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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.2 La sospensione delle ordinarie regole di trattamento (art 41-bis

2.2.2 I destinatari e i presupposti del regime

Il regime previsto dal secondo comma dell’art. 41-bis o.p. è rivolto ai detenuti e gli internati ristretti per talune ipotesi delittuose sintomatiche dell’appartenenza a una organizzazione criminale. Il fatto che il legislatore parli genericamente di «detenuti», porta a pensare che la norma ricomprenda condannati e imputati, cioè detenuti in attesa di giudizio, se non addirittura anche a coloro che non hanno ancora assunto la qualità di imputato ma sono destinatari alle indagini preliminari124. Suscita perplessità il riferimento agli internati quali possibili destinatari del provvedimento di sospensione, dato che non si riesce a comprendere come la pericolosità sociale evidenziata da coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza detentiva possa essere

121 P. CORVI, op. cit., p. 124 122 P. CORVI, op. cit., p. 125

123 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 451 124 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 455

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coniugata con la pericolosità per l’ordine e la sicurezza di cui è oggetto l’art. 41-bis comma 2125.

Il primo presupposto per l’applicazione del regime speciale consiste in un requisito oggettivo: il titolo di reato per il quale il destinatario del provvedimento è assoggettato alla condizione detentiva. Nello specifico, il provvedimento sospensivo è applicabile ai detenuti e internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 4-bis, o comunque per un delitto che è stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso. Tale ultima espressione suscita qualche perplessità: in dottrina126, alcuni hanno ritenuto che il legislatore abbia così inteso svincolare le prerogative del potere amministrativo dalle limitazioni derivanti dall’art. 4-bis o.p.

Abbiamo già detto che, a seguito delle modifiche intervenute nell’art. 4-bis o.p. con la legge n. 94 del 2009, l’ambito di operatività del comma 2 dell’art. 41-bis si sia notevolmente ampliato, andando a includere delitti diversi dalla sola associazione mafiosa. Nello specifico, le fattispecie di cui al primo periodo del primo comma dell’art. 4-bis, sono le seguenti: i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; l’associazione di stampo mafioso anche straniera (art. 416 bis c.p.); i delitti

125 A BERNASCONI, L’emergenza diviene norma: un ambito e discutibile traguardo sul regime ex art. 41-bis comma 2 ord. penit. in G. DI CHIARA (a cura di), Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, p. 294

126 C. FIORIO, La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”: modifiche in tema di ordinamento penitenziario, in O. MAZZA, F. VIGANÒ (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009 (Commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 e alla legge 15 luglio 2009, n. 94), Torino, 2009, p. 407

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commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso; il sequestro di persone a scopo di estorsione (art. 630 c.p.); i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.); i delitti dell’induzione della prostituzione minorile, con riferimento alla fattispecie contemplata nel primo comma dell’art. 600 bis c.p., di pornografia minorile, nelle ipotesi previste dal primo e secondo comma dell’art. 600 ter c.p. e di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291- quater del T.U. in materia doganale); l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacente o psicotrope (art. 70 T.U. n. 309/1990).

Questa estensione dei possibili destinatari del regime differenziati lascia un po’ perplessi in quanto l’art. 41-bis o.p., nella sua versione originaria, era nato per colpire soprattutto gli appartenenti ad organizzazioni mafiose. Ora l’arricchimento dell’elenco sembra eccessivo, andando a comprendere delitti di particolare allarme sociale, indipendentemente dalle finalità dell’istituto che dovrebbero essere quelle di tutela della sicurezza pubblica e di rescissione dei legali con organizzazioni criminali127.

Accanto al presupposto del titolo di reato cui è assoggettato il destinatario del regime differenziato, la disposizione richiede un «presupposto funzionale»128 costituito da «gravi motivi di ordine e di

127 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 452

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sicurezza pubblica» con il quale, come abbiamo già sottolineato, il legislatore ha inteso riferirsi a situazioni estranee all’universo carcerario, che abbiano determinato un particolare allarme nella collettività e abbiano pregiudicato l’ordine e la sicurezza pubblica129. I concetti di sicurezza e ordine pubblico sono, per loro natura, imprecisi; l’individuazione della ricorrenza dei gravi motivi di ordine e sicurezza sono così lasciati alla discrezionalità dell’amministrazione130.

La legge n. 279 del 2002, al fine di specificare meglio il presupposto costituito dai gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, ha introdotto un criterio soggettivo di individuazione e di selezione dei destinatari concernente la presenza di «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva». In questo modo, non è più sufficiente il mero titolo di reato per l’adozione del regime ma è necessaria la prova della persistenza di collegamenti con le organizzazioni criminali di appartenenza131. Nella definizione di questo presupposto applicativo è stato determinante l’apporto della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 376 del 1997, aveva fondato il regime differenziato «non già astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o dell’imputazione ma sull’effettivo pericolo della permanenza dei collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati solo una logica premessa». Dalla lettura della norma è però difficile individuare quali siano gli elementi da cui desumere la

129 P. CORVI, op. cit., p. 138 130 N. DE RIENZO, op. cit., p. 102 131 L. CESARIS, op. cit., p. 455

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persistenza di questi collegamenti. Senza dubbio la collaborazione del detenuto con la giustizia può essere segno di una rottura con l’organizzazione criminale di appartenenza e la mancata collaborazione sembrerebbe testimoniare la continuità dei rapporti con la stessa. Bisogna, però chiederci se sia sufficiente la semplice constatazione della mancata collaborazione con la giustizia da parte del detenuto per poter verificare la permanenza di contatti con la sua organizzazione di appartenenza132, o se sia necessario un quid

pluris133. In dottrina134, si spinge per quest’ultima interpretazione restrittiva del presupposto, richiedendo una «prova positiva oggettiva del collegamenti» tra detenuto e criminalità organizzata; in giurisprudenza, invece, è stato ritenuto sufficiente che vi siano elementi per ritenerla ragionevolmente probabile135.

