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III capitolo

III. 2 – Il consolato veneziano a Larnaca

Con il cambiamento nel governo ottomano dell’isola all’inizio del XVIII secolo, i Veneziani poterono riaprire il loro consolato in modo stabile, permettendo una chiara narrazione di quegli anni837.

Tra il 1644 e il 1699, nei lunghi anni di guerra tra Venezia e la Porta, il consolato venne sospeso. Sul finire del XVII secolo il Senato ordinò ai Cinque Savi alla Mercanzia di ricercare quanto necessario alla ricollocazione dei consolati nel Levante838. La risposta dei Savi giunse il 28 aprile 1699 e informò il Senato dell’istituzione consolare a Cipro. Si legge nello specifico che venne istituito per la prima volta il 3 giugno 1588:

“Succede (…) il consolato di Cipro, istituito con Decreto 1588, 3 giugno, che conferisce l’autorità al Magistrato de V Savii di devenire alla elettione, da esser approbata nell’Eccellentissimo Collegio con facoltà inoltre impartita con altro Decreto 1607, 7 aprile di dovere il Magistrato stesso estendere e dare gli ordini reputati necessarii alli Consoli”839.

835 Ivi, 23 luglio 1766. 836 Ivi, 23 agosto 1766.

837 Benzoni, Da Palazzo…, op. cit., p. 45.

838 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 648, 22 marzo 1769. 839 Ivi, II serie, busta 27, I fascicolo, 28 aprile 1699.

In un secondo momento furono istituiti “due mercanti con titolo Cappi di Tansa di Cipro” per rappresentare i mercanti840, informare i Savi sulle spese necessarie al consolato e modificare di volta in volta la Tansa841, ossia il dazio sulle merci in entrata nel porto di Venezia, esatta dalla Dogana da Mar, finché nel 1723 il console Calogerà ne chiese l’affidamento per evitare danni e truffe. Infatti, spiegava Calogerà, il consolato veneto, e con esso lo Stato stesso, subiva un danno economico significativo, poiché vi erano navi che si dirigevano a Venezia senza dichiararlo842. La Tansa, inoltre, venne utilizzata come fondo da cui estrarre le cifre necessarie per estinguere debiti di cariche pubbliche, come quelle consolari. Ne abbiamo un primo esempio con la sospensione del consolato di Calogerà, quando l’ex-console e l’ex-viceconsole Francesco Manzoni furono segnati nel registro della Tansa, al fine di consegnare loro il rimborso per le ultime spese ufficiali effettuate nell’isola, in quanto creditori dello Stato843. Dal 1728 i Cinque Savi alla Mercanzia progettarono l’abolizione del dazio e tale procedura durò fino al 1733844.

In seguito alla fine delle guerre e alla ripresa del commercio veneziano non si poteva lasciare priva di un rappresentante pubblico “una delle più considerabili” scale del Levante per la presenza di “merci pretiose e necessarie a questa piazza, dei gottoni per il traffico della Germania, delle sede, grane e lane, tanto bisognose a questa città” e di tutte quegli altri prodotti che “servono per il flusso e reflusso del negozio”845. A seguito di due richieste (la prima del 1704, la seconda del 1708) da parte dei mercanti veneti che commerciavano a Cipro, fu istituito nel 1710 il consolato veneto846. Per ordine dei 840 Scarabello, “Il Settecento”, in La Repubblica di Venezia…, op. cit., p. 603.

841 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, II serie busta 27, I fascicolo, 28 aprile 1699.

842 Ivi, senza data (quasi certamente del 1711) e V fascicolo, 22 marzo 1723. Il trasferimento al console in

Cipro della Tansa era già in atto durante il consolato di Giovanni Antonio Santorini e Marco Gherardi, i cui incarichi durarono complessivamente dal 1669 al 1685 (dalla pace dopo la guerra di Candia, fino alla guerra in Morea. (Ekkehard Eickohff, Venezia, Vienna e i Turchi, Rusconi Editore, Milano, 1991, p. 272 e p. 449). Questi consoli si facevano consegnare i due terzi del dazio in questione per le spese di mantenimento di consolato. ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, II serie busta 27, I fascicolo, 28 aprile 1699.

