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3 – Londrine, carta, libri e monete: la costante presenza delle eccellenze veneziane.

Impero ottomano e Venezia

II. 3 – Londrine, carta, libri e monete: la costante presenza delle eccellenze veneziane.

Il Settecento rappresentò per il Mediterraneo la fase conclusiva di cambiamenti economici iniziati nel XVI e XVII secolo, durante i quali vi furono movimenti ad ampio raggio geografico e temporale. Il risultato fu un nuovo Mediterraneo, imprescindibile all'interno di un sistema complesso di mari ed oceani, rilevante per le merci in entrata e in uscita, secondo una domanda disomogenea, ma sempre presente456. Con tale trasformazione, il ruolo di Venezia mutò grandemente: da polo internazionale di primo piano divenne “uno dei maggiori crocevia del commercio mondiale, […] mercato metropolitano di un’area ricca e densamente popolata”457.

Il commercio veneziano subì, quindi, che investì anche il settore daziario, un elemento alquanto delicato della politica economica veneziana458. Nel Settecento veneziano il commercio lagunare si consolidò su scala regionale con un trend stabile459, all'interno di una generalizzata ripresa economica mondiale460.

456 Massimo Costantini, Porto navi e traffici a Venezia, Marsilio Editori, Venezia, 2004, pp. 13-16. 457 Lane, Storia di Venezia, op. cit., p. 485.

458 Dagli studi di Roberto Cessi, il peggior momento ci fu con la riforma del 1662, un grave “errore di

prospettiva”, poiché limitava le funzioni della scala veneziana a luogo di transito e di scalo. Infatti, si prevedeva il mantenimento del dazio d’ingresso, l’abolizione di quello d’uscita per le merci dirette all’estero, un aggravio fiscale su quelle straniere in entrata destinate al consumo interno, l’unificazione dei servizi amministrativi, il rimborso dei 4/5 del dazio d’ingresso per le merci importate, ma che non erano state consumate e in ragione di ciò si decideva di riesportarle. Roberto Cessi, Storia della

Repubblica di Venezia, Giunti Martello, Firenze, 1981, p. 662.

459 Costantini, Porto navi…, op. cit., pp. 78-79.

460 Immanuel Wallerstein, Il sistema mondiale dell'economia moderna. Il mercantilismo e il

All'interno di questo trend, poi, proprio per il nuovo ruolo rivestito dal Mediterraneo, alcune merci divennero elementi immancabili del commercio internazionale e dei manifesti di carico, specchio – più o meno fedele – del commercio in Levante. Subito, la mente corre alle "londrine seconde", l'arma commerciale della seconda metà del secolo. Eppure, altre merci risultano essere presenti in modo altrettanto generale nei porti del Levante, sebbene il loro valore, la loro quantità o il peso fisico nelle stive le spingevano spesso in un secondo piano che non detenevano: carta, libri e monete.

La storia nel Mediterraneo orientale dei panni di lana chiamati londrine va inserita in una lunga tradizione commerciale dei pannilana europei. Questi resistettero al passare del tempo per le loro apprezzate caratteristiche, tanto che la loro produzione era già molto antica nel Settecento e altrettanto antica era la sua vendita sui mercanti del Levante, dove, fin dalla fine del Medioevo, costituiva un genere ben specifico: la lana europea e i pannilana, detti dju², si contrapponevano alle lane arabe, locali, suf. Questi pannilana erano originari delle Fiandre, dell'Italia e in generale dell'Europa meridionale e venivano portati in Oriente dai mercanti italiani, Veneziani in testa461. Il punto di forza di questi tessili stava nella loro qualità, che era la più elevata possibile in quell'era462. Inizialmente, come ci ricorda molto dettagliatamente Ralph Davis, che ha studiato proprio il passaggio dalla seta al cotone tra Sei e Settecento sulle piazze inglesi e di Aleppo, i pannilana (in inglese braodcloth) indicavano non un particolare tipo di stoffa fitta e pesante, ma un tessuto (cloth) alto (broad); già nel Quattrocento, però, questo nome andava a indicare un particolare tipo di stoffa di buona lana molto fitta, pesante, ma finemente lavorata e di alta qualità. Se nel Seicento i pannilana inglesi persero i mercati europei, dove erano sostituiti da panni più leggeri come le saie, le perpetuane, i pannilana spigati e imbottiti (serges e stuff), in Levante vissero un vero boom commerciale. Infatti, la loro richiesta era così elevata da stimolare ulteriormente le