2.2.3 Il procedimento applicativo

Il soggetto competente a emanare il provvedimento di sospensione delle ordinarie regole di trattamento è il Ministro della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’Interno. In parlamento venne paventata la possibilità di sottrarre al ministro la competenza ad adottare il provvedimento applicativo del regime e di assegnarla al magistrato di sorveglianza, ma la Commissione Giustizia fu di diverso avviso, ritenendo che il provvedimento ex art. 41.bis o.p. non incidesse sulla libertà personale che è già limitata dalla

132 A BERNASCONI, op. cit., p. 295

133 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 456

134 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 456; P. CORVI, op. cit., p. 140; A.

BERNASCONI, op. cit., p. 295

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sentenza di condanna, e pertanto non sarebbe stato necessario l’intervento del magistrato136. Molti in dottrina137 criticano la scelta di aver attributo – e confermato nelle più recenti riforme legislative – la competenza ad applicare il regime detentivo speciale al Ministro della Giustizia, prevedendo un eventuale controllo giurisdizionale del Tribunale di sorveglianza solo a posteriori. Si tratta di una disciplina che attribuisce a un potere diverso da quello giudiziario la decisione circa un aggravamento in peius delle condizioni detentive. All’entrata in vigore del D.L. 356/1992 che introduceva il comma 2 dell’art. 41-bis, la Corte Costituzionale è stata investita di una questione di legittimità relativamente alla compatibilità del nuovo istituto con l’art. 13 della Costituzione proprio in relazione all’attribuzione al Ministro, anziché all’autorità giudiziaria, del potere di introdurre nei confronti dei detenuti ulteriori restrizioni della libertà personale. La Corte ritenne insussistente il contrasto con l’art. 13 nella misura in cui il provvedimento ministeriale non è suscettibile di introdurre ulteriori restrizioni alla libertà residuale del detenuto ma riguarda unicamente le modalità di esecuzione della pena, ovvero le misure intra-murarie che comportano solo una modifica del regime penitenziario. Questa interpretazione della Corte ha permesso di salvare la competenza del Ministro ma permangono dubbi sull’orientamento che ritiene che interventi sul regime penitenziario non incidano mai sulla residua libertà personale del detenuto. Data la severità e afflittività del regime

136 L. FILIPPI, La “novella” penitenziaria del 2002: la proposta dell’unione delle Camere Penali e una “controriforma” che urta con la costituzione e con la Convenzione europea, in Cassazione Penale, 2003, pp. 30-31

137 G. FRIGO, L’eccezione che diventa regola, in Diritto Penale e Processo, 2003, p.

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speciale di cui all’art. 41-bis, risulta difficile considerarlo una mera modalità esecutiva della pena.

Il provvedimento sospensivo è quindi un atto sostanzialmente amministrativo. Tuttavia, al comma 2-bis è prevista un’attività istruttoria da parte degli organi inquirenti: proprio perché la sospensione delle regole è funzionale all’obbiettivo del ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, che è estraneo al sistema carcerario, è prevista l’acquisizione di un parere del p.m. che procede alle indagini o di quello presso il giudice procedente, nonché di ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Dalla lettera della norma, l’acquisizione del parere del pubblico ministero non sembra essere rimesso alla discrezionalità del ministro, né è da considerare un’alternativa alle informazioni ottenute dagli altri organi indicati138. Nonostante ciò, in giurisprudenza si è affermata la tesi opposta: in primo luogo, le informazioni ottenuta dalla Dna o dalla Dia o da altri organi di polizia, possono tenere luogo del parere del p.m.; in secondo luogo, quando si tratta di condannati definitivi in esecuzione di pena, la giurisprudenza esclude la necessità del parere del p.m139. Questa interpretazione giurisprudenziale contrasta apertamente con il comma 2-bis che richiede inequivocabilmente l’acquisizione cumulativa

138 P. CORVI, op. cit., p. 145

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degli elementi di valutazione140: la mancanza di questo presupposto si traduce in una violazione di legge che vizia il provvedimento ministeriale141.

Il procedimento applicativo non prevede alcuna forma di contraddittorio anticipato: il soggetto destinatario del provvedimento sospensivo non ha modo di conoscere il contenuto delle informazioni e del parere del p.m. La decisione sul provvedimento sospensivo viene presa dal Ministro senza che il detenuto abbia possibilità di portare elementi a sua difesa142. Secondo alcuni, il difetto di contraddittorio nella fase dell’adozione del provvedimento di sospensione realizzerebbe una violazione dell’art. 111 Cost. in quanto i principi del giusto processo dovrebbero trovare applicazione in ogni processo e quindi anche nella fase dell’esecuzione penitenziaria143.

La riforma del 2009 ha premesso all’elenco delle restrizioni la precisazione che i soggetti sottoposti al regime sono allocati all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero all'interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell'istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria144. La previsione sembra fotografare una situazione già esistente: all’interno degli istituti erano già previste delle apposite sezioni per l’accoglienza dei detenuti sottoposti al regime differenziato, con la vigilanza di un nucleo di polizia penitenziaria particolare (il Gruppo Operativo

140 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 468 141 P. CORVI, op. cit.. p. 146

142 P. CORVI, op. cit., p. 147 143 L. FILIPPI, op. cit., p. 24 144 Cfr. infra par. 2.2.7

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