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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.4 I rapporti del Cpt sul regime 41-bis o.p

Dopo aver esaurito la giurisprudenza della Corte, è opportuno soffermarci sull’opinione del Comitato per la prevenzione della tortura sul regime di cui all’art. 41-bis o.p., che emerge dai rapporti alle visite del Comitato nelle carceri italiane.

Sin dalla visita del 1995269, il Cpt ha raccomandato allo Stato italiano di rivedere il regime di cui all’art. 41-bis o.p. Nel rapporto del 1995 le raccomandazioni del Cpt riguardarono la necessità di prevedere la possibilità per il detenuto di contestare la sua sottoposizione al regime speciale270 e l’esigenza di mettere a disposizione dei detenuti ex 41-bis attività stimolanti e di assicurare un adeguato contatto umano.

Nel rapporto relativo alla visita del 2000, il Comita rileva la sua preoccupazione circa la legittimità di un sistema di detenzione eccezionale originariamente progettato come un sistema temporaneo, ma che è ancora in vigore otto anni dopo la sua creazione271.

Nei rapporti successive alle visite nelle carceri italiani, i rilievi del Comitato hanno riguardato anche le condizioni effettive della detenzione dei detenuti sottoposti al regime 41-bis: ad esempio, nel rapporto del 2008, il Cpt

269 CPT/Inf (97) 12, Rapport au Gouvernement de l'Italie relatif à la visite effectuée par le Comité européen pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) en Italie du 22 octobre au 6 novembre 1995

270 Come sappiamo, n ella formulazione originario dell’art. 41-bis comma 2 non era

previsto il diritto di reclamo del detenuto avverso il regime speciale ma venne introdotto con la legge 2002.

271 CPT/Inf (2003) 16, Rapport au Gouvernement de l'Italie relatif à la visite effectuée en Italie par le Comité européen pour la prévention de la torture et des peines ou traitements

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ha commentato negativamente che nella sezione dedicata ai 41-bis del carcere di Novara ai prigionieri era proibito chiudere gli scuri delle finestre e erano state imposte molte restrizioni sugli oggetti che i detenuti potevano tenere in cella272.

Una costante raccomandazione nei rapporti del Cpt riguarda la possibilità per i detenuti 41-bis di mantenere contatti sociali con la famiglia, con i compagni detenuti e con i membri dello staff. Secondo il Comitato, è necessario trovare delle soluzioni che consentano il mantenimento dei rapporti familiari con modalità che non pregiudichino la sicurezza. Nello specifico, il Cpt ha raccomandato allo Stato italiano di dare ai detenuti la possibilità di cumulare le ore dei colloqui qualora non siano stati effettuati nel mese precedente; di non negare sistematicamente l’accesso al telefono nei primi sei mesi di reclusione sotto il regime 41-bis e, in generale, di dare la possibilità di effettuare telefonate più frequentemente.

Il Comitato ha più volte espresso la sua contrarietà più assoluta rispetto a un regime che prevede l’isolamento dei detenuti e si è infatti soffermato sulle condizioni dei detenuti assegnate alle c.d. “aree riservate”273, ritenendo inaccettabile che un detenuto possa essere sottoposto a isolamento diurno e chiedendo allo Stato italiano di agire immediatamente l'adozione di misure immediate per porre fine alla privazione dei contatti sociali all’interno

272 CPT/Inf (2010) 12, Report to the Italian Government on the visit to Italy carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 14 to 26 September 2008, § 70

273 CPT/Inf (2006) 16, Rapport au Gouvernement de l’Italie relatif à la visite effectuée en Italie par le Comité européen pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du 21 novembre au 3 décembre 2004, § 84;

126 delle aree riservate.

Un altro aspetto su cui si è concentrato il Cpt nelle sue visite è stata l’insufficienza di attività proposte ai detenuti in 41-bis: il Comitato ritiene necessario predisporre per questa tipologia di detenuti attività di vario genere. L’ultima visita nelle nostre carceri risale al 2012 e il Cpt si è mostrato molto preoccupato dal fatto che le autorità italiano non solo hanno ignorato le raccomandazioni fatte dal Comitato a seguito della visita del 2008 ma hanno anche imposto una serie restrizioni aggiuntive ai detenuti in 41-bis274. Il Comitato non accetta l’argomentazione che utilizza l’Italia per giustificare queste restrizioni ulteriori ovvero la necessità di combattere con più efficacia il fenomeno del crimine organizzato e di conseguenza l’esigenza di proteggere la società. A parere del Cpt, l’amministrazione penitenziaria sarebbe in grado di mantenere lo stesso livello di sicurezza anche qualora ai detenuti in 41-bis fosse data la possibilità di socializzare per un tempo superiore a due o ore al giorno e che anche qualora fosse prevista la possibilità, per i detenuti in 41-bis, di avere colloqui di lunghezza superiore a un’ora, questo non pregiudicherebbe la pubblica sicurezza, dato che durante il colloquio verrebbero comunque mantenuti rigidi controlli.