461 Eliyahu Ashtor, "Le lainage dans l'Orient Médiéval", in Studies on the Levantine Trade in the Middle

Ages, Variorum Reprint, Londra, 1978, pp. 670-673. I panni dju² (خوج) hanno dato origine alla parola ottomana çuka / çuha, (اقوچ), che semplicemente e in modo estremamente generico vuol dire pannilana. Cfr. Cfr. اقوچ””, in Redhouse.

produzioni che se ne facevano in Inghilterra463. La loro popolarità era indiscutibile, soprattutto nelle province siriane, dove ne venivano comprati grandi quantitativi, soprattutto di colori scuri e sobri, lasciando quelli chiari e brillanti all'esportazione verso la Persia464. L'acquisto di queste stoffe serviva per fare l'abbigliamento quotidiano da uomo e donna e sostituirono i panni lisci, non lavorati, prodotti localmente (khām)465. A metà del XVII secolo i Francesi si inserirono in questo mercato, portando pannilana più economici e leggeri, preferiti ad Aleppo perché di tonalità più brillanti466 e perché di qualità apprezzata e prezzo basso467, prelevando, diversamente dagli Inglesi, i prodotti locali o di importazione carovaniera presenti sui mercati siriani468. Parallelamente, la presenza inglese in queste acque cominciò a ridursi, anche per un nuovo regolamento della Levant Company, che, dal 1718 e per circa mezzo secolo, vietò lo scambio di panni per moneta469.

Nonostante la crescente concorrenza francese di inizio secolo, Aleppo rimaneva la roccaforte di vendita dei pannilana inglesi, grazie a manifatture sempre più economiche e di qualità medio-bassa, fra cui la tipologia "londra"470. Se in Europa il broadcloth, ricorda ancora Davis, aveva nuovamente perso la sua specificità nominativa, indicando generalmente una nutrita gamma di panni, in Levante rimase in uso una vecchia nomenclatura: pannilana lunghi, corti o spagnoli, la cui altezza era abbastanza

463 Masters, "Aleppo: the Ottoman Empire's …", op. cit., pp. 33-34. A metà Seicento la metà di tutti i

pannilana era prodotta a Londra. Masters, "Aleppo: the Ottoman Empire's …", op. cit., p. 34. Ralph Davis, Aleppo and the Devonshire Square: English Traders in the Levant in the Eighteenth Century, Mamillan, Londra, 1967, p. 96. Pure Walter Panciera mostra questo problema terminologico per le produzioni laniere veneziane. Panciera, L'arte matrice, op. cit., pp. 46-47.

464 Masters, The Origins of Western Economic …, op. cit., pp. 25-26. Panciera, L'arte matrice, op. cit., pp. 104-105. 465 Masters, The Origins of Western Economic …, op. cit., p. 26.

466 "Per quanto riguarda la saietteria, i grandi centri di esportazione fiamminghi e olandesi, da Grand a

Bruges, da Lilla a Leida, entrarono in crisi proprio sul tornante del secolo [XVII]. Panni di nuovo tipo, cardati leggeri e più solidi, ma di aspetto altrettanto invitante, tendono a sostituire saglie, scotti, buratti e simili nel sud dell'Europa. Si tratta di quelli che nella Repubblica vengono genericamente indicati come "panni ad uso d'Inghilterra e d'Olanda" e che vanno identificati con i medley dello Wiltshire e i panni del principato di Liegi (Verviers). Sono questi tessuti che si impongono anche all'interno della Repubblica di Venezia". Panciera, L'arte matrice, op. cit., p. 79.

467 Davis, Aleppo and Devonshire..., op. cit., p. 30. Questi sforzi non erano altro che il risultato di una

guerra concepita già da Colbert: "la politica commerciale fu […] una specie di guerra condotta con altri mezzi". Reinhard, Storia dell'espansione europea, op. cit., p. 224.