843 Ivi, VI fascicolo, 17 maggio 1725, 21 giugno 1725, 28 settembre 1725, 19 dicembre 1725, 7 marzo 1733. 844 Questa data è una congettura verosimile, poiché non si è trovato un documento a riguardo. Ivi, 1

settembre 1728 e 6 giugno 1733.

845 Ivi, I fascicolo, 22 dicembre 1704. 846 Ivi, II fascicolo, 11 settembre 1711.

Savi, l’11 marzo 1710 fu pubblicato un bando di concorso per la carica di console. Dopo 11 giorni comparve presso l’ufficio dei Cinque Savi Paulo Scrivanich quondam Andrea. Fu anche l’unico a presentarsi, ma, per il suo passato di mercante a Cipro, fu ritenuto persona adatta all’incarico847.

Quasi a completamento di un cerchio, si è conservata la stessa tipologia di documentazione relativa all’elezione dell’ultimo console, Giacomo Caprara sullo sfondo degli ultimi mesi della Serenissima Repubblica (novembre 1796) e il suo arrivo a Larnaca nel settembre del 1797, quando quella struttura politica che gli aveva conferito l’incarico oramai non esisteva più. I Savi alla Mercanzia, proprio come nel 1710, indissero un concorso e ricevettero le “suppliche” “per il vacante consolato veneto in Cipro” da parte di sei candidati e le sottoposero ai Capi di Piazza, che scelsero il giovane Caprara848.

L’attività consolare di Paulo Scrivanich fu piuttosto limitata, come esposero quei mercanti che lo avevano richiesto: il commercio di Cipro si era ridotto in conseguenza della ripresa economica di Aleppo e della mutata qualità del cotone cipriota. Negli ultimi anni le rese erano scarse sia in quantità che in qualità, tanto da fare orientare i mercanti verso altre scale, come Smirne, Durazzo e Salonicco, da dove non proveniva un cotone di qualità elevata, ma abbondante e molto richiesto. Inoltre, la cenere, ossia la soda per produrre i saponi, si era oramai diffusa in tutto il Mediterraneo e non era più un’esclusiva di Cipro o di Aleppo. I mercanti veneti conclusero che Scrivanich era oramai “console di sé medesimo”849.

Quanto accaduto a Scrivanich ben dimostra la flessibilità di un consolato veneto nel Levante. Infatti, nel momento in cui si ebbe nuovamente la possibilità di ricavare dazi derivanti dal transito nella scala di Larnaca, il consolato fu instaurato nel 1720, quando i Savi approvarono, il 9 marzo, la scelta del bailo Carlo Ruzini: Liberal Calogerà, “nativo

847 Ivi, I fascicolo, 18 marzo 1710 e 22 marzo 1710.

848 Ivi, I serie, busta 653, 19 novembre 1796 e 23 settembre 1797.

di Corfù di civil condizione e di famiglia”850. A dire il vero, il bailo già aveva comunicato a Venezia l’intenzione di riaprire il consolato e di scegliere per tale scopo Calogerà, poiché “ha reso ne’ tempi addietro lungo servizio in varietà di Uffizii nella Serenissima Dominate”851.

Prima di iniziare la sua attività Calogerà, giunto sull’isola il 14 novembre 1720852, fu incaricato dal bailo Ruzzini di recuperare tutto il materiale relativo al Consolato, che si diceva essere nella Cancelleria del Console di Francia853. In realtà, fu trovato un solo registro consolare (relativo al periodo compreso tra il settembre 1675 e il 23 aprile 1680) presso l’archivio dei Padri Francescani di Santa Maria di Larnaca854, poiché i documenti depositati nell’archivio francese furono distrutti da un incendio855.

