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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.2 La sospensione delle ordinarie regole di trattamento (art 41-bis

2.2.5 Il contenuto del regime speciale

Abbiamo detto che la previsione originaria dell’art. 41-bis comma 2 si limitava ad affermare che il provvedimento ministeriale comporta la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge penitenziaria che possono porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, non prevedendo alcun limite assoluto alla discrezionalità ministeriale. Interventi della Corte Costituzionale avevano posto un argine alla discrezionalità ministeriale, evidenziando il rapporto di congruità che deve sussistere tra misure adottate e fini per i quali la legge consente all’amministrazione di adottare il provvedimento161. La Corte aveva riconosciuto all’amministrazione penitenziaria la facoltà di adottare provvedimenti in ordine alle modalità di detenzione ma aveva anche sottolineato che detti provvedimenti «rimangono soggetti ai limiti ed alle garanzie previsti dalla Costituzione in ordine al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13, quarto comma), o di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27, terzo comma), ed al diritto di difesa (art.24)»162. In questo modo, la Corte aveva individuato «un vero e proprio limite di competenza funzionale dell'Amministrazione»163: le regole che possono essere intaccate dal

160 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 284

161 Corte Costituzionale n. 351/1996 e n. 376/1997 162 Corte Cost. n. 349/1993

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provvedimento ministeriale sono quelle già attribuite alla competenza dell’amministrazione e che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto164.

La formula originaria è rimasta invariata ma, con i successivi interventi legislativi, si è arricchita di contenuti: il legislatore nel 2002 ha introdotto il comma 2-quater che prevede una specificazione delle restrizioni che possono essere adottare e la legge n. 94 del 2009 ha riformulato tale disposizioni, prevedendo un irrigidimento della disciplina. Il legislatore del 2009 ha, inoltre, cercato di restringere la discrezionalità del ministro nella scelta delle restrizioni a cui sottomettere i destinatari del regime differenziato attraverso l’inserimento dell’indicativo presente «prevede», in luogo della forma servile, «può comportare»165, volendo così significare che non è possibile modulare il contenuto del decreto ministeriale in ragione delle esigenze riscontrate nel caso concreto ma che necessariamente sono imposte tutte le limitazioni indicate dal comma 2-quater166. La tipizzazione delle restrizioni, però, rimane «più apparente che reale»167: ci rendiamo conto che l’elenco di restrizioni non è affatto a numero chiuso168, in quanto alla lett. a) del comma 2-quater è autorizzata genericamente l’adozione di misure di elevate sicurezza interna ed esterna. Il riferimento alle misure di elevata sicurezza interna e esterna non sembra riferirsi alle misure di ordine logistico- organizzativo, in quanto, di per sé, non comportano la sospensione delle

164 Corte Cost. n. 349/1993 165 C. FIORIO, op. cit., p. 413

166 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 459

167 D. PETRINI, Art. 2 l. 23/12/2002, in Legislazione Penale, 2003, p. 247 168 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 457

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ordinarie regole di detenzione169; sembra preferibile ritenere che, in forza della lettera a), sia consentito all’amministrazione penitenziaria di adottare provvedimenti diversi da quelli indicati nello stesso comma 2-quater170. Questa possibilità lascia perplessi soprattutto in quanto la riforma non ha individuato, a differenza di quanto previsto per il contenuto regime di sorveglianza particolare171, un nucleo di diritti inviolabili del detenuto che devono essere sottratti a ogni ingerenza dell’amministrazione172. La “norma in bianco” con cui si apre l’elenco di restrizioni173 sembra il tentativo di aggirare i limiti che aveva posto la Corte Costituzionale nelle sentenze successive all’entrata in vigore del secondo comma dell’art. 41-bis174.

Dopo la lettera a), il comma 2-quater prosegue con l’indicazione puntuale di determinate misure che operano su due piani diversi: quello dei rapporti del detenuto con il mondo esterno e quello relativo alla vita interna all’istituto penitenziario175. Per quanto concerne il primo versante, la sospensione incide sui colloqui e sulla corrispondenza mentre, per quanto riguarda le attività inerenti alla vita penitenziaria, la sospensione prevede l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e la limitazione della permanenza all’aria aperta. Infine, la limitazione delle somme, beni e oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno si pone nella prospettiva di incidere

169 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 458 170 P. CORVI, op. cit., p. 154

171 Art. 14-quarter o.p. 172 P. CORVI, op. cit., p. 152

173 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 458 174 Corte Costituzionale n. 349/1993, n. 351/1996, n. 376/1997 175 P. CORVI, op. cit., p. 152