468 Masters, "Aleppo: the Ottoman Empire's …", op. cit., pp. 48-49. Masters, The Origins of Western

Economic …, op. cit., p. 30.

469 McGowan, "Trade", in İnalcık, An Economic History..., vol. II, op. cit., p. 733. 470 Davis, Aleppo and Devonshire..., op. cit., pp. 97-98.

standardizzata (50-63 pollici, pari a 127-160,02 cm) e la cui lunghezza era di circa 50 iarde (45,72 m)471.

Date le dimensioni standardizzate, tutto il gioco commerciale stava nella qualità del tessuto stesso (risultato della qualità della lana, del suo spessore, della sua tessitura e della finitura) e nella sua tintura, che pesava significativamente sul prezzo del prodotto finito472. Sulla piazza di Aleppo le tipologie vendute erano fondamentalmente tre: la "londra", detta anche "rosso", perché tinta in questo colore molto ricercato473, era la più economica e la più venduta (circa 1 ¼ di tallero al pico, "pike", con un pico pari a 27 pollici o 68,58 cm); le "mezzo-londrine", chiamate anche "fangot" o "French colours"474, erano di qualità media e anche queste si vendevano molto (costavano circa 2 ¼ – 2 ½ tallero a pico); gli "astracan" o i "mezzo-grigi" (half-drab), di qualità superiore e forse per questo di poche vendite, il cui costo era di 3 talleri e mezzo – 4 talleri e più al pico. I colori delle stoffe erano un aspetto non trascurabile: l'influsso della moda era fortissimo e nel preparare le balle da spedire non lo si poteva sottovalutare, poiché ne determinava il successo di vendita. Infatti, i mercanti al dettaglio locali di solito avevano i loro piccolissimi negozi al çarşı - bazar, e, date le dimensioni ridotte delle loro botteghe, non potevano tenere una grande abbondanza e varietà di panni, quindi acquistavano dai mercanti stranieri poche stoffe, ma nella giusta varietà di colori475. Altrettanto, non si potevano dimenticare le balle dirette in Persia via carovana: gli acquirenti iraniani prediligevano i colori vivaci della moda francese, motivo per cui le balle destinate a quel mercato contenevano fino a 8-9 colori476.

471 Ivi, p. 99.

472 Ivi, p. 99 e pp. 112-113.

473 Ivi, p. 101. La domanda di "londra" rossa era stabile sui mercati ottomani, dove era ricercata per

produrre fez; tra l'altro, questa veniva tinta con la robbia e non con la costosa cocciniglia, il che provocava un ulteriore abbassamento del prezzo e una facilità di vendita impressionante. Ivi, p. 102.

474 Possiamo usare i tre termini come sinonimi nel Settecento, sebbene, come ci ricorda Ralph Davis, la

loro origine e il loro uso cambiò nel corso del tempo. Si pensi solo che "fangot" indicava in origine le balle di seta persiana, passato poi alla balle di panni di 3 pezze e mezzo e non di 5 pezze, come di consueto. Invece, le definizioni "londra" e "londrina" erano di origine italiana, poiché i mercanti della penisola chiamavano così tutti i panni (che, per quanto fossero cari, erano comunque più economici di quelli veneziani) che giungevano su navi londinesi. Ivi, pp. 100-104.

475 Ivi, p. 121. 476 Ivi, p. 122.

Fig. 5: La bottega di un mercante turco del XVIII secolo. Da Charles-Roux, Les échelles de Syrie et Palestine au XVIII siècle, op. cit., Pl. XIV.

Se gli Inglesi furono i primi artefici del commercio dei pannilana nel Seicento, con gli anni Trenta del Settecento dovettero cedere il passo ai produttori e ai mercanti francesi, che resero competitivi i propri prodotti di qualità media, utilizzando la lana di origine spagnola e colori sgargianti. In un pamphlet di quegli anni si legge che i Francesi, in realtà, crearono un prodotto nuovo, adatto al clima e al gusto degli acquirenti orientali, e l’uso di un nome inglese li inserì, immediatamente, in un mercato già esistente477.

