A livello internazionale, le ultime dimostrazioni di forza navale veneziana furono fatte contro i Cantoni Barbareschi. Le regioni del Maghreb dipendevano formalmente dall’Impero Ottomano, ma di fatto erano autonome già dal 1580 e in misura crescente si stavano trasformando in veri e propri stati indipendenti nel XVIII secolo. Questo dipese sia da fattori interni all’Impero, come la lontananza dal centro e soprattutto la fine della forza espansiva dell’esercito e della marina, sia da fattori esterni, fra i quali André Raymond ricorda soprattutto la vicinanza della Spagna cattolica e il fenomeno della Reconquista, che portò la popolazione musulmana della penisola iberica nelle tre province di Tripoli, Tunisi e Algeri.
In queste si svilupparono parallelamente attività economiche molto proficue, fra le quali, soprattutto, un intenso traffico di schiavi e la guerra di corsa contro le navi
cristiane, che, stando alla prospettiva corsara, permetteva, tra le altre cose, di adempiere all’obbligo del cihad, la guerra contro i nemici della fede305.
Su queste province il potere del sultano era puramente formale: il dey algerino e le cariche di pascià e beylerbeyi a Tripoli venivano solamente riconosciute da parte della Porta, che non aveva alcun potere su queste figure306, mentre i bey di Tunisi, dai primi venti anni del Seicento, erano diventati una vera e propria dinastia regnante, che si trasmetteva il potere e il titolo di pascià307.
In questo clima di tacita indipendenza delle tre reggenze da Istanbul, ovviamente le proteste veneziane alla Porta per atti corsari potevano avere poca efficacia, limitandosi a porre il governo ottomano in una posizione di intermediario tra i contendenti. La difficile situazione per il commercio veneziano nel bacino occidentale del Mediterraneo iniziò circa a metà del ’700, e furono subito chiari i due schieramenti politici presenti a Venezia: gli ambienti della marina militare sostenevano un attacco, ma i Cinque Savi alla Mercanzia, i mercanti del settore e le alte cariche politiche riuscirono a imporre una pace onorevole e onerosa, soluzione appoggiata anche dal sultano.
Dal 1764 si susseguirono una serie di accordi, quasi sempre infranti, volti a limitare le pretese in denaro dei barbareschi. Numerosi incidenti interruppero il clima pacificato e seguirono dimostrazioni di forza da parte veneziana, ma di ben poco conto, anche se le notizie relative a questi scontri venivano sempre ricevute e comunicate con apprensione308. A questa situazione, fecero eccezione le ostilità del 1784, che Roberto Cessi definisce, per Venezia, “l’ultima grande impresa marittima della sua storia per la difesa del suo prestigio”, ma per la quale mancavano i mezzi, a meno che non si fosse tolta protezione alle navi mercantili. In generale questi eventi dimostrarono ancora una
305 Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., pp. 438-440. 306 Ivi, pp. 440-454.
307 Nell’Impero ottomano, il titolo di pascià rappresentava una delle più alte onorificenze ed era legato
all’ambito militare, seppure il suo utilizzo riguardava pure gli ufficiali civili, non legati all’ambito religioso. Non era ereditabile, né trasmissibile per matrimonio né era legato a un possedimento terriero. In
EI2, vol. VIII, p. 287.
308 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 648, 3 ottobre 1767; busta 652, 12 giugno 1785 e 20
settembre 1789. Se i Veneziani ebbero numerose difficoltà con i Barbareschi nella seconda metà del Settecento, nella prima metà del secolo gli attacchi corsari presero di mira maggiormente i navigli francesi, indeboliti ulteriormente dalle guerre di inizio XVIII secolo. Masson, Histoire ... au XVIIIe siècle, op. cit., pp. 356-361.