Nel frattempo giunse da Istanbul il “Beratto” (berāt), ossia il documento ufficiale con cui la Porta riconosceva Liberal Calogerà come console veneto a Cipro856.

Attraverso i berāt inviati dalla Porta venivano riconosciuti i diritti e i doveri dei consoli, erano determinati i rapporti con le autorità dell’isola e si stabilivano normative da seguire in casi particolari, come decessi, assalti corsari, naufragi, dispute. In particolare, erano protette da ingerenze e violazioni l’attività del console, la scelta del giannizzero e del dragomanno, la sua casa e la sua persona.

I rapporti tra le autorità ottomane e il consolato veneziano, in generale, sembrano confermare l’applicazione dei berāt concessi ai consoli, anche se registriamo qualche incomprensione o ingerenza nel normale traffico veneziano. Ne è esempio il caso occorso al capitano Tommaso Nicheglia. Nel 1788, durante la guerra tra l’Impero ottomano, la Russia e l’Impero asburgico (1787-1792), il sultano chiese nuove reclute dalle province. Come spiegano Paul e Anne Pouradier Duteil, le richieste fatte dal

850 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, II serie, busta 26, fascicolo V, 9 marzo 1720. 851 Ivi, 1 gennaio 1719 m.v..

852 Ivi, I serie, busta 647, 6 marzo 1721.

853 Ivi, II serie, busta 26, fascicolo V, 28 luglio 1720.

854 Ivi, I serie, busta 647, 6 marzo 1721. Legato a questo convento, ci fu una contesa giurisdizionale tra

Veneziani e Francesi già nel tempo in cui era console Santorini. Dalla documentazione si ricava che il convento fu fondato nel 1644 e aveva un monastero dipendente a Nicosia, presso la chiesa di S. Croce. Quest’ultimo fu al centro di una contesa di influenza tra il consolato veneziano, che aveva istituito questa “casa dei Padri di Terra Santa”, e quello francese, che bramava rafforzare la sua posizione in esso. ASV, II serie, busta 27, fascicolo I, 7 agosto 1710 e I serie, busta 648, 6 novembre 1768 e 10 novembre 1768.

855 Ivi, busta 648, 10 novembre 1768.

sultano all’isola di Cipro durante questa guerra furono diverse e riguardarono tanto il reclutamento di uomini quanto la fornitura di pan biscotto. Ma gli ordini governativi furono difficilmente e solo parzialmente soddisfatti; si trovarono solo cento reclute e costoro erano in grande maggioranza condannati a morte o briganti, incentivati a prendere le armi per un salario discreto. Per quanto riguardava, invece, il pan biscotto, sull’isola non era materialmente possibile produrlo, poiché non vi era grano a sufficienza e la Porta rifiutò l’invio di una equivalente somma in argento. Gli uomini arruolati dovevano essere portati a Istanbul, ma, data la presenza di corsari con bandiera russa nelle acque circondanti Cipro, né i capitani veneziani né quelli francesi intendevano trasportare la truppa cipriota. Nello stesso modo, il capitano Nicheglia “dal zabit locale, dalli cappi delle truppe e da diversi Leventi è stato sollecitato a concedere a nolo il suo bastimento”857. Il capitano rifiutò e i suoi interlocutori ottomani lo portarono in consolato, per cercare di risolvere la questione. Ovviamente, il console Vassalo cercò di difendere Nicheglia, cercando di spiegare alle autorità ottomane che la bandiera veneta non era certo una garanzia nei confronti dei corsari russi. Ma non riuscì in questa azione diplomatica e l’unico strumento legale di tutela che poté ottenere fu la dichiarazione del governatore a non ritenere responsabili il consolato e la marina veneziana in caso di un assalto corsaro russo e della cattura o uccisione delle reclute858. Un altro caso si verificò nel 1792, quando il capitano Evangeli Ladicò stava rientrando da Limassol a Larnaca. La sua imbarcazione fu oggetto di una cannonata sparata dalla nave del capitano ottomano Ahmet Alessandrino. Credendolo un segno di saluto, Ladicò replicò come d’uso con tre tiri di cannone e si avvicinò per salutarlo di persona, ma il Turco, fatto salire a bordo il Veneto, lo fece trascinare a prua e bastonare fin tanto che Ladicò non svenne. Poi il capitano veneto fu portato a terra, dove gli fu praticato un salasso. Non appena il console Vassalo fu avvertito, chiese immediatamente spiegazioni alle autorità locali, dalle quali, però, non ebbe risposta. A quel punto, avvisò il bailo,