In quegli stessi anni, poi, si stava verificando un altro fattore di portata mondiale: la moda era notevolmente cambiata e si orientava sempre più sui tessuti di lana, lino e cotone e bottoni metallici (prima erano in seta levantina). La ricerca della seta andava

calando sensibilmente e con essa pure il peso dei mercanti inglesi, mentre le manifatture seriche ottomane trattenevano parte della produzione grezza ad uso interno478.

Quanto ai Veneti,

"Li Panni Londrine Seconde ad uso di Francia, formano un oggetto interessantissimo per il grandioso smaltimento, che quì [ad Aleppo] hanno, e che servono al provedimento non solo di questa grande città, la cui Popolazione viene calcolata a circa Trecento milla abbittanti, che per tutta la Soria, Palestina, Mesopotamia, cioè Dierbechir e Mussol, così pure in Bagdat per la Persia"479.

I Veneziani, esattamente come i Francesi, cercarono di inserirsi in questo mercato, ma con scarsi risultati. Il problema dei pannilana veneziani era nella mancanza di concorrenzialità, sebbene i tentativi di copiare e rendere competitivi le londrine non fossero mancati, specie nell’entroterra veneziano e in particolare nel territorio di Schio480. Verso questa produzione si andò riorganizzando parte dell’artigianato veneziano fin dall’ultimo quarto del XVII secolo, come approfonditamente studiato da Walter Panciera: il mercato ottomano delle londrine, saldamente in mano ai mercanti marsigliesi, era un terreno difficile in cui le produzioni veneziane dovettero arrancare nel trovare una loro collocazione. Inoltre, il sistema dei privilegi e degli sgravi fiscali di cui proprio queste manifatture beneficiarono riuscì solo a non far fallire le poche fabbriche scledensi481. Il motivo stava tutto nella loro scarsa competitività: nonostante un numero rilevante di panni di lana veneti venisse esportato (i due terzi di quelli padovani erano diretti all’impero ottomano482) e la produzione si fosse orientata sulle economiche materie prime del Levante483, le misure di intervento statale non diedero i loro profitti a causa del rapporto qualità – prezzo.

478 Davis, Aleppo and Devonshire..., op. cit., pp. 138-139. Genç, "18. yüzyılda Osmanlı Ekonomisi ve

Savaş", in Devlet ve Ekonomi, op. cit., pp. 243-244. Le manifatture seriche ottomane producevano buone qualità e i maggiori concorrenti erano i Veneziani. Infatti, le industrie della seta della Serenissima non erano affatto in crollo, come a lungo si è sostenuto. "Dati e cifre indicano per buona parte del XVIII secolo un'industria vitale, ancora punto di forza dell'economia della città": era cambiato il mercato sia d'approvvigionamento sia di vendita, ma la produzione resisteva. Marcello della Valentina, Operai,

mercanti, mezzadri. Tessitori e industrie della seta a Venezia tra '600 e '700, CLUEP, Padova, 2003, p. 139.

479 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 604, 15 dicembre 1795. 480 Panciera, L’arte matrice, op. cit., p. 83 e p. 245.

481 Ivi, p. 245. "Il privilegio è sempre stato fatale all'iniziativa". Mantoux, La rivoluzione industriale, op.

cit., p. 109.

482 Panciera, L’arte matrice, op. cit., p. 210. 483 Ivi, p. 154.

A proposito delle fabbriche privilegiate484 esportatrici in Levante, si registrarono quelle di Giovanni Giorgio Stahl e Compagnia485, i fratelli Melchiorri486, Santo Modena e Compagnia di Verona487, Giuseppe Tironi488, Giuseppe Ruberti di Bassano489, di "Pietro S. Cattarina e Compagno nel comun di S. Orso Territorio vicentino"490, Luis e Sbardelà491, Giovanni Battista Bianchi492.

