• Non ci sono risultati.

1 – Fiscalità ottomana e raccolta delle entrate

Impero ottomano e Venezia

II. 1 – Fiscalità ottomana e raccolta delle entrate

L'Impero ottomano, fin dalle sue origini regolò l'aspetto economico e daziario attraverso strumenti di "concessione fiscale"337. L'insieme delle concessioni veniva diviso in "unità fiscali" dette mukataa338, assegnate a un incaricato in varie forme339. In un primo tempo, secondo la giurisprudenza classica, il titolare del timar340 riceveva dallo stato il diritto di riscuotere le tasse - sia in denaro sia in natura - relative a un villaggio, a una sua parte o a un gruppo di villaggi, senza alcun titolo sulle terre341 (il sultano era l'unico proprietario del suolo e del sottosuolo342) o sui contadini343 (non esisteva la servitù della gleba e in teoria i contadini erano abbastanza liberi di spostarsi dal loro luogo d'origine344). In cambio, il timariota (l'assegnatario del timar) prestava un servizio allo stato in genere di natura militare (ossia manteneva i sipahi, impropriamente definibili come la cavalleria locale), ma anche civile o religiosa, fino al termine prestabilito, quando il detentore dell’unità di riscossione fiscale perdeva ogni diritto345. Questo sistema evitava il 337 Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia…, op. cit., p. 220.

338 L'utilizzo di questo termine era molto vasto ed indicava un qualunque luogo di raccolta di tasse,

andando oltre ogni legame territoriale. Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., pp. 101-102. Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 391. Halil İnalcık, "International Trade: General Condition", in İnalcık, An Economic and Social History..., vol. I, op. cit., p. 195. Yücel Özkaya in un suo vecchio interessante lavoro dettagliatamente e con molti esempi mostra il sistema di raccolte fiscali. Yücel Özkaya, XVIII. yüzyılda Osmanlı Kurumları ve Osmanlı Toplum Yaşantısı, Kültür ve Türizm Bakanlığı Yayınları, Ankara, 1985, pp. 92-117.

339 Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 391.

340 "Terra le cui rendite sono appannaggio di un timariota, militare o amministratore civile. "Glossario", in

Mantran, Storia, op. cit., p. 816. Un timar poteva anche essere assegnato come pensione ad un sipahi. Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 222.

341 Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 220.

342 Nicoară Beldiceanu, "L'organizzazione dell'Impero ottomano (XIV-XV secolo)", in Mantran, Storia,

op. cit., p. 144.

343 Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 220.

344 Beldiceanu, "L'organizzazione dell'impero ...", in Mantran, Storia dell'Impero ottomano, op. cit., p. 145. 345 Veinstein, “L’impero al suo apogeo…”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 221. Raymond, “Le province

trasferimento di ingenti somme (tranne in caso di guerra) e garantiva una flessibilità a livello locale346.

Il sistema del timar subì importanti modifiche nel corso del tempo, anche in ragione di alcuni cambiamenti strutturali interni all'Impero. In particolare, l'esercito di cavalleria si trasformò in una milizia principalmente di fanteria347 e cambiarono anche le esigenze dell'erario: si dovevano costruire e mantenere le caserme, si doveva provvedere al sostentamento delle truppe, numericamente in aumento, si dovevano versare i salari348. Era dunque necessario cambiare il sistema di raccolta delle tasse, anche in conseguenza delle numerose guerre dagli scarsi risultati del XVII secolo. Da un lato si diffuse il sistema dell'iltizām (o tax-farming, cioè specifiche entrate fiscali venivano battute all'asta e affidate al maggior offerente, che doveva garantire allo stato una quota annua in contante, trattenendo per sé il surplus)349. Dall'altro lo stato cominciò a rifornirsi direttamente da alcuni produttori dei materiali necessari all'esercito e alla flotta a prezzi ridotti e persino sotto i costi di produzione350.

Il sistema dell'iltizām ebbe una larga diffusione, perché molto conveniente per l'erario, che si garantiva quote fisse annue in denaro contante e che poteva decidere di rinnovare o meno il contratto al mültezim (chi riceveva l'appalto dell'iltizām)351. L'iltizām aveva però un grave inconveniente: non garantendo sicurezza a lungo termine al mültezim, questo non operava per lo sviluppo del mukataa affidatogli, ma agiva per ottenere il massimo vantaggio economico nel minor tempo possibile352. Inoltre, a differenza del timar, mancava, secondo gli studi di Huri İslamoğlu e Çağlar Keyder, "la necessità di economic and Social History ..., vol. I, op. cit., p. 65.