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sia sulla vita interna all’istituto, sia sui contatti con il mondo esterno176. La lettera b) del comma 2-quater riguarda le restrizioni sulla disciplina dei colloqui. In primo luogo, è esclusa la possibilità di avere colloqui con soggetti che non siano familiari o conviventi, salvo casi eccezionali per cui è necessaria una delibera dal direttore dell’istituto o, nel caso di imputati, dall’autorità giudiziaria procedente. Per quanto riguarda il numero di colloqui di cui può usufruire il detenuto sottoposto al regime differenziato, la disposizione sancisce che è concesso un solo colloquio al mese, mentre prima della novella del 2009, il detenuto poteva usufruire fino a un massimo di due colloqui al mese. L’art 37 reg. esec. prevede, invece, che nel regime ordinario i detenuti usufruiscano di sei colloqui al mese. Per quanto concerne le modalità di svolgimento, i colloqui si effettuano in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e possono essere sottoposti a controllo auditivo e a registrazione, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente.

La corrispondenza telefonica con i familiari è vietata nei primi sei mesi di applicazione del regime e, successivamente, può essere concessa, con provvedimento motivato del diretto dell’istituto o dell’autorità giudiziaria, una sola telefonata mensile di durata massima di dieci minuti per coloro che non effettuano colloqui; anche il colloquio telefonico è sottoposto a registrazione.

A fronte di tutte queste cautele, si fatica a comprende la ratio di una

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disciplina che concede la possibilità di un solo colloquio al mese con familiari e conviventi, dato che comunque è prevista la loro registrazione auditiva177.

Le modalità di controllo previste per i colloqui con i familiari non sono applicabili ai colloqui con i difensori. Nonostante ciò, la disposizione prevede che i contatti con il difensore siano ridotti al numero massimo di tre volte alla settimana, sia che si tratti di colloqui diretti o di conversazioni telefoniche, che avranno la stessa durata di quelli con i familiari. La previsione trovava il suo fondamento nell’esperienza giudiziaria, che ha mostrato come i detenuti per reati di mafia abbiano strumentalizzato le garanzie che l’ordinamento fornisce per l’esercizio del diritto di difesa, al fine di assicurarsi un canale di comunicazione sicuro178. Tuttavia, la disposizione è stata oggetto di censura costituzionale con la sentenza n, 143 del 2013 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis comma 2-quater limitatamente alle parole «con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari». Si è trattato della prima censura di illegittimità, anche se parziale, dell’art. 41- bis o.p179: dalla entrata in vigore del secondo comma dell’art. 41-bis o.p., a fronte delle numerose eccezioni di costituzionalità rimesse dai giudici, la Corte aveva costantemente fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni impugnate180. Secondo la Corte la limitazione dei

177 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 460 178 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 244

179 P. CORVI, La Corte Costituzionale riafferma il diritto di difesa dei soggetti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41 bis o.p., in Diritto Penale e Processo, 2013, p.

1189

180 P. CORVI, La Corte Costituzionale riafferma il diritto di difesa dei soggetti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41 bis o.p., cit., p. 1195

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colloqui con il difensore si scontra con la garanzia del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Cost. La Corte è stata chiamata a comporre il contrasto tra il diritto di difesa e i contrapposti interessi riconducibili alle esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, indicando quale dei valori debba, nel caso concreto, ritenersi prevalente181. Con la pronuncia in esame, la Corte ha affermato il principio secondo cui in tema di bilanciamento di due diritti costituzionali «non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di un altro interesse di pari rango». Applicato al caso di specie, la Corte ha ragionato ritenendo come il limite delle tre ore settimanali penalizzerebbe il diritto di difesa ma non sarebbe utile a impedire il passaggio di informazioni tra il carcere e l’esterno in quanto esso non inciderebbe sulla possibilità per il detenuto di avvalersi dell’intermediazione dei difensori per mantenere il controllo sulle eventuali attività legate all’associazione criminale182; l’attenuazione del diritto sacrificato non è idonea a perseguire l’interesse cui si è volto garantire una maggiore tutela, per questo la Corte ha ritenuto di censurare la previsione normativa183. La tutela del diritto di difesa è pienamente ristabilita con riguardo ai colloqui personali tra difensore e detenuto.

181 P. CORVI, La Corte Costituzionale riafferma il diritto di difesa dei soggetti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41 bis o.p., cit., p. 1195

182 V. MANES, V. NAPOLEONI, Incostituzionali le restrizioni ai colloqui difensivi dei detenuti in regime di “carcere duro”: nuovi tracciati della Corte in tema di bilanciamento dei diritti fondamentali, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 4, 2013, p.