Il Comitato è portato a credere che il fine nascosto delle più recenti modifiche legislative è piuttosto quello di utilizzare le restrizioni aggiunti come «tool to increase the pressure on the prisoners concerned in order to

274 CPT/Inf (2013) 32, Report to the Italian Government on the visit to Italy carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 13 to 25 May 2012, § 55

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induce them to co-operate with the justice system»275: se ciò fosse vero, sarebbe inaccettabile e in contrasto con l’art. 27 comma 3 della Costituzione e con numerosi strumenti internazionali a tutela dei diritti umani.

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CAPITOLO III

I CIRCUITI PENITENZIARI.

LA DIFFERENZIAZIONE DEI DETENUTI OPERATA

DALL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

SOMMARIO: 1. La suddivisione in circuiti - 1.1 La classificazione operata dalla circolare del 1993 e l’introduzione del circuito Alta Sicurezza - 1.2 Il circuito ad Elevato Indice di Vigilanza Cautelativa - 1.3 La circolare del 2007: nuovi criteri per effettuare l’inserimento dei ristretti nel circuito Alta Sicurezza - 1.4 La nuova organizzazione del circuito Alta Sicurezza - 2. La procedura di classificazione e di declassificazione e la circolare del 2015 - 3. La mancanza di una tutela giurisdizionale - 3.1 Il circuito E.I.V. e la violazione dell’art. 6 della Cedu

1. La suddivisione in circuiti

Nei primi anni Novanta, l’Amministrazione penitenziaria provvide a ripartire la popolazione detenuta nei c.d. circuiti penitenziari, in base al livello di sicurezza richiesto. Si tratta della continuazione storica degli istituti e delle sezioni di massima sicurezza che abbiamo avuto modo di affrontare nel Capitolo I, nate a seguito del conferimento al comandante Della Chiesa dell’incarico di risolvere il problema della sicurezza nelle carceri.

Con la nota protocollare del 31 agosto del 19911, l’allora Direttore generale Nicolò Amato nel “Messaggio a tutto il personale: per una nuova amministrazione” suddivideva le carceri italiani in tre livelli di sicurezza:

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istituti a normale livello di sicurezza; istituti a particolare livello di sicurezza; istituti a alto livello di sicurezza2. Fu, però, la circolare n. 3359/5809 del 21 aprile 1993 ad introdurre l’espressione “circuiti penitenziari”3 ed a confermare l’inquadramento degli istituti su tre livelli di classificazione.

Secondo parte della dottrina4, la materia dei circuiti va ad «innestarsi in uno spazio diverso e ulteriore»5 rispetto a quello, disciplinato dalla legge, dei regimi detentivi di rigore, quali il regime detentivo speciale previsto all’art. 41-bis o.p. ed il regime di sorveglianza particolare previsto all’art. 14- bis o.p6. Secondo questa prospettiva, Sebastiano Ardita opera una ben chiara distinzione tra circuito penitenziario e regime penitenziario: con l’espressione circuiti penitenziari ci si riferisce a «entità di tipo logistico dotata di determinati requisiti di sicurezza e rappresentate da un insieme di ambienti»7, alle quali vengono assegnati i detenuti in ragione del loro livello di pericolosità o in considerazione di peculiari esigenze trattamentali; mentre, con il termine regime penitenziario si fa riferimento alle «regole di trattamento applicate alla vita penitenziaria»8. Secondo questa distinzione, è ben possibile che una tipologia di detenuti venga assegnata ad un determinato circuito, senza che vi siano differenze di regime penitenziario con altre

2 C. BRUNETTI, M. ZICCONE, Manuale di diritto penitenziario, Piacenza, 2005, p.

429

3 C. BRUNETTI, M. ZICCONE, op. cit., p. 429

4 Cfr. S. ARDITA, Le disposizioni sulla sicurezza penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, n. 3, 2007; Cfr. F. FALZONE, Il circuito detentivo alta sicurezza e il procedimento di declassificazione, in Archivio Penale, n. 3, 2015

5 S. ARDITA, op. cit., p. 41 6 V. supra Cap. II

7 S. ARDITA, op. cit., p. 43 8 S. ARDITA, op. cit., p. 43

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categorie di detenuti che sono assegnati a circuiti diversi.