346 Ibidem. Il timar non era l’unico sistema di riscossione: si poteva affidare a un funzionario statale (emin) la

raccolta delle unità fiscali in cambio di uno stipendio fisso. Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 391. İnalcık, "Sources of revenue", in İnalcık e Quataert, An economic and

Social History..., op. cit., vol. I, p. 65.

347 Şevket Pamuk, A Monetary Hitory of the Ottoman Empire, Cambirdge Univeristy Press, Cambirdge,

2004, p. 128 e 132. İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman

Empire and the World-Economy, op. cit., p. 59.

348 Ivi, p. 57.

349 Ivi, p. 58. Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 391. Genç, "18. yüzyıla ait

osmanlı malî verilerinin iktisadî faaliyetin göstergesi ...", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p. 156.

350 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., pp. 249-252.

351 Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 391. İslamoğlu e Keyder, "Agenda

for Ottoman History", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman Empire and the World-Economy, op. cit., p. 59.

perpetuare le relazioni ideologico-politiche tra il produttore diretto e lo stato", creando un maggiore divario tra il mültezim e la zona di produzione delle entrate fiscali dategli in appalto353.

Per ovviare a tale inconveniente lo stato ottomano passò dal 1695 al sistema detto malikane: si garantiva al mültezim il suo incarico (non un qualunque titolo di proprietà), fin quando garantiva le entrate statali354; ben presto questo termine si trasformò in una condizione a vita, kayd-ı hayat355. La differenza con i sistemi di raccolta fiscale precedenti non stava solo nella durata, ma anche nella formula dell'assegnazione: veniva scelto all'asta non tanto l'assegnatario (che a partire dalla fine del Seicento poteva essere sia un uomo dello stato, come un ministro o un alto ufficiale, sia un āyān356), quanto l'ammontare che si sarebbe pagato al tesoro (muaccele). Il prezzo minimo, fissato dallo stato, poteva lievitare da due a dieci volte quello di base357. La concorrenza fra i partecipanti all’asta faceva aumentare le entrate stesse dello stato358, mentre un sistema di banchieri, situati principalmente a Istanbul, garantiva prestiti agli aspiranti assegnatari359.

Questo sistema era regolato da una forte flessibilità, sostiene Halil İnalcık, poiché spesso il malikaneci (il detentore di un malikane), ottenuto il mukataa, suddivideva questo in quote che subappaltava a mültezim locali, che rispondevano direttamente a lui360. Queste figure locali avevano il vantaggio di conoscere molto bene le risorse della zona di cui si occupavano e sapevano garantire al malikaneci le entrate; in altri termini

353 İslamoğlu e Keyder, "Agenda for Ottoman History", in İslamoğlu-İnan, The Ottoman Empire and the

World-Economy, op. cit., p. 59.

354 Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 392.

355 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 102. McGowan, “The elites and their retinues”, in

İnalcik, An Economic and Social History…, op. cit., pp. 661-662.

356 Şahin, The Rise and Fall of an Ayân Family…, op. cit., p. 16.

357 Canay Şahin sostiene che il muaccele poteva lievitare da due a dieci volte il prezzo di base d'asta, oltre

ad altre tasse per installarsi effettivamente nel proprio incarico. Ibidem.

358 Jean Paul Thieck, "Décentralisation ottomane et affirmation urbain à Alep à la fin du XVIIIème

siècle", in Mouvements communautaire et espaces urbaines au Machreq, CERMOC, Beirut, 1985, 129.

359 McGowan, “The elites and their retinues”, in İnalcik, An Economic and Social History…, op. cit., p.

659. Genç, "18. yüzyıla ait osmanlı malî verilerinin iktisadî faaliyetin göstergesi ...", in Devlet ve

Ekonomi, op. cit., pp. 156-159. Raymond, “Le province arabe …”, in Mantran, Storia, op. cit., p. 392.

Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., pp. 228-229. Şahin, The Rise and

Fall of an Ayân Family…, op. cit., p. 19.

riuscivano a far produrre per quanto sarebbe diventato un'entrata fiscale361. In molti casi i mültezim erano gli āyān362, che, come già detto, avevano un ruolo molto importante per l'erario363, seppure non lavoravano direttamente per questo: erano la cinghia di trasmissione tra la produzione, la raccolta e l'indirizzamento delle entrate fiscali verso la capitale o dove ve ne fosse stato bisogno. Torna, quindi, il falso problema dell'effettivo grado di indipendenza degli āyān dallo stato.

Il sistema del malikane garantiva vantaggi a tutte le parti: il malikaneci aveva una garanzia lunga quanto la sua stessa vita che certe rendite non gli sarebbero state tolte. L'unico pericolo stava nella natura stessa del mukataa, che, per esempio, poteva mancare in un anno particolare per fattori estranei alla struttura fiscale. Il mültezim, cercando di aumentare i propri interessi in un'ottica molto più lunga di quanto non potesse fare in un sistema di iltizām, aumentava la capacità produttiva stessa della quota mukataa e ciò gli permetteva di avere un ruolo finanziario locale in quanto poteva fare credito, investimenti e, in generale, garantiva sicurezza economica. Lo stato, infine, si assicurava l'invio di entrate annue fisse; certo, in un'ottica di investimento a lungo termine, si alienava parte delle rendite stesse, ma all'inizio del XVIII secolo la situazione finanziaria era talmente compromessa in ragione delle guerre perse fino al 1699 che tale mancanza futura non poteva certo preoccupare l'erario364. Inoltre, alla morte del mültezim il muaccele generalmente veniva venduto a un prezzo molto superiore, se aveva fruttato bene al defunto detentore365.

Dopo la guerra contro la Russia del 1768-1774 si iniziò a perfezionare un nuovo sistema del malikane, o forse una nuova variante, l’esham366. In questo "le rendite annue nette di un'entrata erariale erano specificate in termini nominali. Questo importo era diviso in un grande numero di quote che erano vendute pubblicamente per la durata della vita dell'acquirente. Le rendite annue della fonte continuavano ad essere raccolte dal tax-

361 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p.231.

362 McGowan, "A perspective on the eighteenth century", in İnalcık, An Economic and Social History...,

vol. II, op. cit., p. 661.

363 Yücel Özkaya è esplicito a tal proposito: "XVII. yüzyılın sonunda ortaya çıkan ve XVIII. yüzyılda çok

yaygınlaşan devlet ile halk arasında bir vasita olan âyânlar". Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., 28.

364 Genç, "18. yüzyıla ait osmanlı malî verilerinin iktisadî faaliyetin göstergesi ...", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p. 158. 365 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., pp. 228-229.

farmer [mültezim]." L'esham in vendita fruttava mediamente sei o sette volte il pagamento netto annuo o muaccele367.

Un altra strategia che lo stato attuò per arginare i costi fu quella di comprare talune tipologie merceologiche sensibili a prezzi ribassati fino quasi a quelli di produzione, se non addirittura sotto il costo di produzione secondo il sistema detto mîrî mübayaa368. Come ha sostenuto Mehmet Genç, specialmente nei settori legati al rifornimento militare (sia terrestre sia marittimo) lo stato doveva cercare di ottenere il massimo a prezzi contenuti, vietando, se necessario, il commercio interno delle materie prime369. Per fare ciò i sultani e i loro ministri cercarono di attuare, soprattutto nel settore delle produzioni laniere, un programma di rilancio delle industrie locali370. Questo sistema, ricorda ancora Genç, rientrava all'interno di alcuni principi – cardine dell'economia ottomana, e in particolare del "provisionismo": "lo scopo delle attività economiche è garantire che all'interno dello stato la quantità dei beni e dei servizi sia abbondante, economica e di qualità per quanto possibile"371. Eppure, i due più importanti settori manifatturieri, quello laniero e quello cotoniero, non videro reali miglioramenti. È noto che le truppe ottomane vendevano agli strati della popolazione più povera i tessuti di lana loro assegnati per fare le uniformi e con il ricavato compravano tessuti d'importazione, perché migliori372.