857 Ivi, I serie, busta 652, 29 febbraio 1788.

858 Ibidem. Paul e Anne Pouradier Duteil, Chypre au temps de la Révolution française, Ministero

poiché in quell’ultimo periodo “i capitani turchi (…) per verità si sono resi molesti alla navigazione franca, apportando gran pregiudizio al commercio”859.

Secondo il berāt, nel caso il console fosse ricorso a un tribunale turco, doveva essere giudicato con equità; era libero di viaggiare verso la capitale dell’impero. Era esentato, come tutti i Veneziani, dal pagare il “carazzo”, ossia l’haraç, la tassa di capitolazione pagata dai sudditi ottomani non musulmani860. Certamente, i casi in cui il console dovette adoperarsi per impedire che il governo turco pretendesse il pagamento di questa tassa anche da parte di alcuni sudditi veneti sposati a donne cipriote furono una costante dei rapporti locali turco-veneti, come abbiamo già visto, specie durante il consolato di Bernardo Caprara, il quale spese parecchio tempo nel tentativo di regolarizzare questa situazione. Per non controvertere quanto riportato dal berāt, il console Brigadi informò i Savi che riuscì a trasformare il tributo in una “grattifficazione”, facendo sì che non si creasse un eventuale precedente861.

Il console era l’unico a cui spettava occuparsi di liti fra Veneziani e di eredità di Veneti morti nella sua giurisdizione. Sul tema delle eredità, è interessante il caso della contesa eredità della signora Caterina Callergù, moglie del mistro (ossia un maestro, un padrone di bottega862) Francesco Zorzi, il quale, al momento del decesso della consorte, si trovava a Venezia da due anni per motivi di salute e del quale non si era più saputo nulla. Il testamento, fatto scrivere dalla donna al cancelliere del consolato, fu impugnato dal “curato della nazione greca cattolica” di Larnaca, il frate spagnolo Giovanni de Gall, il quale sosteneva che avrebbe dovuto scrivere lui l’atto. Il console Brigadi riuscì a tutelare gli interessi dei beneficiari del testamento e soprattutto riuscì a difendere l’autorità e il nome del consolato stesso, anche se, dalle considerazioni finali, sembra

859 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 653, 28 agosto 1792.

860 Teoricamente, l’haraç era una tassa fondiaria, ma nell’Impero ottomano il significato fu invertito con

quello di cizye, la tassa di capitolazione. Gibb e Bowen, Islamic Society..., op. cit., vol. I parte II, p. 16.

861 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 648, 30 dicembre 1762 e busta 649, 12 maggio 1775. 862 Cfr. “Mistro”, in GDUTET, vol. X. p. 584.

che il tentativo di interferenza da parte di prelati locali sui consolati europei a Cipro non era così inusuale863.

Parimenti, il console doveva occuparsi della gestione di eventuali debiti lasciati da defunti, come Nicolò Voltolina di Venezia, morto nel 1762. Il console Girolamo Brigadi e il vice-console Domenico Serioli difficilmente riuscirono a soddisfare le richieste di Anna Maria Voltolina, sorella di Nicolò, poiché fu subito evidente che l’ammontare dei debiti era considerevole e che l’eredità sarebbe stata a mala pena sufficiente a saldarli, rimanendo ben poco alla sorella. I debiti erano stati contratti con altri mercanti presenti sull’isola, come Andrea Pelli, che già nel 1762 vide soddisfatto il suo credito. Anche Serioli, approfittando della sua posizione, si assegnò il saldo del proprio credito, consapevole dell’ammontare dei debiti e dell’eredità864.

