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Il commercio dei prodotti agricoli tra protezionismo e liberalizzazione

Nel documento PRODOTTI AGRICOLI MERCATI GLOBALI (pagine 51-54)

GCC = (EX/IM) *100 Esempio di bilancio di approvvigionamento

B. i mercati a termine (future market), in cui le contrattazioni prescindono dall’effettiva consegna dei prodotti

2. Le politiche internazionali per i mercati agricoli

2.1 Il commercio dei prodotti agricoli tra protezionismo e liberalizzazione

Nell’attuale fase di sviluppo dell’economia si assiste ad una forte espansione delle relazioni economiche internazionali.

Sotto il profilo teorico sono rilevanti i rapporti tra Stato e mercato. Gli Stati hanno utilizzato il commercio internazionale come entrata erariale, come riserva di beni, come accumulo di riserve monetarie. Nel tempo, le politiche adottate dai Paesi hanno oscillato tra protezionismo e libero scambio. In presenza di condizioni di concorrenza, il libero scambio sembra la scelta migliore, in pre-senza di imperfezioni di mercato, quali oligopoli e monopoli, può essere conve-niente far ricorso a politiche protezionistiche. Oggi, un ruolo importante nello sviluppo dei commerci mondiali è detenuto dai soggetti sovranazionali che determinano la Global Political Economy, con l’introduzione di regole degli scambi che tengono conto della tendenza verso un mercato globale. L’ottima combinazione delle decisioni politiche attuate rappresenta la risultante delle interazioni tra i diversi soggetti che compongono il quadro internazionale, ciascuno portatore di specifici interessi.

Per comprendere l’attuale dibattito sul commercio internazionale dei prodotti agroalimentari appare importante capire:

a) Le cause che portano all’adozione di politiche protezionistiche.

b) I processi di cooperazione internazionale ed i riflessi sul commercio agroalimentare.

c) Gli elementi che comportano distorsioni sugli scambi e le modalità con cui superarle.

La ricerca del giusto livello di apertura al commercio internazionale oscilla tra il libero scambio e la politica protezionistica.

Le politiche di libero scambio sono basate sui principi dei costi comparati. Si sostiene che attraverso il libero commercio (Ricardo, Heckscher-Ohlin) è possibile giungere alla migliore valorizzazione delle risorse in termini di massimizzazione del benessere.

Quelle che giustificano un intervento protezionista fanno riferimento ai fattori produttivi inutilizzati, allo sviluppo dell’industria nascente, all’esigenza di migliorare le ragioni di scambio.

La piena utilizzazione dei fattori produttivi, prevista dalla teoria del commercio internazionale, non sempre trova riscontro, in questi casi una politica

protezio-nistica può accrescere l’impiego di fattori interni inutilizzati, quali la manodopera.

Inoltre, la protezione può favorire il radicamento di un’industria appena avviata all’interno di un Paese. In questo modo il Paese ha la possibilità di conseguire una specializzazione produttiva, altrimenti irraggiungibile per le difficoltà delle imprese neoformate, e di competere sul mercato al pari di quelle più affermate. Ad esempio, si sostiene l’opportunità dei Paesi poveri di mantenere un elevato livello di protezione per i prodotti manifatturieri, in quanto la liberalizzazione del commercio favorirebbe i Paesi che hanno una struttura produttiva consistente. L’applicazione di forme di protezionismo dà la possibilità ad un Paese di conseguire un miglioramento nella ragione di scambio mediante l’applicazione di dazi, al fine di indirizzare il Paese esportatore ad abbassare i prezzi del bene considerato.

Per il settore agricolo, il ricorso ad una politica protezionistica è stato invocato per la salvaguardia di interessi strategici, come la difesa degli agricoltori. Le argomentazioni fanno riferimento alla funzione sociale e di tutela ambientale delle attività agricole e alla difficoltà delle imprese di affrontare un mercato regolato dalle sole leggi della libera concorrenza. Inoltre, le imprese multina-zionali nei Paesi del terzo mondo possono insediarsi e sfruttare le risorse a vantaggio dei loro azionisti.

Sotto il profilo storico, la spostamento tra protezionismo e liberismo è risultato particolarmente ampio nel caso dei prodotti agricoli, almeno fino alla costituzione dell’organizzazione mondiale del commercio.