Nel settore cotoniero le manifatture dovevano fare difficili conti tra le richieste statali e quelle dei privati. In particolare, la principale commessa statale erano le vele per le navi373, regolata da precise norme: la persona che si incaricava di produrre le tele per le vele (detto yönetici) doveva fabbricarle secondo precisi standard qualitativi fissati dallo

367 Ibidem.

368 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p. 248.

369 Ivi, pp. 248-249 e "18. yüzyılda osmanlı sanayisinde değişmeler ve devletin rolü'', in Devlet ve

Ekonomi, op. cit., p. 256.

370 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., p. 238. Mehmet Genç ricorda

che fin dal 1709 lo Stato ottomano cominciò a ritirarsi dall'iniziativa produttiva a favore di ipotetici imprenditori, che si sarebbero dovuti sostituire all'iniziativa pubblica stessa, caricandosi degli oneri e degli eventuali guadagni, ma purtroppo mancarono i finanziamenti privati. Ivi, p. 240.

371 Ivi, p. 227. 372 Ivi, p. 238. 373 Ivi, p. 248.

stato, che avrebbe pagato all'inizio dell'anno successivo (cosicché lo yönetici si trovava generalmente in una situazione finanziaria scoperta374) e il filo di cotone necessario doveva essere comprato a un prezzo fissato dai mercanti di Istanbul (che ovviamente facevano un prezzo a loro favorevole). La produzione, quindi, avrebbe avuto un costo fissato dallo stato375, che chiedeva un quantitativo annuo di 30.000 zıra in tempo di pace, mentre il surplus e le produzioni di qualità più scadente potevano essere liberamente vendute alle imbarcazioni mercantili376.

Per arginare le perdite e le crisi finanziarie costanti377, fin dalla metà del secolo i tessitori della capitale chiesero un regime di monopolio, che fu concesso nel 1753 anche ai produttori di Smirne. Nonostante queste misure, le manifatture cotoniere non vissero lo sperato rilancio economico, come mostrano i dati per il 1785, quando il rapido incremento della richiesta statale andò a penalizzare nuovamente i produttori. Le loro strategie per fronteggiare queste costanti difficoltà furono semplici: vendere ai privati, stabilendo un prezzo adatto a coprire quanto non pagato dallo stato, ritardare verso la fine dell'anno la consegna delle pezze destinate allo stato, per non far trascorrere troppo tempo dalla consegna al pagamento378, alterare il rapporto qualità – prezzo. Quest’alterazione trovava ragione in due fattori concomitanti: l’inflazione, che faceva aumentare il prezzo del filato, e la crescente domanda dei mercanti stranieri. Il risultato fu che la Marina stessa cominciò a ricorrere alle vele importate379. Secondo l’analisi condotta da Mehmet Genç, la radice comune delle difficoltà vissute dalle manifatture era la mancanza di personale esperto, qualificato, dotato del know-how necessario per contrastare un mercato in rapido cambiamento380.

Nel settore serico, invece, qualche successo ci fu e rappresentò uno svantaggio per i Veneziani; infatti, la vendita di rasi veneziani era calata a solo un quinto del passato,

374 Ivi, p. 252.

375 Il prezzo finale risentiva all'80% del costo del cotone, mentre solo il 20% del prezzo finale era

determinato dalla manifattura. Ivi, pp. 252-253.

376 Ivi, pp. 249-250. Con il termine zira (عار ) si intende una misura di lunghezza che va dal gomito alla ذ

punta del dito medio, pari a circa 75-90 centimetri. Cfr. "zirâ' ", in Ferit Devellioğlu, Osmanlıca- Türkçe

Ansiklopedik Lûgat, Doğuş Ltd. Şti Matbaası, Ankara, 1978, p. 1430.

377 Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Sanayisi", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., pp. 251-252. 378 Ibidem.

379 Ivi, pp. 252-253. 380 Ivi, p. 240 e p. 253.

"perché di questi si sono messi a fabricarne qui [ad Aleppo], e vero non tanto ben fabricati che li nostri Panni Parangoni, ma che possano quasi star à Copella delli nostri leggieri, e che li danno al prezzo delli parà 35 @ 40 li più buoni al minuto, che viene ad esser di cotesta moneta £ 5 ½ dico lire cinque e mezza, che li nostri leggieri con le spesi sin qui vengano à costare almeno @ parà 55 @ 60 il picco"381.