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183 P. CORVI, La Corte Costituzionale riafferma il diritto di difesa dei soggetti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41 bis o.p., cit., p. 1196

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Alla lettera e) del comma 2-quater è prevista la disciplina di restrizione dell’altra forma di contatti con l’esterno ovvero della corrispondenza184. La norma prevede che la corrispondenza sia sottoposta a visto di censura, sia in entrata che in uscita. Nonostante la norma non lo preveda espressamente, deve ritenersi che l’apposizione di controlli della corrispondenza sia subordinata all’autorizzazione del giudice, alla strega di quanto previsto nella disciplina generale ex art. 18-ter o.p185; questa pare l’unica lettura ammissibile a meno di non ritenere la previsione lesiva dell’art. 15 Cost186. L’art. 18-ter prevede che la facoltà di intrattenere corrispondenza con i congiunti riconosciuta ai detenuti dall’art. 18 o.p. può subire limitazioni per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto. La libertà della corrispondenza può essere limitata tramite decreto motivato adottato, su richiesta del p.m. o proposta del direttore dell’istituto su richiesta del magistrato di sorveglianza o dal giudice procedente nei confronti degli imputati fino alla sentenza di primo grado. Nel decreto devono essere espresse le ragioni che giustificano il provvedimento, la durata della limitazione e il tipo di controllo adottato. La norma specifica che non può essere sottoposte a visto di censura, la corrispondenza con i membri del Parlamento e con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia; anche sotto questo profilo la norma deve essere integrata con la disciplina dettata dall’art.

184 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 160 185 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 250

186 L’art. 15 della Costituzione prevede che limitazioni alla libertà e segretezza della

corrispondenza possano avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

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18-ter o.p. che, al secondo comma, vieta ogni forma di controllo della corrispondenza indirizzata ai difensori, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate all’art. 35 o.p., ai membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte187.

Passando invece alle restrizioni che riguardano la vita all’interno dell’istituto penitenziario, alla lettera d) del comma 2-quater è prevista l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati. Alcuni aspetti della vita all’interno del carcere sono organizzati e gestiti con il contributo di una rappresentanza dei detenuti, designata periodicamente per sorteggio188. La partecipazione a tali rappresentanze è in genere idonea a favorire le interazioni all’interno della popolazione carceraria e l’esperienza giuridica ha dimostrato che i detenuti provenienti da associazioni di criminalità organizzata tendono a riprodurre all’interno degli istituti penitenziari la struttura associativa esistente all’esterno, sfruttando le occasioni di contatti con i detenuti per far circolare informazioni e scambiarsi favori, concludere affari o consolidare il proprio rapporto di potere189.

Per quanto riguarda la permanenza all’aria aperta disciplinata alla lettera f) del comma 2-quater, è previsto che non possa svolgersi in gruppi superiori a quattro persone e per una durata non superiore a due ore al giorno.

187 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 162 188 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 163 189 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 258

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La previsione richiama il limite minimo previsto all’art. 10 o.p., che prevede che al detenuto è consentito di rimanere almeno due ore al giorno all’aria aperta, periodo che può essere ridotto, solo per motivi eccezionali, a non meno di un’ora al giorno. L’amministrazione ha interpretato l’espressione «permanenza all'aperto» in senso restrittivo, intendendolo non come permanenza all’aria aperta ma come permanenza al di fuori della cella: nelle due ore a cui i detenuti possono partecipare in gruppi è quindi ricompreso anche il tempo dedicato alle attività in comune di tipo ricreativo, culturale e sportivo che dovrebbe essere finalizzate alla rieducazione del condannato190. La norma non indica alcun criterio in base al quale procedere alla composizione dei gruppi in cui potrà svolgersi l’attività all’aperto: la scelta dei componenti del gruppo viene operata dalla direzione degli istituti191. L’operazione è delicata in quanto si devono evitare contatti tra detenuti assoggettati al regime speciale e detenuti comuni, e al tempo stesso impedire scontri tra appartenenti a associazioni rivali192.

L’ultima parte della lettera f) specifica che potranno essere l’Amministrazione penitenziaria potrà adottare tutte le necessarie misure di sicurezza «volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi», anche «attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione».