volta che il governo lagunare aveva optato per la soluzione migliore, assumendo un atteggiamento rivolto alla conservazione della pace: questa situazione di non belligeranza aperta portò indubbi vantaggi economici a distanza di circa venti anni309. Quindi, non sembra fuori luogo parlare di pubblicità, che il governo veneziano faceva a se stesso; la difesa dei propri navigli e dei propri mercanti dai corsari, fossero barbareschi o no, non aveva solo un valore politico, ma forse anche un aspetto più commerciale: mostrare e far sapere in tutto il Mediterraneo che Venezia tutelava secondo le forme internazionali della diplomazia quanti utilizzavano le imbarcazioni lagunari. Non solo Venezia, vittima di duplici attacchi corsari sia nel basso Adriatico sia nell'Egeo310, operava in pace (il che non giustificava gli attacchi dei corsari, ma, anzi, li rendeva ancor più detestabili), ma anche ricorreva al sultano, teoricamente il legittimo sovrano di questi inquieti sudditi per dirimere ogni controversia. Inoltre, tale pubblicità trovava eco nel Mediterraneo orientale attraverso i resoconti dei marinai e le richieste di giustizia dei consoli fatte attraverso il bailo.
Fin dal Seicento, inoltre, era cambiata la prospettiva con cui si vedevano queste azioni di brigantaggio marittimo: i corsari facevano paura non perché rendevano schiavi, ma per le merci che razziavano, chiaro indice dell'importanza delle ragioni commerciali, indipendentemente dall'origine di questi corsari, fossero essi barbareschi, "perfidi e fieri, coi quali le difference si decidono con l'armi", "del Golfo, piccioli ladri, ma per esser dentro e vicino sono li più infesti e attacati" (cioè corsari barbareschi stabilitisi nei piccoli porti albanesi, dove, grazie anche alla complicità dei comandanti locali, potevano facilmente predare le navi veneziane) o "corsari ponentini cristiani, che sono peggiori degli uni dagli altri"311.
In particolare, nel corso del XVIII secolo il numero e le attività di questi corsari cristiani era così aumentato da costringere molti mercanti ottomani a scegliere le navi europee per il trasporto delle proprie merci, con un maggior margine di garanzia di non essere razziati dagli agguerriti corsari ponentini312. Lo storico Paul Masson, parlando della 309 Cessi, Storia della Repubblica, op. cit., pp. 697-705.
310 Mantran, "Commerce, course et convois …", op. cit., p. 495. 311 Ibidem.
312 Masters, The Origins of Western Economic Dominance in the Middle East: Mercantilism and the
corsa francese, la definì "prodigiosa", soprattutto all'inizio della guerra dei Sette anni313: gli atti corsari, da parte di tutte le nazioni commercialmente impegnate nel Mediterraneo, era una pratica diffusa, fatta eccezione per le nostre fonti. Venezia, per lo meno nella veste ufficiale del consolato, doveva mantenere quell'integrità morale che rientrava appieno nella pratica pubblicitaria di paladina dei diritti mercantili. Eppure, questi sforzi ufficiali potevano essere facilmente vanificati dall'azione irruenta e impulsiva dei sudditi veneti. Così, nel 1791 il console a Smirne, Luca Cortazzi, dovette faticare non poco per imporre la visione ufficiale. A La Canea un corsaro tunisino aveva predato una nave veneta e aveva fatto ostaggi il capitano e nove membri dell'equipaggio e si era diretto, poi, a Smirne. Gli Schiavoni presenti in città cercarono, allora, di farsi giustizia da soli, salendo sulla nave corsara e liberando i colleghi. Il console dovette agire in fretta: i Turchi, sia in veste ufficiale sia a titolo individuale, erano piuttosto irritati da questo manipolo di sudditi veneti e minacciarono azioni severe e ostili. Con la mediazione del console francese Amoreux e di Isach bey, Cortazzi versò 9.500 e 8.000 piastre ai corsari per liberare tutti gli ostaggi. Presto giunsero ordini dal bailo:"li bastimenti veneti non navighino se non possibil.e uniti, per essere in statto di Solida Diffesa, nel caso di qualche sinistro incontro"314.
313 Masson, Histoire ... au XVIIIe siècle, op. cit., pp. 317-333.
Fig. 3: Rotte (schematizzate) europee e presenza corsara. (Con questa cartina non si intende fornire un tracciato esatto delle rotte, specie quelle non veneziane, ma solo dare l'idea di quali zone erano più a rischio corsaro). Elaborazione grafica da R. Mantran, "Commerce, course et convois en Méditerranée orientale dans la deuxième moitié du XVIIe siècle", in Actes du colloque international d'histoire, Athènes, 1985, pp. 493-495.