Le vigenti circolari in materia di circuiti penitenziari riconducono il fondamento dell’esistenza dei circuiti alla legge sull’ordinamento penitenziario, che imporrebbe raggruppamenti o separazioni di detenuti o internati secondo i criteri individuati dagli artt. 13 e 14 o.p.9 Vediamo che l’art. 13 o.p. prevede che il trattamento penitenziario debba rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto e che è predisposta l’osservazione scientifica della personalità nei confronti condannati e degli internati. Il successivo art. 14 o.p. dispone che il numero dei detenuti debba essere limitato in modo da favorire l’individualizzazione del trattamento e, soprattutto, prevede che l’assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni debba essere disposta con particolare riguardo alla possibilità di procedere a un trattamento rieducativo comune e all’esigenza di evitare influenze nocive reciproche. Notiamo come in queste disposizioni le esigenze di trattamento sembrano prevalere rispetto alle esigenze di sicurezza e di custodia10 ma la creazione di appositi circuiti penitenziari che garantiscano elevati livelli di sicurezza è prevista anche dalla fonte regolamentare. Il D.P.R. n. 230 del 2000, all’art. 32 prevede che «i detenuti che abbiano un comportamento che richieda particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni e sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette

9 F. FALZONE, op. cit., p. 5

10 A. BERNASCONI, La sicurezza penitenziaria: prospettiva storico-sociologica e profili normativi, Milano, 1991, p. 95

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regole». E’ evidente un rovesciamo di priorità di valori nel regolamento di esecuzione rispetto alla legge: ordine e disciplina assumono importanza primaria rispetto alle esigenze trattamentali11.

A partire dal 1993, numerose circolari ministeriali si sono susseguite sul tema dei circuiti penitenziari che hanno evidenziato, da un lato, l’importanza della materia e dall’altro le molteplici difficoltà incontrate dalle carceri italiani per una loro perfetta classificazione ed organizzazione in circuiti penitenziari12. L’amministrazione penitenziaria ha così dato vita a un’articolata suddivisione della popolazione carceraria per categorie omogenee, che avrebbe lo scopo di garantire al meglio i profili di sicurezza connessi alla gestione penitenziaria anche evitando influenze nocive reciproche tra detenuti13. Con il raggruppamento dei detenuti in circuiti l’Amministrazione mira, da una parte, a calibrare l’impiego di risorse nonché gli sforzi di controllo e vigilanza in maniera proporzionale alla pericolosità dei soggetti, e, dall’altra parte, a tutelare i detenuti di minore spesso criminale o non collegati a associazioni esterni, esposti a concreti rischi di sopraffazione e proselitismo14.

Nel corso del tempo il termine “circuito” è stato sempre più utilizzato per indicare in generale categorie omogenee di detenuti, quali ad esempio il “circuito femminile”, il “circuito della sorveglianza particolare”. Per quanto riguarda il circuito femminile, semplicemente si è andati a utilizzare il termine

11 A. BERNASCONI, op. cit., p. 95

12 C. BRUNETTI – M. ZICCONE, op. cit., p. 430 13 C. BRUNETTI – M. ZICCONE, op. cit., p. 430 14 F. FALZONE, op. cit., p. 2

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“circuito” quale sinonimo del termine “sezione”: l’art. 14 comma 5 o.p. prevede infatti che le donne detenute siano ospitate in «istituti separati o in apposite sezioni di un istituto». Per quanto riguarda, invece, il circuito della sorveglianza particolare, nel capitolo precedente abbiamo avuto modo di conoscere il regime previsto all’art. 14-bis o. p. che appunto non è un circuito ma è un regime penitenziario a cui vengono sottoposti i detenuti che manifestano caratteristiche di pericolosità – la confusione nasce dal fatto che l’amministrazione penitenziaria tende a inserire i detenuti assoggettati al medesimo regime penitenziario in una medesima sezione (o circuito). E’ opportuno precisare che nel proseguo della trattazione si ricorrerà al termine “circuito” solo per quanto riguarda le ipotesi assimilabili alla classificazione prevista nella circolare D.A.P. n. 3359/5809 del 21 aprile 1993.

1.1 La classificazione operata dalla circolare del 1993 e l’introduzione del circuito Alta Sicurezza

La circolare D.A.P. n. 3359/5809 del 21 aprile 1993 avente quale oggetto “Regime penitenziario. Impiego del personale di polizia penitenziaria. Gestione decentrata democratica e partecipata dell’Amministrazione penitenziaria”, aveva stabilito una classificazione dei detenuti e internati in tre circuiti differenziati: un circuito penitenziario di primo livello, ossia di “alta sicurezza” (A.S.) destinato ai detenuti che presentano particolari problemi di sicurezza o in relazione al reato commesso o in relazione alla condotta tenuta in fase detentiva; un circuito di secondo livello, ossia di sicurezza media (S.M.), che comprende la maggioranza dei

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detenuti, ossia quelli per i quali non sussistono specifici problemi di sicurezza e le attività finalizzate al trattamento rieducativo possono essere realizzate con modalità ordinarie; e un circuito di terzo livello, ossia di custodia attenuata (C.A.), previsto esclusivamente per i detenuti tossicodipendenti non pericolosi.

La circolare specificava espressamente che «la differenziazione [in circuiti] non implica – fatti salvi i casi in cui vengano emanati decreti ministeriali ai sensi dell’art. 41-bis o.p. – una differenza nel regime penitenziario sotto il profilo dei diritti e dei doveri dei detenuti e sotto il profilo della possibilità, in linea di principio, di applicare le regole e gli istituti del trattamento penitenziario»15.

Per quanto riguarda il circuito di alta sicurezza, a esso erano destinati i «detenuti imputati o condannati per i delitti di cui all’art. 416 bis, c.p. (associazione di stampo mafioso), all’art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione), o all’art. 74 del T.U. n. 309 del 1990 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti), che sono certamente i detenuti più pericolosi»16. Si trattava quindi di detenuti legati alla criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita). La circolare continuava affermando che «tale separazione si basa direttamente sulla legge, ed in particolare sull’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975». L’art. 4-bis o.p. prevede che i detenuti che rientrano nella sua previsione siano esclusi dai benefici penitenziari, con l’eccezione della liberazione anticipata, sul

15 Circolare D.A.P. n. 3359/5809 del 21 aprile 1993 16 Circolare D.A.P. n. 3359/5809 del 21 aprile 1993

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presupposto che si tratta di persone che hanno fatto una scelta criminale di tipo professionale e che si può parlare di ravvedimento e di abbandono della loro scelta criminale soltanto qualora essi decidano di collaborare con le autorità giudiziarie.

La differenziazione del circuito di alta sicurezza comporta l’uso di strutture sicure dal punto di vista edilizio e dal punto di vista degli apparati e dispositivi elettronici e meccanici; comporta anche il massimo della sicurezza dal punto di vista della gestione, vale a dire della sorveglianza affidata al Corpo di polizia penitenziaria.

La circolare sottolinea più volte che si tratta del circuito con livello di pericolosità più alto e per questo raccomanda che ci debba essere spazio solo per «la legge e la volontà dello Stato». Nonostante questo, la differenziazione non deve implicare una differenza nel regime penitenziario e si deve sempre rispettare la dignità personale dei detenuto - «la forza nei confronti [dei detenuti] può essere usata legittimamente soltanto negli stretti limiti e nelle tassative ipotesi in cui la legge la imponga o la giustifichi e soltanto se non c’è più possibilità o spazio alcuno per reazioni e rimedi diversi.»

Sono stabilite una serie di regole precise per la gestione di questi detenuti. La prima regola consiste nel fatto che i detenuti del primo livello devono essere assegnati o trasferiti sempre e soltanto negli istituti e nelle sezioni degli istituti di alta sicurezza; inoltre i più pericolosi tra tali detenuti devono essere assegnati o trasferiti sempre e soltanto in istituti o sezioni di alta sicurezza lontani dalle loro regioni. La seconda regola prevede una rigida separazione delle sezioni: infatti, fin quanto permangono nell’istituto, i