Secondo le disposizioni riportate nel berāt, il console non doveva fare alcun “donativo” al doganiere (il quale, a sua volta, non doveva chiederlo). Non doveva permettere l’esportazione di merci vietate, come cavalli, armi, piombo, per il resto era soggetto a quanto prescritto nelle capitolazioni). Queste limitazioni erano legate alla natura stessa della merce, che poteva avere un valore militare, oppure essere una risorsa alimentare fondamentale, oppure essere l’oggetto di un appalto statale, come il tabacco865. Nonostante questi accordi internazionali riportati tanto nei berāt quanto nelle Capitolazioni, chiaramente possiamo leggere nel Libro Bollato del 1773-1774 che una nave noleggiata dalla ditta dei fratelli Rizzini tentò di contrabbandare del grano proveniente dalla zona di Baffo (Paphos), mescolandolo all’orzo, poiché l’alaybeyi866, il comandante dei sipahi della città di Paphos, ne aveva improvvisamente vietato l’esportazione, in seguito all’ascesa al trono del sultano Abdül Hamid, sovrano che egli temeva. Questo episodio è interpretabile con un tentativo da parte dell’alaybeyi di mascherare, forse davanti a qualche inviato del governo, una frode allo stato perpetuata per anni, poiché, teoricamente, il grano era sottoposto a restrizioni commerciali, spesso

863 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 647, 6 novembre 1748.

864 Voci e accuse di colleghi parlavano di una cattiva gestione del consolato da parte di Serioli e questo

potrebbe esserne un esempio. Ivi, busta 648, 22 maggio 1762, 4 ottobre 1762, 16 marzo 1763, 13 luglio 1763.

865 Per il tabacco, ivi, busta 649, 24 settembre 1771. 866 Capo delle truppe. Cfr. "ىلا" e ”كب”, in Redhouse.

disattese. Evidentemente la pratica era così consolidata che l’azione dell’alaybeyi fu considerata dal console Caprara un atto arbitrario.

Secondo il berāt, in caso di assalto da parte di corsari o di navi da guerra ottomane o in caso di naufragio, beni e persone catturati andavano consegnati al console, che pure si occupava dell'accoglienza di sudditi veneti liberati dalla schiavitù (se fossero rimasti cristiani, in caso di conversione erano liberi automaticamente).

Il 27 maggio 1748 il capitano e padrone di nave Nicolò Liccudi di Zante fu assaltato dal corsaro Giovanni Francesco Natali, detto Cicco, che aveva issato la bandiera del re di Sardegna. A bordo della nave assaltata vi erano pure quattordici turchi e otto ebrei, tutti sudditi ottomani e in maggioranza ciprioti, che furono fatti prigionieri. I Turchi chiesero subito al governatore, Bikis pascià, che i prigionieri venissero liberati mediante un riscatto. Il pascià, in partenza per Chio, si rivolse subito a Brigadi, dicendogli che non aveva alcuna intenzione di pagare per un evidente errore veneziano e che vi sarebbero state ripercussioni e saccheggi sulle case venete se non avesse fatto quanto in suo potere per risolvere la faccenda. Il console, così, fu costretto a convocare un’assemblea nazionale, nella quale si decise che i capitani Paolo Brailli e Domenico Rotta sarebbero andati, insieme con il dragomanno e il cancelliere, dal corsaro Cicco per chiedere la liberazione dei prigionieri. Il corsaro si disse disposto a farlo in cambio di quindicimila piastre. La cifra era enorme e si convinse il capitano a scendere a quattromila, delle quali cinquecento per la nave e le restanti piastre per la liberazione dei prigionieri. L’accordo fu concluso e tutti i veneziani, a parte il mercante Pietro Vassalo, contribuirono867. Da una lettera successiva sappiamo che i Savi, in seguito alla faccenda, ordinarono la vendita della nave del capitano Liccudi per coprire parte delle spese fatte, ma a settembre ancora non si era trovato un acquirente e probabilmente la ricerca non era così facile, dato che la nave fu portata a Famagosta per svernare senza danni868. Per quanto riguarda il naufragio, la procedura di soccorso fu dettagliatamente prescritta dai Savi alla Mercanzia. Il recupero doveva essere il più economico possibile e doveva

