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1. I regimi detentivi di rigore nella nel sistema del Consiglio d’Europa

1.2 La Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle

Il documento europeo più importante nell’ambito della tutela dei diritti e delle libertà degli individui, anche per quanto riguarda i soggetti detenuti, è senza dubbio la Convenzione europea per la salvaguardia dei

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diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: una Convenzione internazionale

redatta e adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa. La Cedu è dotata di un meccanismo giurisdizionale permanente che consente a ciascun individuo di richiedere la tutela dei diritti che la stessa garantisce, attraverso il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo. Deve essere preliminarmente osservato come a Convenzione non annoveri tra i diritti tutelati quello a non subire particolari condizioni di detenzione. Ma, attraverso l’attività interpretativa, la Corte Edu ha reso possibile l’applicazione di alcune previsioni della convenzione al trattamento dei detenuto10. Per quanto attiene ai nostri scopi, la Corte è stata spesso chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di determinati regimi detentivi di rigore con l’art. 3 della Convenzione, il quale sancisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a trattamenti inumani o degradanti». Tale disposizione proibisce tre diverse condotte: la tortura, il trattamento inumano e il trattamento degradante. La Corte ha utilizzato il criterio della c.d. soglia minima di gravità11 sia per stabilire quando una condotta rientra tra quelle vietate, sia per distinguere tra di loro la tortura e gli altri trattamenti: perché una condotta incorra nel divieto in esame deve raggiungere un livello minimo di gravità; raggiunto tale livello la maggiore o minore intensità delle sofferenze inflitte determina la configurazione di una delle tre condotte

10 A. ESPOSITO, Condizioni della detenzione e trattamento dei detenuti: la cultura della detenzione, in Documenti Giustizia, n. 1, 2000, p. 100

11 Corte eur. dir. uomo, Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978: prima sentenza in cui

la Corte europea ha affermato che un determinato trattamento o pena, per poter ricadere nella previsione dell’art. 3 della Cedu, deve raggiungere una soglia minima di gravità che è per sua natura relativa e largamente dipendente dalle circostanze del caso.

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vietate12. La gravità di queste condotte segue una progressione discendente che vede all’apice di questa «piramide di violenza» la tortura, seguita dal trattamento inumano e, infine, dal trattamento degradante13. E’ qualificato «inumano» quel trattamento che provoca volontariamente sofferenze mentali e fisiche di una particolare intensità14. E’, invece, «degradante» quel trattamento, meno grave del trattamento inumano, che umilia fortemente l’individuo davanti agli altri e che è in grado di farlo agire anche contro la sua volontà o scienza15. Infine, la «tortura» è un trattamento inumano o degradante che causa sofferenze più intense, gravi e crudeli16. La qualificazione di tortura è tendenzialmente riservata solo ai casi particolarmente gravi e brutali di violenza fisica e si richiede che sia effettuata intenzionalmente, al contrario dei trattamenti inumani o degradanti che possono derivare da una serie di cause oggettive o di circostanze non create deliberatamente17.

Perché una pena e il trattamento che la accompagna possa essere qualificati inumani o degradanti, la sofferenza o l’umiliazione devono comunque andare oltre la misura che inevitabilmente comporta una certa forma di trattamento o di pena legittimi18. La pena carceraria consiste in una

12 A. ESPOSTIO, op. cit., p. 101

13 G. MANNOZZI, Diritti dichiarati e diritti violati: teoria e prassi della sanzione penale al cospetto della Convenzione europea dei dritti dell’uomo, in V. MANES, V.