La guerra di corsa nelle fonti veneziane mostra una mancanza di riflessioni morali da parte dei consoli, come si vede bene in una lettera del 12 giugno 1785 da Larnaca. Nella prima allegata si faceva presente che un "armatore dulcignotto" uscì dal porto egiziano dichiarando di "voler andar a Tunis per ottenere patente di corsaro di quella Regenza ed andar in corso contro li Veneziani". La preoccupazione non era tanto la presenza di una nuova imbarcazione corsara apertamente nemica dei navigli veneti, quanto la preoccupazione che "facia lo sbandato", ossia, pur provvisto di lettera di corsa, si temeva che il capitano di Dulcigno avesse effettuato atti di pirateria315.
Nella seconda allegata si racconta che il capitano Michievich, pur sapendo di poter molto probabilmente incontrare dei pirati lungo la sua rotta, attuò una partenza precipitosa, quasi una fuga. Il capitano Michievich portava a Giaffa, Acri e Saida vino e "Haggi" (ossia pellegrini) turchi, ebrei e greci. Il governatore Ali ağa ne fu subito
informato a mezzo di un ilam316 e fu trasmessa una comunicazione pure alla Porta. La nave fu presa e la vicenda fu registrata nel Libro Bollato, dove venne riportato un dato molto interessante: i pirati erano "sudditi ottomani di nazione ebrea e un suddito veneto"317. Tale avvenimento mostra un aspetto molto interessante: era abbastanza inconsueto che questi predoni, per altro definiti ottomani, come fossero stati comuni corsari, fossero ebrei, associati, per giunta, con un suddito veneto.
Le azioni corsare e pirate influivano anche sui divieti che le autorità lagunari ponevano. Il commercio sensibile erano le armi da fuoco: era illogico, infatti, vendere schioppi, fucili e pistole a nemici sempre pronti a destarsi contro Venezia. Lungo tutto il secolo e da tutte le scale i consoli fecero sapere che vietavano le vendite di armi a Barbareschi, a chi poteva loro venderle e persino cercavano di impedirne il trasporto su navi là dirette318, ma non era vietata la loro vendita ai mercanti nazionali in Levante319 e da loro ai Turchi320, purché provviste del permesso dei Savi321.
Insomma, era cambiato l'atteggiamento di consoli e governi nei confronti dei corsari: interessati in modo secondario alle giustificazioni per contrapporsi alla guerra di corsa effettuata dai sudditi ottomani, i consoli avevano l'obiettivo di distruggere, annientare queste navi e i loro equipaggi, che, catturati, non valevano lo sforzo compiuto, come faceva sapere un ambasciatore francese nel 1746322.
316 Una comunicazione dettagliata, soprattutto un verdetto o una sentenza di un giudice notificata alle
autorità, per esteso una sentenza, un decreto giuridico formulato per iscritto. Cfr. “ملعا”, in Redhouse.
317 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 652, 12 giugno 1785. La dichiarazione riportata nel
Libro Bollato di cancelleria e allegata alla lettera è datata 27 maggio 1785.
318 Ivi, busta 603, 17 settembre 1766, 5 settembre 1769, 21 agosto 1771; busta 648, 6 agosto 1765; busta
649, 14 agosto 1772; busta 743, 7 settembre 1769; busta 749, 21 settembre 1765, 21 maggio 1768, 3 maggio 1769; busta 750, 28 ottobre 1781.
319 Ivi, busta 603, 13 dicembre 1770, 6 settembre 1771, 30 aprile 1772; busta 648, 6 agosto 1765, 11
ottobre 1766, 17 agosto 1766; busta 649, 14 agosto 1772, 15 luglio 1775; busta 743, 20 giugno 1751 (nel manifesto di carico); busta 749, 21 maggio 1768, 9 luglio 1768, 28 settembre 1768, 3 maggio 1769; busta 750, 14 giugno 1785.
320 Ivi, busta 603, 10 novembre 1768; busta 743, 7 settembre 1769.
321 Ivi, busta 603, 20 dicembre 1770, 4 agosto 1772; busta 648, 11 ottobre 1766, 17 agosto 1766. In queste
poche informazioni qui presentate sono state omesse le informazioni che i manifesti in entrata a Cipro ci avrebbero potuto fornire sia sulla quantità sia sulla ricorrenza e sugli anni di massimo e minimo commercio. Non è qui il nostro obbiettivo.