Ad esempio gli Stati Uniti hanno attribuito al commercio con l’estero una funzione vitale di sviluppo, per la necessità di trovare sbocco all’enorme produ-zione interna. Così, alla fine della seconda guerra mondiale, i dissesti causati favorirono il forte sviluppo delle esportazioni agricole statunitensi, agevolate dall'attuazione del piano Marshall, che comprendeva le derrate alimentari. Tuttavia, la diffusione delle innovazioni e la ripresa dell'agricoltura europea causarono accumuli di derrate agricole. A ciò concorreva una politica di soste-gno dei redditi degli agricoltori, attraverso alti prezzi interni, volta a contrastare l’esodo dall'attività agricola. Ciò costrinse a proporre nuove misure di politica agraria, come la Soil Bank, primo programma di ritiro dei seminativi dalla produzione, e la Public Law 480, sull'aiuto alimentare ai Paesi in via di sviluppo. Sul fronte degli scambi internazionali, si intraprese una politica di accordi commerciali sia di tipo bilaterale che multilaterale.

Negli anni Ottanta, l’offerta sul mercato mondiale dei prodotti agricoli aumentò anche per l’affacciarsi di nuovi Paesi esportatori (es. India), il peggioramento della capacità di importazione dei Paesi in via di sviluppo, il raggiungimento

dell'autosufficienza della CEE, l’apprezzamento del dollaro. Le eccedenze agricole degli Stati Uniti crebbero, la lobby dei produttori agricoli riteneva che altri Paesi, quali la CEE, fossero responsabili delle difficoltà di esportazione. Ciò incentivò l’attuazione di guerre commerciali, l’adozione di aggressivi programmi di promozione delle esportazioni, la diffusione del dumping, la trattativa dei negoziati GATT.

In Italia, l'idea liberista per il commercio dei prodotti agricoli si era affermata già nel Settecento, con il movimento mercantilista. Tuttavia, alla fine dell’Ottocento, vi fu un’inversione di tendenza, il protezionismo si affermò in quasi tutti i Paesi europei, con la finalità di tutelare le produzioni nazionali. La protezione fu accordata all'agricoltura al fine di sostenere, in particolare, il prezzo del grano. Così, la tariffa generale italiana del 1887 costituì, dopo quella francese, la più alta espressione del protezionismo in Europa (60% ad valorem). A fasi alterne, il protezionismo perdurò anche nel secolo scorso, così, nel secondo dopoguerra fu finalizzato alla ricostruzione industriale e a trattenere la forza lavoro nelle campagne attraverso un sostegno dei prezzi agricoli. Successivamente, con l’adesione alla CEE, venne adottato gradualmente il dazio comune.

In generale, il protezionismo è stato vigoroso durante le guerre mondiali, con l’affermazione del bilateralismo degli scambi, ossia la tendenza di un Paese ad intrattenere rapporti di libero scambio con un altro Paese. Dopo la seconda guerra mondiale si è affermato il principio del multilateralismo, fino alla costituzione del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT).

Negli anni Settanta-Ottanta, il clima economico risvegliò le tendenze protezio-nistiche dei governi, causando un peggioramento del commercio internazionale. Le economie capitalistiche richiedevano crescenti investimenti transfrontalieri e scambi di servizi, queste esigenze diedero nuovo impulso alla volontà di raffor-zare il sistema multilaterale, anche perché si era innescata una spirale negativa causata dal riversare sul mercato mondiale le derrate agricole eccedenti i con-sumi interni. Nei Paesi OCSE il sostegno al settore agricolo aveva raggiunto livelli del 60% sul valore della produzione, creando crescenti eccedenze. Queste generavano problemi sul mercato mondiale e, di riflesso, sulle politiche agricole nazionali dei Paesi avanzati ed in via di sviluppo. L'impiego crescente di aiuti pubblici per esportare le eccedenze deprimeva i prezzi, rendendo il mercato mondiale instabile. I Paesi in via di sviluppo furono le principali vittime, i prezzi artificialmente bassi misero a repentaglio la sopravvivenza di intere regioni. Il commercio agricolo era divenuto oggetto di dispute commerciali e fonte di forti tensioni internazionali. Si possono individuare diversi gruppi di Paesi a livello mondiale, portatori di differenti interessi: gli USA volti a

libera-lizzare il commercio agricolo e limitare la protezione dell'agricoltura comunita-ria; i Paesi del Gruppo di Cairns interessati ad aprire i mercati terzi alle loro esportazioni; l’Unione Europea prudente a liberalizzare ma disponibile al com-promesso pur di appianare le dispute commerciali; i Paesi in via di sviluppo interessati ai mercati dei Paesi avanzati ed a farsi concedere un trattamento dif-ferenziato per le loro agricolture; la Corea del sud ed il Giappone interessati a mantenere un elevato livello di protezione soprattutto per i loro mercati del riso.

Nel documento PRODOTTI AGRICOLI MERCATI GLOBALI (pagine 51-54)