ZAGREBELSKY (a cura di), La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

nell’ordinamento penale italiano, Milano, 2011, p. 348 14 A. ESPOSITO, op. cit., p. 102

15 A. ESPOSITO, op. cit., p. 102 16 A. ESPOSITO, op. cit., p. 103 17 G. MANNOZZI, op. cit., p. 348

18 Corte eur. Dir. Uomo, Tyler c. Regn Unito, 25 aprile 1978, § 131; Corte eur. Dir.

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restrizione della libertà personale, dunque di per sé implica violenza, sofferenza e umiliazione; per poter apprezzare una violazione dell’art. 3, deve essere raggiunto un livello minimo di gravità. La Corte ha più volte affermato19 che per ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 3, un maltrattamento deve quindi presentare una soglia minima di gravità che non può essere stabilita a priori in modo definitivo e fisso ma deve essere valutata singolarmente caso per caso e dipende dall’insieme dagli elementi della causa, e segnatamente dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali, così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima20. Così, il divieto contenuto in questo articolo non è statico, ma «riceve una interpretazione in movimento vivente», che è effettuata alla luce delle condizioni caratterizzanti il singolo caso concreto21.

La Corte, generalmente, richiede una prova molto rigorosa della violazione dell’art. 3 da parte di un Paese membro e, spesso, ricorre alla formula beyond reasonable doubt: è necessaria la presenza di indizi sufficientemente gravi, precisi e concordanti per poter condannare lo Stato22. Tuttavia, qualora la violazione sia compiuta nei confronti di una persona privata della libertà, questo rigore probatorio è attenuato23: in questi casi la giurisprudenza europea ha gradualmente introdotto una sorta di inversione dell’onera della prova in capo al Governo resistente24. E’ da sottolineare come

19 Corte eur. dir. uomo, Ocalan c. Turchia, 18 marzo 2014, § 99 20 Corte eur. dir. uomo, Bagarella c. Italia, 15 gennaio 2008, § 29 21 A. ESPOSITO, op. cit., p. 102

22 A. ESPOSITO, op. cit., p. 103 23 A. ESPOSITO, op. cit., p. 104

24 E. NICOSIA, CEDU e ordinamento penitenziario nella giurisprudenza di Strasburgo,

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in vari casi di presunta violazione dell’art. 3, la Corte abbia condannato lo Stato pur mancando la prova dell’avvenuta inflizione al detenuto di maltrattamenti, qualora ritenesse che le autorità nazionali competenti non avessero condotto un’indagine approfondita sugli allegati episodi25.

Per quanto riguarda la compatibilità dei regimi di detenzione speciale con l’art. 3 della Convenzione, la Corte non ha mai affermato che la detenzione in un regime detentivo più restrittivo di quello ordinario di per sé si traduca in una violazione dell’art. 3 della Cedu26. La Corte ammette l’esistenza di regimi di detenzione speciali, affermando che esigenze di ordine pubblico possano condurre gli Stati a prevedere prigioni o introdurre regimi a alta sicurezza per particolari categorie di detenuti. In molte pronunce, la Corte si riferisce ai regimi detentivi di rigore definendoli imprisonment within

the prison, in quanto consistono in un’ulteriore compressione dei diritti del

detenuto e per questo devono essere applicati solo dopo aver preso tutte le precauzioni necessarie a evitare che producano effetti devastanti sull’integrità fisica e psichica del detenuto27. Indipendentemente da esigenze di pubblica sicurezza, gli Stati devono comunque assicurarsi che una persona sia detenuta in condizioni che siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che i modi e i metodi di esecuzione della misura non la sottopongano a stress o a disagi di un’intensità che eccede l’inevitabile livello di sofferenza che è intrinseca nella stessa reclusione e che la sua salute e il suo benessere siano

25 E. NICOSIA, op. cit., p. 750

26 Corte eur. dir. uomo, Van der Ven c. Peasi Bassi, 4 febbraio 2003, § 50 27 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 319

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adeguatamente assicurati28. Questo perché l’art. 3 della Cedu incarna uno dei valori fondamenti delle società democratiche e deve essere rispettato, anche nelle circostante più gravi, quali la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato29. La Corte ricava questo principio dall’art. 15 della Convenzione rubricato «deroga in caso di urgenza»: questa disposizione prevede la possibilità di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione ma, al § 2, esclude espressamente la possibilità di derogare a determinate disposizioni della Convenzione, tra cui appunto l’art. 3.