867 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 647, 27 luglio 1748. 868 Ivi, 30 settembre 1748 e 6 novembre 1748.

occuparsi prima di tutto dei marinai ed essere conforme al capitolo 225 del Consolato da Mar, decreto del 28 giugno 1586. Se il naufragio (o l’assalto di un nemico) avveniva in terra musulmana, il capitano non era tenuto a versare alcuna somma ai marinai, a meno che non raggiungesse un porto in cui "l’armator ha tutto il suo nolo"869. In quel caso il capitano doveva provvedere a far rimpatriare i suoi marinai870. Nella scala di Larnaca vi era anche l’uso di fare un’assemblea della nazione veneta per coordinare il recupero e annotare tutte le spese sostenute. Infine, la merce recuperata doveva essere venduta all’asta per coprire le spese di recupero affrontate, come avvenuto in seguito al naufragio della nave “Madonna di Monte Nero” del capitano Zuanne Marinovich, di cui abbiamo una ricca documentazione871.

In caso di naufragio, poi, non era coinvolto solo il consolato di competenza; infatti, per riportare a Venezia i sopravvissuti, i naufraghi erano spediti verso scale in cui avrebbero potuto facilmente trovare una nave diretta in laguna. Cipro si confermava un’ottima scala per l’Europa, come dimostra il naufragio del capitano Ballarin in Siria: i suoi marinai furono spediti a Larnaca per essere rimpatriati872.

Tornando alla cronistoria delle vicende consolari, al successivo cambio di condizioni economiche il consolato fu nuovamente sospeso (18 gennaio 1724)873. La situazione per il commercio veneziano non migliorò se non molto tempo dopo, quando, il 28 agosto 1745, il bailo incaricò Girolamo Brigadi del consolato, poiché il commercio nell’isola era rifiorito, anche se vi era presente una sola casa mercantile veneziana874.

Effettivamente, la situazione commerciale si risollevò progressivamente, fino ai primissimi anni Cinquanta, quando l’economia del cotone cambiò e la concorrenza francese e del porto di Trieste si fece più pesante875. Nel frattempo ad Aleppo serviva un

869 Ivi, busta 649, 24 settembre 1771. 870 Ibidem.

871 Ivi, busta 654, 1 novembre 1788 e 4 novembre 1788. 872 Ivi, busta 649, 11 luglio 1770.

873 Ivi, II serie, busta 27, VI fascicolo, 20 settembre 1724 e 18 gennaio 1724 m.v.. 874 Ivi, I serie, busta 647, 28 agosto 1745 e 17 ottobre 1745.

console, superfluo, oramai, a Cipro. Per suggerimento dello stesso Brigadi, il consolato fu trasferito nella città siriana, instaurando un vice-consolato nell’isola876.

Fu eletto come vice-console il mercante veneziano Zuanne Bizzaro, uomo scelto da Brigadi per la sua abilità ed esperienza; così il 27 maggio 1754 il primo poté entrare in carica e il secondo partire per Aleppo877.

Dopo l'usuale quinquennio di durata del mandato vice-consolare, Bizzaro fu sostituito da Domenico Serioli dal 9 aprile 1759878, nonostante il primo vice-console ne avesse denunciato gli “imbarazzi” provocati al consolato. Infatti, accusava Bizzaro, Domenico Serioli, in società con Pelli, vendeva a fido anche a Ciprioti insolventi e poi, per ottenere