190 A DELLA BELLA, op. cit., p. 259

191 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 465

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Un ulteriore possibile restrizione è quella prevista alla lettera c) del comma 2-quater e prevede la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno. La legge non precisa l’entità delle limitazioni, che risultano perciò rimesse alla discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria193. C’è chi ritiene che sarebbe stato preferibile predeterminare una quantità minima di beni insuscettibili di limitazioni, in quanto i pacchi contenenti generi di conforto rappresentano un legame affettivo tra il detenuto e nucleo familiare194. In ogni caso, le limitazioni sancite dall’Amministrazione penitenziaria, dovrebbero essere funzionali al perseguimento delle finalità proprie del regime sospensivo in modo da evitare che i beni vengano utilizzati come veicolo di comunicazione tra il carcere e l’esterno195. Ad esempio, sembra di difficile comprensione il divieto, previsto in varie circolari amministrative, di ricevere dall’esterno generi alimentari che necessitano di cottura; la restrizione pare finalizzata a intaccare il prestigio dei detenuti eccellenti e sottometterli alla indiscussa autorità dello Stato196. Su questo punto, però, la Corte Costituzionale ha criticato l’applicazione di misure a scopro dimostrativo197 in quanto, abbiamo già detto che le restrizioni dovrebbero essere disposte solo perché funzionali alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza198.

Abbiamo potuto vedere che le limitazioni tipizzate dal legislatore al

193 A DELLA BELLA, op. cit., p. 255 194 A. BERNASCONI, op. cit., p. 306

195 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 167 196 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 168 197 Corte Costituzionale n. 351 del 1996

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comma 2-quater non incidono sugli istituti trattamentali, ciò in ossequio all’insegnamento della Corte Costituzionale secondo cui non possono essere sospese o soppresse le attività di osservazione e di trattamento individualizzato ex art. 13 o.p né le attività culturali, ricreative, sportive o di altro genere volte alla rieducazione della personalità199. Tuttavia, nella stessa sentenza la Corte ha precisato anche che le attività trattamentali devono essere organizzate con modalità idonee a impedire quei contatti e quei collegamenti con la criminalità organizzata che dovrebbero essere evitati con l’applicazione del regime200.

Nonostante ciò, nella prassi applicativa il regime differenziato ex art. 41-bis comma 2 si caratterizza per la sostanziale assenza di qualsiasi tipo di attività201. Questo perché le stesse esigenze che stanno alla base delle restrizioni tipizzate nel comma 2-quater comportano anche sostanziali limitazioni nella partecipazioni dei detenuti a quelle attività di socializzazione che si pongono in contrasto con la finalità del regime, il rafforzamento della funzione custodialistica del carcere, attraverso la riduzione dei contatti tra i detenuti e la società esterna202.

Negli Stati Generali dell’esecuzione penale203 sono state avanzate alcune importanti proposte di modifica all’art. 41-bis o.p. con l’obiettivo di

199 Corte Costituzionale n. 376 del 1997

200 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 467 201 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 364

202 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 365

203 L’iniziativa ha previsto la costituzione di un Comitato di esperti (D.M. 8 maggio

2015) e l’istituzione di 18 Tavoli tematici ai cui lavori hanno partecipato complessivamente oltre 200 persone. Le relazioni prodotte dai Tavoli sono state pubblicate sul sito del Ministero della Giustizia per essere sottoposte a consultazione pubblica.

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abrogare quelle prescrizioni legislative che non siano dirette a impedire che il destinatario del decreto ministeriale riesca a comunicare con l’associazione criminale di appartenenza. Questo perché, laddove questa finalità non sussistesse, «la limitazione all’esercizio dei diritti acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale», in contrasto con la finalità rieducativa della pena delineata dall’art. 27 comma 2 della Costituzione. I correttivi da apportare a livello normativo, evidenziati dal Tavolo di lavoro, sono soprattutto derivanti dalla novella del 2009, e hanno riguardato, in primo luogo, il ripristino della competenza dei Tribunali di sorveglianza, che hanno giurisdizione sull’istituto di pena di assegnazione del detenuto, a valutare la legittimità della sottoposizione al regime differenziato e alle sue eventuali proroghe, in luogo della competenza accentrata sul Tribunale di sorveglianza di Roma; in secondo luogo, la riduzione della durata del decreto ministeriale di sottoposizione al regime e delle proroghe, ripristinando anche un margine di discrezionalità tra il minimo ed il massimo. Ulteriormente, i correttivi hanno riguardato quelle limitazioni previste tassativamente al comma 2-quater dell’art. 41-bis che non si appalesano necessarie, sia singolarmente intese, sia se inquadrate nel più ampio contesto disegnato dal legislatore, e proporzionate, a fronte dei diritti fondamentali che comprimono, al raggiungimento dell’obiettivo di recidere i collegamenti dell’interessato con le organizzazioni criminali sul territorio; ad esempio, è stato proposto di aumentare il numero delle ore trascorse all’aria aperta, incrementare il numero di ore del colloquio mensile e modificare le modalità di svolgimento

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del colloquio stesso, soprattutto in presenza di minori, eliminando del divieto di cuocere cibi.