322 François Charles-Roux, Les échelles de Syrie et Palestineau XVIIIe siècle, Geuthner, Parigi, 1928, pp. 56-
I.5 – Una fine secolo tra rivoluzione francese e "riforma tradizionalista"
Il XVIII secolo ottomano terminò con una lunga pace sotto i sultani Abdül-Hamid I (1774-1789) e Selim III (1789-1807), con i quali si attuò la “riforma tradizionalista”, come Alessio Bombaci definì la loro azione di governo, volta a cercare di risanare e far funzionare quanto già esistente, soprattutto in campo militare. In particolare, Selim III “non prendeva in considerazione in nessun modo un allargamento del campo d’azione dello Stato, e l’estensione delle riforme ad ogni aspetto del sistema ottomano, caratteristica delle riforme realmente moderne che sarebbero seguite nel XIX secolo”323. Questa definizione si può ben adattare anche al governo di Abdül-Hamid per le riforme strutturali in campo amministrativo, ma soprattutto militare, nonostante quasi tutti i settori dell’Impero necessitassero di cambiamenti incisivi324. Come già aveva fatto Mahmud I, Abdül-Hamid si valse della collaborazione di un esperto europeo per l’esercito, il barone François de Tott, che riuscì a far istituire un nuovo corpo di artiglieria “di stile europeo” (i sürat topçuları) e nuove fonderie per cannoni325. La riforma della marina, avviata in parte già con Mustafa III326, fu affidata al Grande Ammiraglio, il kapudanpaşa Cezayirli Gazi Hasan pascià, che fece costruire nuove tipologie di navi in moderni cantieri e istituì una Scuola del Genio Navale per preparare ufficiali, marinai e tecnici327, mentre si poneva fine al reclutamento di personale inadatto328. L’ultimo settore riformato da Abdül Hamid fu l’amministrazione. Ne fu 323 Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., p. 467. Shaw, Between Old and New, op. cit., pp. 71-179. 324 Shaw, History of the Ottoman Empire, op. cit., p. 261.
325 Il barone De Tott (1730-1793), nobile ungherese al servizio francese, giunse nel 1755 ad Istanbul con
l’ambasciatore alla Porta. Nel 1774, introdotto a corte, spiegò al sultano i miglioramenti tecnici necessari all’esercito. Con due tecnici europei, istruì gli artiglieri del neo- formato sürat topçuları, diede nuovo impulso alla scuola di Bonneval. Il barone lasciò l’impero nel 1776, ma i suoi collaboratori e l’interesse del sultano portarono avanti l’opera. Mantran “Lo stato ottomano nel XVIII secolo…”, in Mantran,
Storia, op. cit., p. 308. Mantran, “Gli esordi della questione d’oriente…”, in Mantran, Storia, op. cit., p.
457. Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., p. 463.
326 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 57.
327 Gazi Hassan combatté nella battaglia navale a Çeşme nel 1770; unico ufficiale sopravvissuto, dal 1774
al 1789 fu Grande Ammiraglio. Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., p. 464. Shaw, History of
the Ottoman Empire, op. cit., p. 259. Mantran, “Gli esordi della questione d’oriente…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 457. Shaw, Between Old and New, pp. 10-11. Gli studenti studiavano su volumi tradotti
in turco stampati dalla rinata casa editrice di Müteferrika (fondata nel 1725). Shaw, Between Old and
New, op. cit., p. 184.
protagonista il Gran Visir Khalil Hamid pascià, che si adoperò per eliminare la corruzione, riformare i timar, riportare la disciplina nel corpo dei giannizzeri e frenare l’inflazione, grazie anche ad un piano di incentivo alle manifatture tradizionali329.