Le loro produzioni cominciarono ad essere annotate nei rapporti consolari negli anni Cinquanta. Nel 1752 la casa Vassalo ricevette due balle di londrine seconde; una fu venduta a 85 para il braccio, allo stesso prezzo delle londrine francesi, ma presentava alcuni difetti nel colore, non del tutto simile a quello francese, e nell'altezza, mancando di un dito. I Francesi, subito, cominciarono a muovere accuse alle produzioni venete per screditarle493. Nel 1753 le fabbriche di Giovanni Giorgio Stahl e Compagni, dei fratelli Melchiorri, di Santo Modena e Compagni di Verona e dei fratelli Gradagnini in Crelpano inviarono produzioni regolari a Smirne. Di queste spedizioni, però, conosciamo solo un prezzo: 2 Leoni e 4 aspri. Nel 1756 si registrò l'arrivo di due balle di londrine, portate dal capitano Olivo Nasalich ed esitate una a "Carachezoglu" da "Isdrum", l'altra a "Tajoglu" da Cesarea per la casa Crisogianni, Curmuti, Vitali e Zinghirlara. I mercanti ne chiesero l'esenzione, sebbene la merce fosse irregolare, e il console Cortazzi la concesse. Il prezzo di vendita delle balle fu di 2 piastre il picco, come le londrine regolari privilegiate. Nello stesso anno altre otto balle di londrine della fabbrica di Lorenzo Tironi furono inviate nuovamente alla citata casa di Crisogiani, Curmussi, Vitali e Zinghirlara; i mercanti pretesero, di nuovo, di non pagare nessun diritto consolare, nemmeno per le balle irregolari. Nell'anno 1760 addirittura le londrine

484 "Le manufactures privilégiées […] possedevano il diritto esclusivo di fabbricare e di vendere determinati

prodotti; godevano di un monopolio assoluto che soltanto la frode poteva limitare. […] Queste imprese si reggevano soltanto sulla protezione e sul privilegio". Mantoux, La rivoluzione industriale, op. cit., p. 61.

485 La grafia di questo nome varia diverse volte, Panciera utilizza Stahl, in Panciera, L'arte matrice, op.

cit., p. 171. ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 603, 7 febbraio 1760.

486 Ivi, busta 749, 23 giugno 1753, 20 dicembre 1753; busta 603, 22 aprile 1761. 487 Ivi, 20 dicembre 1753.

488 Ivi, 8 settembre 1756. 489 Ivi, 12 marzo 1760. 490 Ivi, 22 giugno 1775.

491 Ivi, busta 604, 9 maggio 1781.

492 Ivi, busta 604, 15 dicembre 1795. A queste andrebbero aggiunte quelle senza nome registrate a Cipro

nel 1747 e nel 1752. Ivi, busta 647, 6 agosto 1747 e 20 ottobre 1752.

seconde della fabbrica di Giuseppe Ruberti di Bassano, dirette a Istanbul, furono bloccate per la presenza di 43 pezze irregolari494.Nello stesso anno ad Aleppo si scrisse quanto fosse serrata la concorrenza francese, sì forte, ma non imperturbabile:

"Allora che in questa città comparvero li Panni di Venezia ad uso di Francia delle due frabbriche Sthale e Melchiorri, questa nazione francese, vedendo il pronto spazio se ne faceva ed il credito ch'andava aquistando si preoccupò e fù risolto d'abbassare il prezzo alli loro [panni], ma nel frattempo da Venenzia era giunta una partita scadente, cosa che calmò i Francesi"495.