Ricordiamo che il ruolo della Corte Edu è quello di verificare il rispetto delle norme della Convenzione nel caso concreto: il suo compito non è quello di effettuare una valutazione in astratto della legittimità del regime di rigore, ma di verificare se, nel caso concreto, questo costituisca una pena o un trattamento inumano o degradante30.

La Corte esclude, a priori, la legittimità di regimi detentivo fondati su di un isolamento sociale e sensoriale assoluto31 mentre ammette forme di isolamento relativo, ancorché si tratta di una pratica cui ritiene dovrebbe ricorrersi solo in casi eccezionali; ad esempio, ritiene che il divieto di contatti con altri prigionieri per motivi di sicurezza o per motivi disciplinari non

28 Corte eur. dir. uomo, Van der Ven c. Peasi Bassi, 4 febbraio 2003, § 50 29 Corte eur. dir. uomo, Ocalan c. Turchia, 18 marzo 2014, § 97

30 A DELLA BELLA, op. cit., p. 319

31«complete sensory isolation, coupled with total social isolation can destroy the

personality and constitutes a form of inhuman treatment which cannot be justified by the requirements of security or any other reason» in Corte eur. dir. uomo, Ilascu c. Moldovia

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consiste, di per sé, in una pena o trattamento inumano32. Nell’ambito di regimi detentivi di rigore che realizzano un isolamento sociale e sensoriale relativo, la Corte ha ritenuto violato l’art. 3 in situazioni nelle quali, pure in presenza di condizioni detentive considerati soddisfacenti, il rigore del regime detentivo non rispondeva a reali esigenze di prevenzione, o perché il regime era stato applicato sulla base di un automatismo, senza cioè un accertamento della pericolosità del detenuto, o perché le restrizione erano troppo afflittive e non realmente funzionali alle esigenze di sicurezza33. Un altro aspetto di cui la Corte sembra tenere conto nello stabilire se un trattamento sia contrario all’art. 3 della Cedu, è la durata del trattamento stesso, in quanto ha ritenuto che l’isolamento prolungato sia una misura altamente indesiderabile34.

In dottrina si è rilevato come i giudici europei siano molto restii ad ammettere la sussistenza di un trattamento inumano o degradante basato soltanto sulla durezza e sulla particolare afflittività di un regime detentivo di rigore, ma cercano di dichiarare la violazione dell’art. 3 della Cedu facendo perno sulla carenza di ragioni che giustificano il suddetto regime o sindacando la legittimità dei motivi posti a fondamento del provvedimento restrittivo35.

Altre disposizioni della Convenzione che vengono richiamate quando la Corte esamina la legittimità dei regimi detentivi di rigore sono l’art. 8 e gli

32 Corte eur. dir. uomo, Ilascu c. Moldovia e Russia, 8 luglio 2004, § 432 33 A DELLA BELLA, op. cit., p. 320

34 E. NICOSIA, Il c.d. 41-bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano o degradante?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2009, p. 1259

35 C. MINNELLA, La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sul regime carcerario ex art. 41-bis o.p. e la sua applicazione nell’ordinamento italiano, in Rassegna penitenziaria e criminologica, n. 3, 2004, p. 206

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artt. 6 e 13. L’articolo 8 della Cedu tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare della persona, diritto che può essere limitato per legge quando ciò sia necessaria a garantire determinati interessi, quali la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Gli artt. 6 e 13 della Cedu riguardano, invece, la tutela giurisdizionale; vengono richiamati qualora il detenuto lamenti la mancanza di una tutela giurisdizionale avverso l’applicazione di un regime detentivo di rigore.

La Corte è stata investita numerose volte di ricorsi contro l’Italia per presunta violazione dell’art. 3 relativamente all’applicazione del regime di “carcere duro” ex art. 41-bis o.p.36: il giudice europeo ha sempre ritenuto che la corretta e regolare applicazione del suddetto regime detentivo di rigore, pur comprimendo fortemente i diritti dell’individuo, sia di per sé compatibile con i principi della Convenzione37.

1.3 Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene