La

communauté française à Chypre à la fine du XVIIe et du début du XVIIIe siècle", in Yannis Ioannou,