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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.2 La sospensione delle ordinarie regole di trattamento (art 41-bis

2.2.1 La nascita e l’evoluzione normativa dell’art 41-bis comma

Il decreto legge n. 306 dell’8 giugno del 1992 ha introdotto nel nostro ordinamento penitenziario il comma 2 dell’art. 41-bis, il c.d. “carcere duro”105.

Inizialmente, si sarebbe dovuto trattare di un provvedimento temporaneo, finalizzato a contrastare il clima emergenziale di quel periodo; tuttavia, decreti attuativi prorogarono ripetutamente la norma fino all’emanazione della legge n. 279 del 23 dicembre 2002 che la stabilizzò

103 Tribunale di Sorveglianza Roma 13 agosto 1987, Concutelli; Tribunale di

Sorveglianza di Roma, 20 marzo 1987, Senzani, in G. merito, 88, p. 1113

104 Corte di Cassazione, 7 ottobre 1987, Piunti, in C. penale, 88, 2149; Corte di

Cassazione, 1 luglio 1994, Modeo, in C. penale, 95, p. 3068

105 Per un’analisi del contesto storico in cui venne introdotto il regime differenziato, cfr. supra Cap. 1, par. 4

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definitivamente nell’ordinamento penitenziario.

La disposizione consente al Ministro della Giustizia, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per determinati delitti – indicati nel primo periodo del primo comma dell’art. 4-bis o.p. – l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge penitenziaria che possono porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza.

Abbiamo detto come il regime di sorveglianza particolare fosse stato introdotto per fronteggiare problemi legati alla sicurezza interna agli istituti penitenziari; il regime di rigore previsto al secondo comma dell’art. 41-bis o.p., invece, mira ad affrontare situazioni di pericolo per la sicurezza esterna al carcere. Questo lo possiamo subito dedurre dal presupposto delineato dalla norma che consente al Ministro di emanare il provvedimento di sospensione «quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica». L’introduzione del comma 2 dell’art. 41-bis o.p. nasce dall’esigenza di contrastare il fenomeno “mafioso” e, in particolare la capacità delle organizzazioni criminali di gestire le attività criminose e i rapporti con l’esterno anche dal carcere106. A legittimare il provvedimento ex comma 2 sono situazioni esterne alla realtà carceraria, le quali si presumano possano determinare un forte allarme sociale e compromettano l’ordine e la sicurezza pubblica107. L’intento del legislatore è quello di spezzare ogni legame tra il

106 P. CORVI, op. cit., p. 118

107 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., in F. DELLA CASA, G. GIOSTRA, Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2015, p. 448

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carcere e il mondo esterno, allo scopo di isolare gli appartenenti ad organizzazioni criminali per indebolire la loro posizione108.

La formulazione originaria109 era scarna e generica e la disciplina presentava molti aspetti problematici. In primo luogo, i presupposti di applicazione del regime erano lasciati alla discrezionalità del Ministro di grazia e giustizia, chiamato a valutare la sussistenza dei gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, senza ulteriori parametri normativi110. In secondo luogo, la norma non disciplinava in maniera esauriente i contenuti del regime: la parte conclusiva della disposizione faceva riferimento a una sorta di «limite relativo»111 circoscrivendo l’intervento sospensivo su quelle regole dell’ordinamento che concretamente possano minacciare le esigenze di ordine e sicurezza. Tuttavia, era totalmente assente la previsione di un «limite assoluto» alla discrezionalità ministeriale, configurabile con l’individuazione di una sfera di diritti riconosciuti inviolabili anche in una situazione di emergenza112. Potevano essere soggetti a questo regime solo i condannati per i reati previsti all’art. 4-bis o.p.: l’applicazione del regime era quindi fondata su una pericolosità desunta unicamente dal titolo di reato, prescindendo da

108 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 448

109 «Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta

del Ministro dell'interno, il Ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 4-bis, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.»

110 P. CORVI, op. cit., p. 120

111 N. DE RIENZO, Il regime sospensivo previsto dal secondo comma dell’art. 41-bi dell’ordinamento penitenziario: una rilettura del sistema della sicurezza, in A.

PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche penitenziarie, Milano, 1994, p. 103

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comportamenti e atteggiamenti soggettivi manifestati nel corso dell’esecuzione della pena113. Inoltre, la norma non prevedeva alcuna delimitazione temporale della sospensione – neppure correlato al ripristino dell’ordine e della sicurezza – che, una volta adottata, sarebbe potuta durare indefinitivamente114; tuttavia, alcuni decreti applicativi del comma 2 fissarono la durata del provvedimento sospensivo in mesi sei o indicarono un termine finale di vigenza del provvedimento, anche se ciò non escludeva che il provvedimento potesse essere reiterato115. Il legislatore aveva così costruito un regime di rigore individualizzato la cui gestione era riservata totalmente all’Amministrazione sia nel momento applicativo che nelle precedenti fasi dell’individuazione dei presupposti e di selezione dei destinatari, sia nella determinazione degli interventi sospensivi e nella durata degli stessi116. Infine, non era originariamente previsto un controllo sulla legittimità del provvedimento sospensivo, andando così a escludere qualsiasi tipo di intervento da parte della magistratura di sorveglianza nell’applicazione del regime restrittivo.

Successivamente all’introduzione del secondo comma dell’art. 41-bis o.p., la Corte Costituzionale è intervenuta ripetutamente rimodellando la disciplina della sospensione delle regole di trattamento ma non ha mai dichiarato la norma incostituzionale nel suo nucleo centrale: attraverso quattro sentenze interpretative di rigetto ha dichiarato non fondante alcune

113 N. DE RIENZO, op. cit., p. 115

114 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 448 115 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., 449 116 N. DE RIENZO, op. cit., p. 118

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questioni di legittimità costituzionale e ha cercato di riportare l’istituto all’interno dei parametri costituzionali117. La Corte, infatti, individuò le norme che potevano essere sospese dal Ministro in quelle regole o istituti che già nell’ordinamento appartengono alla competenza dell’amministrazione penitenziaria e che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto118. Nella stessa sentenza ha chiarito che i provvedimenti ministeriali sono sottoponibili al controllo giurisdizionale del tribunale di sorveglianza mediante il reclamo previsto all’art. 14-ter o.p., il quale può disapplicare totalmente o in parte il provvedimento di sospensione119. In una sentenza successiva, sempre per quanto riguarda il contenuto del provvedimento ministeriale, la Corte ha escluso che possano essere sospese le attività di osservazioni e di trattamento, quali le attività culturali, ricreative, sportive e quelle volte alla realizzazione della personalità120.

Con la legge 23 dicembre 2002 n. 279, il regime detentivo speciale è stato inserito stabilmente nell’ordinamento, ponendo fine alle prassi delle ripetute proroghe. Sulla spinta degli interventi della Corte Costituzionale, il legislatore ha cercato di completare la disciplina dell’istituto che, come abbiamo visto, era molto carente: ha precisato i presupposti del regime di rigore, ha definito il possibile contenuto del provvedimento prevedendo le restrizioni attuabili, ha definito il procedimento di emissione della misura, l’eventuale proroga e revoca del provvedimento, ha introdotto la possibilità

117 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 445 118 Corte Costituzionale, 24 giugno 1993, n. 349. 119 Corte Costituzionale, 14 ottobre 1996, n. 351 120 Corte Costituzionale, 26 novembre 1997, n. 376

82 di proporre reclamo121.

Un secondo intervento normativo è stato attuato con la legge n. 94 del 2009 che ha nuovamente modificato in più punti l’art. 41-bis o.p., rendendo ancora più rigoroso il trattamento penitenziario riservato ai detenuti destinatari dell’istituto in oggetto122. La novella normativa ha ampliato nettamente il novero dei destinatari del regime, giacché è andata a modificare la previsione dell’art. 4-bis comma 1 o.p. – a cui si richiama l’art. 41-bis comma 2 – andando a includere delitti diversi dalla sola associazione mafiosa123.