In una lettera dell'anno seguente il console Girolamo Brigadi riportò alcuni dettagli particolarmente interessanti: erano arrivate 12 balle di londrine seconde ad uso di Francia della fabbrica Stahal e Compagnia alle case di commercio di Sola – Popolani e Salomon Alteras e figli. Dopo tre ore dalla loro messa in vendita, erano tutte state comprate a 2 piastre e 1/8 (5 para) l'una. Peccato solo che quelle francesi si vendevano a piastre 1 e 7/8 (35 para) il braccio496. Esattamente venti anni dopo, qualche partita fu venduta a 96-98 para (2 piastre e 16 – 2 piastre e 18 para) il picco497. La forza commerciale delle londrine francesi era tale che i mercanti potevano addirittura ribassare il prezzo: "questi ricevitori per far moneta" le vendettero a 70 para (1 piastra e 30 para) il picco, anziché 100-110 para (2 piastre e 20 – 2 piastre e 30 para), prezzo cui i mercanti veneziani non potevano adeguarsi498. Altre annotazioni sui prezzi delle londrine ci vengono dalla “Nota delle merci venute dalla Piazza di Venezia negli anni 1785-1786" ad Aleppo, da cui apprendiamo che il "panno ad uso estero", termine in cui possiamo vedere le londrine, costava 3 piastre e 20 il pico in entrambi gli anni e non pagava diritto consolare499. Una decina d'anni dopo, però, il prezzo del capo "londrine seconde all'uso di Francia" era salito a 4 piastre – 4 piastre e mezzo (20 para) il pico, mentre si registrava che le "londrine larghe d'Italia" costavano 3 piastre il picco; infine, la qualità superiore di londrine, dette "londrine fini", arrivava a 8- 9 piastre il pico500. 494 Ivi, busta 749, 23 giugno 1753, 20 dicembre 1753, 15 marzo 1756, 8 settembre 1756, 11 dicembre 1760. 495 Ivi, busta 603, 7 febbraio 1760.

496 Ivi, 22 aprile 1761.

497 Ivi, busta 604, 9 maggio 1781. 498 Ivi, 16 settembre 1781. 499 Ivi, 6 aprile 1787. 500 Ivi, 15 dicembre 1795.

Da questi dati intravvediamo il deterioramento delle londrine veneziane; infatti, si scorge una chiara transizione da una produzione di qualità accettabile a una manifattura sempre più scadente. Una viva boccata d'ossigeno per le esportazioni di londrine veneziane arrivò con la Rivoluzione francese: estromessi i maggiori mercanti, alcune fabbriche veneziane, come quella di Giovanni Battista Bianchi, che si era già fatto un nome prima del 1789, poterono approfittare della situazione, rifornendo il mercato delle mancate merci francesi. Peccato solo che proprio questo Bianchi, si dispiaceva il console Morana, fosse più interessato al profitto personale immediato che al rafforzare il nome proprio e delle produzioni veneziane. Infatti, la qualità andava diminuendo; già nel 1791 i suoi panni furono trovati difettosi (stando all'articolo secondo della Terminazione del 1751, ogni taglio doveva essere di 30 braccia, mentre 8 balle provenienti dalla fabbrica di Bianchi difettavano complessivamente di 95 braccia e mezzo)501, la tintura era sempre più scadente, tanto che in poco tempo i colori "comuni" cambiavano notevolmente, mentre non si producevano affatto "colori fini", e la "tessitura [era] così povera d'ordimento" che i tessuti si rovinavano rapidamente502. E mentre i produttori di Terraferma, accusava il console, non guardavano che ai loro guadagni, si inserivano sul mercato altri concorrenti, tra cui i Genovesi con la ditta di Domenico D'Albertis quondam Giovanni Antonio "con la direzione d'alcuni Fabbricatori Emigrati Francesi"503.

Le produzioni veneziane di londrine, come altre merci trovavano un buon mercato nelle piazze irachene e in particolare a Bassora, dove i mercanti persiani si dirigevano per acquistare contaria e altre produzioni lagunari504, preoccupandosi, forse, meno degli standard mancanti in quelle veneziane. Infatti, un altro problema delle londrine di fabbricazione veneta stava nella standardizzazione delle misure che i panni francesi riuscivano ad imporre. Numerose sono le segnalazioni dei consoli a proposito: andavano

501 Ogni balla in Levante conteneva 5 pezze. Se ogni pezza (ogni taglio) doveva essere di 30 braccia

(54,86 m), nelle tele di Bianchi mancavano 2,38 braccia (= 4,35 m) ogni taglio. ASV, Cinque Savi alla

Mercanzia, I serie, busta 604, 6 agosto 1791. Davis, Aleppo and Devonshire..., op. cit., p. 99 e p. 103.

502 ASV, Cinque Savi alla Mercanzia, I serie, busta 604, 15 dicembre 1795. 503 Ibidem.

allargate505, dovevano essere eliminate le irregolarità, le differenze con quelle francesi, poiché questo poteva provocare nelle scale levantine una protesta da parte degli mercanti locali a cui erano spedite, che si rifiutavano di pagare i dazi consolari,