Anche le dogane venivano raccolte in un appalto382 e la documentazione veneziana permette di capire come i mercanti europei si rapportassero a questo sistema. Le principali tasse doganali sul commercio interno e esterno variavano molto nella loro natura in ragione di antiche consuetudini e della tipologia del commercio svolta. Anche la natura del mercante (un suddito ottomano musulmano, uno zimmi383 oppure un mercante straniero) influiva su carico fiscale384. Parallelamente, sempre per antiche tradizioni locali, cambiavano persino le unità di misura, oppure a uno stesso nome corrispondevano misurazioni diverse385, o lo Stato ottomano e il console veneziano richiedevano sulla stessa merce entrate prelevate in modo diverso. Questa differenza fu sottolineata dal console di Salonicco, Pietro Choch: le tasse alla dogana ottomana per le merci in entrata erano riscosse sul peso, mentre il consolato le prelevava sulla natura, creando difficoltà nella riscossione veneziana, poiché non sempre era possibile determinare il contenuto dei colli386, mentre il sistema ottomano garantiva la riscossione. 381 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 603, 2 marzo 1771. Il simbolo "@" è presente nel

testo originale. "Parà" è la grafia dei consoli per indicare la moneta ottomana para, sottomultiplo del

kuruş o piastra (40 para equivalevano a una piastra). Şevket Pamuk, “Money in the Ottoman Empire

(1326-1914)”, in İnalcik, An Economic and Social History…, op. cit., vol. II, p. 966.

382 Gibb e Bowen, Islamic Society..., op. cit., vol. I parte II, pp. 12-14. Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı

Toplumu, op. cit., p. 109.

383 "Protetto, suddito non musulmano dell'impero ottomano, ebreo o cristiano". "Glossario", in Mantran,

Storia, op. cit., p. 816.

384 Gibb e Bowen, Islamic Society..., op. cit., vol. I parte II, p. 12-14. Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı

Toplumu, op. cit., p. 145. Halil İnalcık, "International Trade: General Condition", in İnalcık, An Economic and Social History..., op. cit., p. 195. Özkaya cita le tasse d’importazione ottomane (resm-i kalem, resm-i kapan, resm-i geçit, öşr-i bahar, resm-i mizân, tercümaniye) ed esportazione (hakk-ı kabâle, adet-i dellâliye, resm-i kalem, resm-i kapan, resm-i geçit). Halil İnalcık, dividendo le categorie di

dazi, sostiene che le tasse doganali erano prelevate tendenzialmente ad valorem (Halil İnalcık, "International Trade: General Condition", in İnalcık, An Economic and Social History..., op. cit., 199), mentre le tasse di mercato erano prelevate per carico, peso, collo oppure per valore (ivi, op. cit., p. 204).

385 Özkaya, 18. yüzyılda Osmanlı Toplumu, op. cit., p. 76.

386 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 743, senza data. Questa lettera allo stato attuale non

Vi erano anche altre tasse di pertinenza consolare, come i diritti di ancoraggio: le navi veneziane piccole (come polacche e checce) pagavano 11 piastre, pari a 2 zecchini e ¾, mentre le navi di maggior tonnellaggio dovevano versare 15 piastre (equivalenti a 3 zecchini e ¾). La cifra raccolta veniva poi suddivisa tra il "castellano" (dizdar), se nel porto c'era tale figura addetta alla sicurezza, l'ağa di dogana e il dragomanno387. Insomma, erano misure per oliare i buoni rapporti tra le autorità ottomane e veneziane. Accanto alle tasse propriamente dette, vi era un insieme di prelievi impropri, che si riassumono nel termine avariz. Si trattava di una serie di "imposte straordinarie o di servizio introdotte dallo stato in situazioni di emergenza per supportare prevalentemente la marina"388. L'imposizione di prelievi straordinari fu ordinato pure tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento389 e, come è facile prevedere, la maggioranza di questi dazi si trasformò presto in una riscossione normalizzata e richiesta anche sul commercio internazionale. L'avarız finì per costituire una delle tre principali fonti di entrata390.

II.2 – Reti diplomatiche e commerciali veneziane in Levante: punti di