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detenuti del primo livello non possono per nessuna ragione uscire dalle sezioni alle quali sono assegnati. Questo significa che tutte le attività – dai colloqui, all’ora d’aria, alle attività trattamentali – devono svolgersi all’interno della sezione, senza che possano utilizzare altre parti dell’istituto e senza che possano incontrare detenuti di altro livello. La terza regola prevede che gli istituti e le sezioni riservate all’alta sicurezza, deve essere esercitata, da parte del personale di polizia penitenziaria, una sorveglianza estremamente attenta e scrupolosa, adeguata al livello di pericolosità dei detenuti. La quarta regola stabilisce che le ore di aria e/o di socialità concesse ai detenuti di primo livello sono cinque. La quinta regola prevede l’auspicabilità di attività scolastiche, di istruzione professionale, lavorative, culturali, religiose, sportive, purché vi sia sempre la garanzia assoluta della sicurezza, dell’ordine e della disciplina. La sesta regola pone attenzione alla sistemazione di questi detenuti: in ciascuna camera vanno costuditi al massimo due detenuti e, in secondo luogo, occorre evitare che stiano insieme i detenuti che potrebbero sfruttare la loro vicinanza a fini criminali ovvero detenuti tra i quali vi sia una incompatibilità che possa far temere minacce, aggressioni o violenze. La regola sette ricorda che i detenuti del primo livello sono esclusi dai benefici penitenziari, ex art. 4-bis o.p., quali il lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative, a meno che non abbandonino la loro scelta criminale e collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58-ter; sono invece ammessi alla liberazione anticipata purché abbiano dato prova di partecipare all’opera di rieducazione. L’ottava regola prevede la necessità che i colloqui e le telefonate c.d. premiali siano concessi

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soltanto con provvedimento motivato del direttore. La nona regola esclude, salvo casi eccezionali, che si possano ammettere in queste sezioni interventi degli assistenti volontari. L’ultima regola prevede che debba essere garantita, ancor di più in questa sezione che nelle altre, parità di condizioni di vita: occorre impedire fenomeni di proselitismo, supremazia, subordinazione o intimidazione.

E’ necessario che tutte queste regole siano osservate in tutte le sezioni ad alta sicurezza e per tutti i detenuti di primo livello con assoluta uniformità. Sappiamo anche che, a norma dell’art. 41-bis comma 2 o.p., il Ministro della giustizia può sottoporre con decreto ministeriale i detenuti che rientrano nell’art. 4-bis o.p. – cioè i detenuti ristretti nel circuito alta sicurezza – a un regime di sospensione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge sull’ordinamento penitenziario. In questo caso, ovviamente, il decreto ministeriale restringerà ulteriormente le regole sopra elencate, in quanto a questi detenuti viene applicato un vero e proprio regime di rigore diverso da quello applicato agli altri ristretti, che consente una legittima restrizione dei diritti previsti dall’ordinamento penitenziario.

Il circuito penitenziario di terzo livello, ossia di custodia attenuata (C.A.) era destinato ai detenuti tossicodipendenti non particolarmente pericolosi, ossia più recuperabili. Ai fini della trattazione della nostra tesi non ci soffermeremo molto su questa categoria di detenuti, in quanto abbiamo preferito concentrarci solo su un’analisi dei regimi di rigore previsti all’interno del carcere, e cioè dei regimi pensati per motivi di sicurezza, e quindi di tralasciare i regimi di favore e terapeutici.

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Arriviamo, infine, al circuito di secondo livello, ossia di sicurezza media (S.M.). Questo circuito era destinato ai detenuti che non rientrano né nel primo, né nel terzo livello, e cioè alla stragrande maggioranza dei detenuti. Si tratta dei detenuti per i quali non sussistono specifici problemi di sicurezza e le attività finalizzate al trattamento rieducativo possono essere realizzate con modalità ordinarie17. Tale circuito presupponeva un giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e le esigenze trattamentali.

1.2 Il circuito ad Elevato Indice di Vigilanza Cautelativa

La circolare del 1993 non prese in considerazione l’ipotesi di detenuti che, non avendo il titolo di reato per essere inseriti nel circuito di primo livello (c.d. A.S.), presentassero, tuttavia, una pericolosità tale da far risultare inopportuno il loro inserimento nel circuito di secondo livello (c.d. media sicurezza)18.

Già con la nota n. 115882 datata 8 giugno 1993, il dipartimento iniziò a consentire, in via eccezionale, l’assegnazione nelle sezioni di primo livello di detenuti ritenuti pericolosi per l’effettivo collegamento con la criminalità organizzata, desumibile dal fatto di essere imputati o condannati per reati diversi da quelli di cui agli artt. 416 bis, 630 c.p. e 74 T.U. n. 309/90 ma commessi al fine di agevolare le attività della associazioni previste dall’art. 416 bis c.p. Tuttavia, non era stata prevista nessuna disciplina per i detenuti

17 G. NEPPI MODONA, D. PETRINI, L. SCOMPARIN, Giustizia penale e servizi sociali, Roma, 2009, p. 261

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ritenuti pericolosi per altre ragioni. Nella prassi, i detenuti pericolosi c.d. comuni e i detenuti per reati di terrorismo o eversione vennero comunque