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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.3 La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sul

2.3.1 La compatibilità del “carcere duro” con il divieto d

La Corte Europea non ha mai affermato la contrarietà all’art 3 della Cedu del regime detentivo speciale ex art. 41-bis nella sua astratta configurazione. Sin dalla decisione Natoli c. Italia244, uno dei primi ricorsi a essere presentato da un detenuto sottoposto al regime ex art. 41-bis, la Commissione europea, in sede di ricevibilità del ricorso, aveva ritenuto che il regime di carcere di rigore applicato al ricorrente non avesse raggiunto quel minimo di gravità necessario affinché si configurasse un trattamento inumano

241 S. ARDITA, op. cit., p. 51

242 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 192 243 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 193

244 Commissione eur. Dir. Uomo, Natoli c. Italia, 18 maggio 1998, pubblicata in Foro.it,

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e degradante e che le restrizioni cui era stato sottoposto erano severe ma proporzionate alla gravità dei reati commessi245. Per la Commissione non vi era stata violazione dell’art. 3 della Convenzione perché l’isolamento a cui era stato sottoposto Natoli non era stato totale e, inoltre, il detenuto era stato sottoposto al regime per una durata non eccessivamente ampia da poter configurare un trattamento inumano e degradante, due anni246. Allo stesso modo nel caso del 1999 Messina c. Italia247, la Corte europea ritenne che il ricorrente era stato sottoposto a un isolamento relativo, tale da non raggiungere la soglia di gravità richiesta per la violazione dell’art. 3 della Cedu. Da allora, la Corte ha ritenuto che l’isolamento sociale relativo che implica il regime del 41-bis non costituisce di per sé un trattamento inumano o degradante248. Il regime di cui all’art. 41-bis appare connotato da caratteri di estrema afflittività e severità ma la Corte ha sempre ritenuto che le restrizioni fossero proporzionato alle speciali istanze di difesa sociale e di ordine pubblico che richiedono i detenuti che ne sono sottoposti, in quanto membri di associazioni di criminalità organizzata249.

La Corte ritiene che per poter ritenersi violato l’art. 3, è necessario che l’isolamento cui è sottoposto il detenuto sia totale, sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista sensoriale, e il regime di cui all’art. 41-bis o.p. è prevista la possibilità di avere colloqui con i familiari, ancorché una sola

245 C. MINNELLA, op. cit., p. 202 246 C. MINNELLA, op. cit., p. 203

247 Corte eur. dir. uomo, Messina c. Italia, 8 giugno 1999 248 E. NICOSIA, op. cit., p. 1266

249 A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in Diritto penale contemporaneo,

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volta al mese, e la permanenza all’aria aperta si svolge in compagni di altri detenuti, anche se si tratta di piccoli gruppi scelti dall’amministrazione; oltre a ciò, non è esclusa la possibilità di lavorare o di svolgere altre attività250. La Corte non ha riscontrato una violazione dell’art. 3 nemmeno nei casi di detenuti collocati nelle c.d. aree riservate251. Nel caso Bagarella c. Italia, il ricorrente lamentava di essere stato sottoposto a isolamento in quanto unico detenuto ristretto nell’area riservata; la Corte ritenne che la decisione di collocare il ricorrente in un settore riservato era giustificata dalla natura dei crimini commessi dall’interessato e che «il divieto di intrattenere rapporti con gli altri detenuti per ragioni di sicurezza, di disciplina e di protezione non costituisce, in se stessa considerata, una forma di pena o trattamento inumano»252. Oltre a ciò, la Corte fa riferimento al fatto che il periodo di durata dell’isolamento del detenuto era stato relativamente breve – quattro mesi – e che, durante quel periodo, l’interessato aveva continuato a ricevere le visite dei membri della sua famiglia e del suo avvocato253.

Perché un isolamento simile a quello previsto all’art. 41-bis possa integrare una violazione dell’art. 3, deve essere affiancato da altri fattori: le condizioni di salute delle detenuto, l’assenza di una pericolosità oggettiva, l’esistenza di una pratica di maltrattamenti. Per quanto riguarda le condizioni di salute del detenuto, si pensi alla sentenza Enea c. Italia254: il ricorrente

250 C. MINNELLA, op. cit., p. 203

251 Corte eur. dir. uomo, Schiavone c. Italia, 13 novembre 2007; Corte eur. dir. uomo, Bagarella c. Italia, 15 gennaio 2008

252 Bagarella c. Italia, § 32-33 253 Bagarella c. Italia, § 33-34 254 Enea c. Italia, 17 settembre 2009

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contestava il fatto che dopo una lunghissima sottoposizione al regime del 41- bis, era stato assegnato alla sezione E.I.V., nonostante fosse molto anziano e soffrisse di gravi problemi di salute. Nonostante queste premesse, il giudice europeo ha ritenuto che non vi fosse violazione dell’art. 3 e che le autorità nazionali avessero garantito cure mediche adeguate al detenuto. L’orientamento della Corte sembra ormai consolidato e, Della Bella255 ci fa notare come la Corte sembra scarsamente disponibile a considerare le condizioni soggettive dei detenuti in 41-bis: nelle pronunce è assente qualsiasi tipo di motivazione sostanziale che giustificano trattamenti detentivi di estremo rigore nei confronti di detenuti in condizioni di salute gravi e spesso anziani.

Per quanto attiene alla durata del regime 41-bis, la Corte si è posta l’interrogativo se l’applicazione prolungata del regime di rigore costituisca una violazione dell’art. 3 della Cedu. Nella sentenza Asciutto c. Italia256, il

ricorrente si lamentava di essere stato sottoposto alle restrizioni derivanti dal regime di carcere duro per tredici anni e, anche in questo caso, la Corte ha ritenuto che non si fosse raggiunto quel minimo di gravità necessario per poter integrare un trattamento inumano o degradante. Premesso che il protrarsi del tempo di determinate restrizioni incide sulla valutazione della gravità del trattamento, la Corte ha sottolineato la difficoltà nell’individuare una durata precisa per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 3 e, nel caso di specie, ha fatto perno sul fatto che le proroghe del decreto ministeriale fossero

255 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 327

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giustificato dalla persistenza dei collegamenti con l’associazione criminale257.

Un ultima decisione su cui vale la pena di soffermarsi è il caso

Dell’Anna c. Italia258, in cui la Corte ha affrontato la compatibilità delle perquisizioni e delle ispezioni corporali previste dalle legge per i detenuti 41- bis con l’art. 3 Cedu: la Corte non ha ravvisato alcuna violazione dell’art. 3 Cedu, rilevando che tali misure, pur così invasive, si rendevano necessarie per garantire la sicurezza dell’istituto, e che il ricorrente non aveva fornito elementi tali da far pensare che nel caso di specie fosse stato superato il livello minimo di gravità richiesto per integrare una violazione dell’art. 3 Cedu259.

Anche nelle più recenti sentenze della Corte – Zara260, Stolder261, Molè262 – l’orientamento della giurisprudenza europea appare «granitico»263: la sottoposizione al suddetto regime non raggiunge la soglia di gravità necessaria per configurare una violazione dell’art. 3 della Cedu.

2.3.2 L’art. 8 della Cedu: il rispetto della vita privata e familiare e