Un generale vento di riforme imperversava sui regimi europei. Dopo l’epocale trasformazione della Francia, preceduta da decenni di assolutismi illuminati, mentre lo stato ottomano riformava – certamente in modo tradizionalista, ma riformava – burocrazia, diplomazia ed esercito, un cambiamento significativo si ebbe nella sentire comune europeo: l’Impero ottomano non era più visto come il nemico assoluto e l’Europa non era più la rivale storica, ma ebbe inizio una stagione di reciproci scambi e interessi culturali (numerosi circoli d’ispirazione francese venivano aperti a Istanbul) e culinari (si pensi alla diffusione del caffè!)330. I sultani stessi si facevano promotori di questa nuova linea: cronologicamente il primo, Selim III, campione delle riforme in stile europeo, si avvalse delle conoscenze acquisite in prima persona per migliorare i settori più deboli della macchina politica ottomana (in primis l'esercito e la flotta)331. Non vanno, però, dimenticati i profondi cambiamenti nell'ambito diplomatico, soggetto a due importanti trasformazioni: da un lato si cominciò a inviare alle corti europee ambasciatori stabili (mentre fino a quel momento si trovavano inviati specificamente incaricati di un compito, senza l'idea di un soggiorno all'estero più o meno lungo)332, dall'altro i trattati siglati con le potenze europee non erano più percepiti come emanazione, come grazia concessa dal sultano ai nemici, ma frutto di accordi bilaterali, anche nella percezione e nella retorica diplomatica della Porta333.
Con la Rivoluzione francese si assistette anche a un profondo, seppur temporaneo, mutamento delle alleanze storiche, tanto da trovare i Russi coalizzati con gli Ottomani.
329 Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., p. 464. Mantran, “Gli esordi della questione
d'oriente…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 458. Shaw, Between Old and New, op. cit., p. 11.
330 Shaw, Between Old and New, op. cit., pp. 193-199.
331 McGowan, "A perspective on the eighteenth century", in İnalcık, An Economic and Social History...,
vol. II, op. cit., p. 645.
332 Tuncer, Osmanlı-Avusturya ..., op. cit., p. 25-27. L'autrice ci ricorda che il primo uomo che possiamo
definire a pieno titolo un ambasciatore ottomano fu Yusuf Ağa Efendi, inviato a Londra nel 1793.
333 Halil İnalcık, "International Trade: General Condition", in İnalcık, An Economic and Social History...,
Lo sconvolgimento fu tale che Alessio Bombaci scrisse che Selim III “non sapeva bene da che parte girarsi”334.
La situazione all’estero non era facilitata da quella interna: Selim III, rispondendo alle difficoltà dell’Impero con riforme di stampo particolarmente tradizionaliste (operò nel settore militare, ripristinando il regolamento del corpo dei giannizzeri, rendendo moderna la marina e istituendo un nuovo corpo di fanteria, addestrato su schemi europei), non sembrò avere alcun effetto sul governo provinciale335. Inoltre, per mantenere un equilibro attorno al trono e alla capitale, dovette pure rinunciare ad alcune delle sue stesse riforme, ma le concessioni fatte in questa ricerca di stabilità non soddisfecero i gruppi forti presenti nelle province e a palazzo. L’ultimo riconoscimento fatto agli avversari della sua politica riformatrice fu la sua stessa detronizzazione e la successione, seppur per meno di un anno, del cugino Mustafa IV (1807-1808), che di fatto era un burattino nelle mani dei diversi gruppi di potere a Palazzo. La situazione in Europa fu tale da impedire ai rivali storici dell’Impero (in particolare alla Russia) di sferrare attacchi decisivi in questo periodo, mentre i problemi interni di gestione della politica ottomana consentirono la formazione di un comitato in difesa e per il ritorno al trono di Selim III, ostaggio di Mustafa IV insieme al cugino Mahmud. Quando, nel luglio del 1808, il comitato entrò ad Istanbul con un esercito e marciò verso il palazzo imperiale, il sultano ordinò di uccidere Selim III, il cugino Mahmud si salvò in modo rocambolesco, diventando il nuovo sultano, mentre nelle stanze del potere Mustafa IV veniva ucciso336.
334 Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., pp. 470-471.
335 Ivi, pp. 467-472. McGowan, "A perspective on the eighteenth century", in İnalcık, An Economic
History... vol. II, op. cit., p. 658.
336 Mantran, “Gli esordi della questione d’oriente…”, in Mantran, Storia, op. cit., pp. 460-461 e pp. 466-
467. Bombaci- Shaw, L’Impero ottomano, op. cit., pp. 471-473. Shaw, History of the Ottoman Empire, op. cit., pp. 264-265.